Le cose che non dici

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3. LE COSE CHE NON DICI
 
Dieci anni prima
Iris tamburellava le dita sullo sterzo con agitazione. Era l’unico rumore che spezzava il silenzio in macchina.
“Che succede laggiù?” domandò Remy, sporgendosi sul sedile per guardare meglio.
Davanti a loro si estendeva l’autostrada, l’unica via ancora aperta per lasciare Atlanta. Iris dovette rallentare per non tamponare il camper davanti. La strada era interamente intasata dal traffico. Le file erano lunghe chilometri e chilometri. I clacson suonavano, i fari si accendevano e si spegnavano, le persone imprecavano dai finestrini.
“Sono costretta a fermarmi.” Disse Iris.
Ora anche la loro Range Rover era imbottigliata in quel caos. Dietro di loro le altre auto si fermavano mentre ancora più indietro si avvicinavano altri veicoli.
“Vado a vedere cosa sta succedendo.” Disse Logan.
Yana si spostò sulle gambe di Ella per permettere al ragazzo di scendere dall’auto.
“Vado anche io.” disse Astrid.
Sua madre avrebbe voluto imperdirglielo, ma ormai lei era balzata fuori dall’auto e stava raggiungendo Logan. Insieme camminarono fra le macchine nel tentativo di carpire qualche informazione, ma tutto ciò che sentivano erano urla e bestemmie.
“Tempi funesti.” Commentò un uomo alla loro destra.
“Hai capito perché siamo fermi?” domandò Logan, diretto come sempre.
L’uomo scese da un vecchio e sgangherato furgoncino, trascinandosi dietro la coda di rodine di una giacca rossa ornata sul davanti da bottoni dorati; doveva lavorare al circo.
“L’esercito vuole impedirci di uscire dalla città per evitare che il contagio si diffonda altrove.”
In quel momento tre aerei militari volarono sopra le loro teste a grande velocità. L’attimo dopo i grattacieli in lontananza furono bombardati. La città stava per essere rasa al suolo.
“Dobbiamo andarcene.” Disse Astrid, impaurita.
“Potete venire con noi.” propose l’uomo con la giacca rossa.
Logan e Astrid si scambiarono un’occhiata incerta, non potevano fidarsi di chiunque. Però la loro auto era troppo distante dalla frontiera, mentre il furgoncino dell’uomo distava pochi chilometri dall’uscita.
“In quanti siete?” chiese Astrid.
“Siamo io e la mia amica Olga. Abbiamo lasciato il circo poche ore fa. Voi quanti siete?”
“In sette. Cinque adulti e due bambini.”
L’uomo aprì lo sportello per mostrare lo spazio all’interno del furgoncino. Era abbastanza spazioso per ospitare tutte quelle persone.
“Salite a bordo. In compagnia è meglio!”
Logan e Astrid fecero dietrofront per avvisare Iris e gli altri che si sarebbero spostati. Per poco lei non fu investita da una moto che sfrecciava fra le auto.
“Ehi!” protestò la ragazza invano.
La moto era già lontana, eppure lei riuscì a cogliere due ali bianche cucite su un gilet nero.
 
Oggi 
Astrid si lavava i denti e intanto rovistava nella valigia in cerca di vestiti. Settembre era volto al termine e il freddo iniziava ad inasprirsi, ma per fortuna il sole mitigava il clima. Scese una canottiera nera e una camicia azzurra, i soliti jeans consumati e i suoi immancabili e usurati anfibi. Dopo essersi vestita ed aver acconciato i capelli in una treccia laterale, scese in cucina e trovò Remy addormentata sul tavolo.
“Remy! Svegliati, dormigliona.”
“La radice quadrata di duecentoventicinque è quindici!” esclamò Remy, svegliandosi di colpo.
Un foglio le si era incollato sulla guancia, la frangetta era arruffata e aveva gli occhi ancora velati di sonno. Si svegliava sempre in quelle condizioni dopo aver trascorso ore e ore a studiare.
“E qual è la radice quadrata di un buon caffè?” domandò Astrid, ridendo.
Remy si staccò il foglio dalla faccia e abbozzò un sorriso, era frastornata dopo quelle poche ore di sonno.
“I ragazzi dormono?”
“Sì, sono le sette del mattino. Ezekiel ci vuole tutti in piazza alle otto.”
Astrid passò una tazza di caffeina alla sorella, che bevve a piccoli sorsi per godersi quel momento di serenità. Remy poi notò un dettaglio che la fece ridacchiare.
“Ti sei acconciata i capelli così per fare colpo su qualcuno?”
“No. La treccia è più comoda per lavorare.” Rispose Astrid, fingendo nonchalance.
Remy nascose un sorriso premendo il bordo della tazza contro le labbra.
“Beh, sei particolarmente bella con i capelli legati in questo modo. Secondo me un certo arciere potrebbe farci caso.”
“Non mi interessa di cosa potrebbe pensare un certo arciere. Io così sto più comoda.”
Remy avrebbe voluto replicare ma fu distratta dal rumore di passi sulle scale. Clara camminava con gli occhi semichiusi e il suo coniglietto di peluche in mano.
“Buongiorno, signorina.” Disse Astrid con un sorriso.
La bambina si avvinghiò alla sua gamba e richiuse gli occhi, al che Astrid la prese in braccio e la cullò.
“Ho fame.” Sussurrò Clara.
Astrid sentì il cuore stringersi a quella vista. Clara somigliava incredibilmente al padre, avevano addirittura lo stesso modo di parlare. Logan sarebbe stato fiero della sua splendida bambina.
“Io vado a prepararmi. Pensi tu alla colazione?” fece Remy, raccogliendo i fogli in una cartella.
“Sì, e vado anche a svegliare Hunter e Yana.”
 
Remy fece scivolare la sedia a rotelle lungo la pedana con delicatezza, attenta a non cadere di faccia a terra. Sul marciapiede c’era Jerry ad aspettarli, accogliendoli con un grande sorriso.
“Buongiorno a tutti. Clara, sei pronta?”
Clara strinse la mano di Astrid e affondò il viso contro la sua gamba, era una bambina molto timida e fare nuove conoscenze non era facile.
“Cane!” esclamò Clara.
Corse verso il cane e lo abbracciò, scambiandolo per uno dei suoi peluche. L’animale scodinzolò, felice di aver trovato una compagna di giochi.
“Clara, sta attenta.” Disse Astrid con una certa preoccupazione.
Sin da piccola aveva la fobia dei cani, era una paura che la paralizzava. La sua ansia peggiorò quando vide Daryl camminare verso il cane e accarezzargli lo spazio dietro le orecchie.
“Puoi stare tranquilla. Dog è buono.”
“Hai chiamato un cane Dog? Che fantasia.” Disse Hunter, ironico.
Yana gli diede una spinta come ammonimento per la sua maleducazione. Daryl, però, rimase impassibile a quelle parole.
“Gli altri sono già in piazza. Dovremmo andare.” Disse Remy.
Lei, Hunter e Yana si avviarono verso la calca che si stava formando intorno alla fontana della piazza. Astrid, invece, si era messa le mani nelle tasche posteriori dei jeans e si dondolava sui talloni. La presenza di Daryl era per lei un grande stress emotivo, aveva timore di dire o fare la cosa sbagliata.
“Accompagno Clara a casa mia e vi raggiungo.” Disse Jerry, prendendo la bambina per mano.
Astrid si abbassò al livello di Clara per abbracciarla e darle un bacio sulla guancia.
“Ti divertirai con gli altri bambini. Ci vediamo più tardi a pranzo. Okay?”
La piccola annuì con un sorriso che mostrava i dentini, dopodiché stampò un bacio sulla guancia di Astrid.
“Ciao! Ciao, cane!”
Il cane abbaiò una sorta di saluto e fece un giro su se stesso. Daryl vide che Astrid aveva sbarrato gli occhi.
“Hai paura dei cani?”
“Ho una fobia tremenda. Scusami.” Confessò lei, le gote arrossate.
“Allora lascio Dog a casa e poi vengo all’incontro.”
Astrid rimase ferita dalla freddezza dell’arciere. La considerava solo un aiuto per il Regno e non una persona con cui provare a interagire.
“Va bene. Grazie.”
Daryl fischiò e il cane si mise a zampettare al suo fianco, lasciando Astrid da sola a crogiolarsi nel suo malcontento. 
 
“Ora vi consegneremo i disegni in modo da poter usare le istruzioni per muoversi in autonomia. Se avete dubbi o non riuscite a sistemare i guasti, potete rivolgervi a Remy o a me. Jerry provvederà a rifornirvi degli attrezzi necessari alle riparazioni. Inoltre, ciascuna squadra avrà in dotazione un walkie-talkie per comunicare con la base. La base è preseduta da Carol, che a sua volta provvederà a comunicare con le altre squadre. Se non ci sono domande, auguro a tutti un buon lavoro. Ci riuniamo per l’ora di pranzo.”
Ezekiel spense il megafono e rientrò nel Teatro. Remy stava fischiando e battendo le mani.
“Sei stato eccezionale.”
Il Re fece un buffo inchino e baciò la mano di Remy da vero galantuomo.
“E’ ora di rimboccarsi le maniche, mia adorata amica.”
Fuori dall’edificio la folla si dispose in file ordinate per ricevere i disegni e le attrezzature. Jerry consegnava una cassetta di materiali, Carol consegnava i walkie-talkie e Yana consegnava le istruzioni. Hunter, invece, se ne stava seduto a dare calci ai sassolini.
“Possiamo andare.”
Astrid emise un verso strozzato per lo spavento. Daryl era arrivato di soppiatto alle sue spalle e lei non aveva captato né odori né suoni. Lo sguardo cadde sui fogli e sulla cassetta che l’arciere teneva in mano, gli stessi che le file aspettavano. La donna si accigliò.
“Hai preso le istruzioni e gli attrezzi senza di me?”
“Carol mi ha fatto passare avanti. Problemi?”
Daryl non capiva perché Astrid si fosse offesa. Lui aveva solo anticipato l’attesa inutile.
“Sì, ci sono dei problemi. Noi dovremmo collaborare, pertanto dovremmo fare le cose insieme.”
“Non siamo mica all’asilo.” Replicò lui, scontroso.
Astrid sospirò, la giornata era da poco cominciata e le cose già stavano andando male. Daryl era una persona dal carattere difficile, ormai le era chiaro, e la loro cooperazione era destinata a fallire ancora prima di iniziare.
“Allora possiamo andare.”
Daryl fu il primo a incamminarsi verso la sezione nord del Regno, laddove era ubicata la cisterna dell’acqua. Astrid camminava a qualche passo di distanza, le braccia conserte e gli occhi puntati sull’asfalto. Si sciolse la treccia, tanto lui neanche l’avrebbe notata, e si legò i capelli in una coda bassa.
 
“Ci siamo.” Esordì Daryl, bloccandosi di colpo.
Astrid quasi gli andò a sbattere contro. Per fortuna piantò le scarpe per terra prima di fare quella figuraccia.
“Quali sarebbero i problemi? La regina ti ha anticipato anche questo?”
Daryl rimase interdetto dal sarcasmo piccato di Astrid.
“Pensiamo al lavoro.”
Lei roteò gli occhi, infastidita dai modi bruschi dell’arciere. Per distrarsi, e ne aveva proprio bisogno, aprì il disegno di Remy per studiarne le annotazioni.
“Tu sei qui da molto, Daryl? Magari conosci il sistema idrico meglio di me.”
“So solo che l’acqua viene raccolta nella cisterna.”
Daryl si sporse per guardare il disegno, la sua altezza era ottimale per coprire il sole che pizzicava gli occhi di Astrid. Erano vicini ma senza toccarsi.
“Stando alle note di Remy, la cisterna raccoglie l’acqua dal fiume a ovest e successivamente alimenta le case.”
“E cosa c’è che non va?” chiese lui, grattandosi il mento.
Astrid spostò il peso da una gamba all’altra e con la spalla sfiorò il petto di Daryl, arretrando subito dopo per non contrariare l’arciere ancora di più.
“A quanto pare una decina di case non ricevono più l’acqua. Le ipotesi di Remy sono due: o i c’è un malfunzionamento delle tubature oppure è colpa della cisterna.”
Daryl alzò la testa verso la cisterna e tese l’orecchio per ascoltare. Non si udiva il consueto sciabordare dell’acqua.
“Credo sia colpa della cisterna. Forse non è piena come dovrebbe.”
“Come fai a saperlo?”
“Non sento l’acqua.” Disse lui, tastandosi l’orecchio.
Astrid fece un sorriso, meravigliata dall’udito dell’arciere che si era sviluppato dopo anni di caccia.
“Il superudito può essere un potere utile. Penso che dovremmo salire a dare un’occhiata.”
“Mmh.”
Daryl raccattò la borsa con l’attrezzatura, si sistemò un coltello nella cintura e si accinse verso la cisterna. Astrid arrotolò il disegno e lo seguì, in fondo non conosceva il Regno e una guida era apprezzata. L’accesso alla cima della cisterna era garantito da una scala a chioccola che circondava la tozza colonna su cui si installava la grande tinozza. Erano all’incirca un centinaio di scalini.
“Dobbiamo salire a piedi?”
“No.”
Daryl diede una spallata all’unica porta dell’intera struttura e puntò la torcia per illuminare l’interno. Si trattava di un’anticamera angusta, umida e puzzolente. Astrid arricciò il naso perché non vedeva nient’altro se non le ossa di un vagante putrefatto.
“Hai anche la capacità di volare?”
Daryl la ignorò del tutto. Non erano lì per fare amicizia, bensì per lavorare.
“C’è un montacarichi che Jerry ha rimesso in funzione. C’è scritto sul disegno.”
Astrid era allibita dal fatto che lui ricordasse il disegno pur avendolo visto per soli tre minuti.
“Okay, Wolverine, saliamo.”
Daryl scosse la testa, soffocando una risata. Non voleva mostrarsi amichevole con una donna che stava nascondendo qualcosa.
“E’ dietro la tenda.”
Insieme scostarono la pesante tenda nera e bagnata, il tanfo era insopportabile. Si issarono sul montacarichi e Daryl spinse il bottone di attivazione. Astrid sbatté contro la parete mentre la piattaforma si muoveva.
 
Il montacarichi si arrestò a metà percorso. Astrid sentì Daryl imprecare a bassa voce.
“Come facciamo a salire?”
L’arciere illuminò una sporgenza di cemento, allungò il braccio e la sua mano riuscì a toccarla.
“Vedi quel pezzo grigio? Quello è il pavimento del piano che ci interessa. Io riesco a salire a mani nude. Ti aiuterò io.”
La sola idea fece rabbrividire Astrid. Più non lo voleva tra i piedi e più si ritrovavano a stretto contatto.
“O-okay.”
Daryl lanciò l’attrezzatura oltre la sporgenza e il tonfo sordo indicò che lo zaino era atterrato sul pavimento. Si aggrappò al cemento e si issò fino a oltrepassare il montacarichi. Atterrò con le ginocchia e con le mani, poi si girò per guardare giù.
“Dammi le mani. Non fare mosse azzardate, altrimenti cadi.”
Astrid gli afferrò entrambe le mani, un brivido le bruciò sulla schiena. La pelle di Daryl era caldissima, piacevole al tatto, anche se era ruvida.  Si sentì tirare su con estrema facilità, tant’è che Daryl sembrava non fare alcuno sforzo.
“Ahia!” borbottò lei.
Aveva sbattuto il ginocchio contro la sporgenza e si era sbucciata la pelle; il jeans si era bucato e c’erano dei piccoli tagli sanguinanti.
“Te lo avevo detto di non fare mosse azzardate.”
Daryl la fece sedere e le diede la sua bandana nera per tamponare il sangue. Astrid digrignò i denti quando la stoffa irritò le ferite.
“Grazie. Ti restituirò la bandana dopo averla lavata.”
L’arciere annuì senza guardarla. Lo metteva a disagio lasciarle la propria bandana, era un gesto fin troppo intimo per due sconosciuti.
“Mmh.”
“Controlliamo la cisterna.”
Astrid si infilò il pezzo di stoffa in tasca e si mise in piedi, attenta a non gravare sul ginocchio ferito.
“Ma che diamine …” Daryl lasciò in sospeso la frase.
Quando Astrid guardò dentro la vasca, comprese la reazione del suo compagno. La cisterna era per metà vuota e l’acqua presente non riusciva a defluire nel modo giusto.
“Abbiamo un doppio problema.”
“Cioè?”
Daryl non capiva come mai Astrid fosse a suo agio, sembrava conoscesse bene la materia di cui si stavano occupando. Aveva detto di essere una assistente sociale, ma evidentemente la fine del mondo doveva aver accresciuto le sue doti.
“Il primo problema è la bocca della cisterna che è ostruita, perciò l’acqua non riesce a raggiungere bene i tubi e alimentare le case. Il secondo problema riguarda la quantità d’acqua. Se la cisterna raccoglie l’acqua dal fiume, perché è piena solo a metà?”
“Perché c’è un problema al fiume.” Disse Daryl.
Astrid gli riservò un sorriso condiscendente.
“Esatto. Hai un binocolo oppure usi la supervista?”
L’arciere tirò fuori dallo zaino un monocolo, la gomma che lo rivestiva era rovinata e il vetrino era storto. Astrid aggiustò la messa a fuoco e diresse lo sguardo al fiume.
“Vedi qualcosa?”
“Non c’è niente, almeno credo. Guarda anche tu.”
Anche Daryl non vide nulla di particolare, c’era solo l’acqua che scorreva placida.
“Il fiume è apposto.”
“Forse dovremmo parlarne con Remy. Lei saprà dirci qualcosa in più.”
“Va bene. Adesso scendiamo, non possiamo fare altro qui.” disse Daryl.
 
Daryl chiuse la porta della cisterna bloccandola con un pezzo di legno. Quando tornò da Astrid, lei si era persa in chissà quali pensieri.
“Ti è venuto in mente qualcosa?”
“A pranzo ho intenzione di rileggere gli appunti di Remy, magari riesco a capire il problema.”
“Sei brava con questa roba.”
Astrid sorrise compiaciuta, era il primo complimento che riceveva dall’arciere ed era una vittoria personale.
“Mio padre era un geologo. Alle scuole medie dovevamo ricostruire il ciclo dell’acqua per una gara di scienze, così mio padre mi spiegò tutto il processo idrico e alla fine realizzammo una diga in miniatura. Trasportava davvero l’acqua a faceva anche i suoni.”
“Hai vinto?”
“No. Vinse Melissa Stark con un mini vulcano che espelleva lava di ogni colore.”
Daryl si lasciò sfuggire un sogghigno per l’espressione affranta di Astrid.
“Tuo padre sembra un bel tipo.”
Negli occhi della donna apparve una venatura di tristezza mista a malinconia.
“Sì, era una bella persona. E’ morto un anno prima del virus per insufficienza cardiaca. Almeno non ha dovuto assistere alla fine del mondo.”
Daryl provò invidia nei suoi confronti. Il padre di Astrid era amorevole, mentre Will Dixon era solo un ubriacone che picchiava i figli.
“Il suo aiuto oggi ti è servito.”
Astrid represse le lacrime, diventata sempre vulnerabile quando parlava della sua famiglia.
“Sì, è vero.”
 
Il pranzo trascorse veloce fra una chiacchiera e l’altra. Tutti mangiarono in fretta per poter tornare subito alle mansioni da svolgere. Astrid andò a trovare Clara per un rapido saluto. La bambina si trovava bene con i figli di Jerry, giocava e rideva con loro come se li conoscesse da sempre. Hunter e Yana aiutavano i contadini a piantare i semi, il che fece ridere Astrid al solo pensiero di Hunter che sbraitava per la fatica.
“Astrid!” la chiamò Remy, sventolando il braccio.
“Ehi, genio. Come va?”
Astrid si guardò intorno in cerca di Daryl e rimase delusa nel costatare che di lui non c’era traccia. Neanche Dog si era fatto vedere nelle ultime due ore.
“Va benino, dai. Ci sono tante riparazioni da fare.” Rispose Remy.
“Hai visto Daryl? Devo parlargli della cisterna.”
“E’ uscito circa due ore fa con Carol.”
Le due sorelle furono sorprese dall’arrivo di Ezekiel, che aveva le maniche bagnate fino ai gomiti e i capelli in disordine.
“Sai quando torneranno?” indagò Astrid.
Il Re si sedette e appoggiò la testa sul banchetto che Remy usava per scrivere; era sfinito.
“Potrebbero anche dormire fuori stanotte. Lo fanno spesso.”
Remy strizzò la coscia della sorella sotto il banco per farle capire quanto fosse strana quella conversazione.
“Fra te e Carol va tutto bene?” chiese Astrid, curiosa.
“Il nostro matrimonio va in rovina come il Regno. La perdita di un figlio quasi sempre è motivo di separazione.”
“Tu che ti arrendi? Impossibile. Sei l’uomo più romantico che io conosca.”
Ezekiel fece un debole sorriso, non era in vena di fingersi allegro.
“A volte l’amore non basta.”
 
“Non è una buona idea.” Ripeté Carol.
“E’ un’ottima idea.” Ribatté Daryl.
L’arciere e la regina si erano recati fuori dal Regno con la scusa della caccia, ma in verità avevano intenzione di entrare in casa delle sorelle Williams per scoprire qualcosa.
“Tu sei proprio convinto che nascondano qualcosa?”
“Ti ho già detto di sì.”
Daryl forzò la porta e la maniglia si allentò, permettendo loro di accedere attraverso la portafinestra della cucina. Carol richiuse la porta per non destare sospetti e accese la torcia.
“Ezekiel non le avrebbe accolte se avesse nutrito dei dubbi.”
Daryl aprì qualche stipetto senza trovare granché, quindi salì per ispezionare le stanze da letto.
“Ezekiel vede solo che quello che vuole vedere.”
“Beh, su questo hai ragione. Qui dorme la bambina.” Disse Carol, la torcia dritta nel buio.
Daryl notò il peluche di un coniglio sul letto e delle scarpe di piccola misura, era facile dedurre che lì dormisse Clara. Ad attirarlo fu anche la sua bandana che giaceva sulla scrivania, era pulita e piegata alla perfezione.
“Anche Astrid dorme qui. Cerca qualsiasi cosa ci possa essere utile.”
Ciascuno scelse una parte della camera da esaminare. La cena stava volgendo a termine e loro presto sarebbero rientrate. Mentre Carol controllava l’armadio e le valige, Daryl scavava nei cassetti e sotto il letto. Fu proprio lui a trovare una cassetta di latta sottile e rettangolare sotto il comodino.
“Bingo.” Disse Carol.
Sul coperchio della cassetta c’era scritto ‘Dorothy’ al centro e sotto c’era l’incisione di una margherita. Per aprirla serviva una chiave che le sorelle dovevano di sicuro portare con sé, però Daryl era disposto a usare la forza per scoprirne il contenuto.
“Magari sono foto di famiglia.” disse Carol.
“Perché nasconderle sotto il comodino? Secondo me qui dentro c’è qualcosa.”
 
Astrid dopo cena si era isolata su una delle panchine poste ai lati del viale centrale. Voleva studiare meglio i disegni di Remy per trovare una soluzione per la cisterna. Con lei c’era Clara, intenta a fare un disegno di Dog, c’era Hunter che strimpellava la chitarra e Yana che si intrecciava i capelli.
“Canta una canzone.” disse Yana, attorcigliando l’elastico alla fine dei capelli.
Hunter aveva ereditato quella chitarra alla scomparsa di Logan. Sua madre suonava e lui da bambino aveva preso qualche lezione, poi aveva abbandonato per riprendere quando Remy gli aveva affidato lo strumento. Era bravo, aveva una bella voce, ma si vergognava a cantare avanti agli altri. Solo le persone più vicine a lui avevano l’opportunità di ascoltarlo.
“Le signore hanno preferenze?”
“In fondo al mar!” propose Clara.
Hunter fece una smorfia di disgusto.
“Non canterò le canzoni della Sirenetta. Altre proposte sensate?”
“Suona quello che preferisci.” Disse Yana con un sorriso.
Hunter accordò di nuovo la chitarra pur di non guardare Yana. Gli veniva la pelle d’oca quando lei gli regalava quei suoi sguardi carichi di dolcezza. Si schiarì la voce e prese a suonare.
“It’s now or never. Come, hold me tight. Kiss me, my darling. Be mine tonight, tomorrow will be too late. It’s now or never. My love won’t wait …”
Astrid riconobbe subito le note di ‘It’s Now Or Never’ di Elvis Presley, una dei brani preferiti di Logan. Hunter l’aveva sentita così tante volte alla casa famiglia che doveva averla imparata a memoria.
Si massaggiò gli occhi stanchi, aveva letto e riletto quei disegni senza trovare qualche informazione degna di nota. Aveva provato a richiedere l’aiuto di Remy ma la sorella maggiore accorreva ovunque ci fosse bisogno del suo supporto. Si diede un’occhiata in giro nella speranza di vedere Daryl. Sembrava che quella mattina, dopo aver condiviso un ricordo di suo padre, fossero più vicini. Desiderava che quel briciolo di legame durasse.
“Astrid, c’è qualcuno in casa.” Disse Yana, interrompendo la canzone.
La ragazza aveva ragione: un bagliore giallo lampeggiava nella camera da letto di Astrid e Clara. La paura si impossessò di lei come un serpente che si avvinghia alla preda. Dorothy era in pericolo.
“Chiamate Remy ed Ezekiel, subito!”
 
Astrid entrò in casa di soppiatto, muovendosi a tentoni nell’oscurità. Delle voci bisbigliavano al piano di sopra, erano un uomo e una donna. Fece le scale a piccoli passi, non voleva che gli intrusi scappassero. Quando la sua testa fece capolino nella stanza, sentì le mani prudere per la rabbia.
“Che diavolo state facendo?”
Carol e Daryl si immobilizzarono come fossero statue di ghiaccio. L’arciere reggeva ancora la scatola di latta fra le mani.
“Astrid …”
La donna con uno strattone riprese la scatola e la strinse al petto, era il suo bene più prezioso al momento.
“Sono mortificata. Mi dispiace.” Disse Carol.
Astrid, però, stava guardando Daryl dritto in faccia. L’arciere non sembrava affatto dispiaciuto, anzi la fissava come se volesse trivellarle l’anima e scovare ogni suo segreto.
“Cosa speravate di trovare?”
“Diccelo tu.” L’attaccò Daryl.
Astrid si portò una mano al petto come se un dardo l’avesse colpita.
“Sai una cosa, Daryl? Ho capito subito che non ti sto simpatica, ma arrivare a introdurti in camera mia è inaspettato. Mi fa ribrezzo questo atteggiamento.”
Carol temeva che quei si attaccassero alla gola da un momento all’altro. Si mise in mezzo per placare gli animi.
“Perché non ne parliamo con calma? Possiamo chiarire le cose.”
Astrid rivolse un’occhiataccia alla regina, non avrebbe porto onori a chi si comportava in maniera tanto vile.
“Non c’è niente da chiarire. Voi siete entrati in camera mia e avete rovistato fra le mie cose. Mi sembra tutto piuttosto chiaro.”
Si lasciò intimidire solo quando Daryl avanzò verso di lei con fare minaccioso.
“Che c’è in quella scatola? Chi è Dorothy?”
“Non sono affari tuoi.”
“Non mi fido né di te né di tua sorella. E neanche di Ezekiel. State nascondendo qualcosa di grosso e la scatola è importante per questo.”
Astris si ridestò, non si sarebbe lasciata spaventare da un omone che la trattava come una spia.
“Tu attacchi prima di essere attaccato, Dixon. Sei insicuro, i cambiamenti ti spaventano, e tendi a vedere le minacce anche dove non ci sono. Questo mi suggerisce che hai avuto una vita dura prima e durante l’epidemia. La tua infanzia deve essere stata sofferente, ecco perché sei così chiuso in te stesso e non permette agli altri di entrare in contatto con te.”
“Smettila.” Grugnì Daryl.
Astrid, più carica che mai, fece un passo avanti e gli sorrise trionfante perché sapeva di aver fatto centro.
“Sono sulla tua schiena. Dico bene?”
Daryl serrò la mascella, si sentiva messo all’angolo da una donna che a stento conosceva.
“Non sai un cazzo di me.”
“E’ nelle cose che non dici che risiede chi sei.”
“Allora lo stesso vale per te.”
Astrid indietreggiò, la scatola ancora stretta al petto come se ne andasse della sua vita.
“Lui si vergognerebbe di te a sapere che sospetti di me e Remy.”
Daryl era confuso. Aveva conosciuto le sorelle Williams da pochi giorni ma sembrava che Astrid ne sapesse più di lui.
“Di chi stai parlando?”
“Sto parlando di Rick Grimes.”
 

Salve a tutti! 🧡
Alcuni rapporti sembrano in crisi, ops. Guai in vista!
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima, un bacio.

Parabellum || Daryl Dixon Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora