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Vanja Benjamin Ivanov, appartamento di Vanja Benjamin Ivanov, Mosca-Russia.

A mezzogiorno rincasai nel mio appartamento e Sadie, la mia bellissima pitbull dal manto grigio e gli occhi chiari, mi corse incontro scodinzolando; alla sua vista abbandonai il malumore fuori dalla porta di casa. Le accarezzai la testolina e poi mi diressi in cucina il tempo necessario per darle da mangiare. Mi versai un po' di acqua in un bicchiere, mi appollaiai sulla sedia minimal e pensai ad
Edrian.

No, non pensai. Il suo viso mi ballonzolò nella mente da solo e stizzito imprecai.

Avevo ventiquattro anni e da quando mio cugino Aleksei, dodici anni prima aveva deciso di stabilirsi nella villa di fronte a quella famigliare con Erin, anche io a diciotto avevo preso la palla al balzo e mi ero trasferito. La villa famigliare era un luogo sicuro e di pace, in cui abitavano ancora Ella, Gennady e Fillip, ma troppo stretto per me, soprattutto nell'ultimo periodo e se all'inizio questo appartamento era più per le festicciole e le scorribande, ora erano mesi che non lo abbandonavo.

Non ero pronto.

Non per quello che avevo il sospetto di essere. Non avevo idea del come i miei genitori perfetti avrebbero potuto reagire ad una situazione del genere e non contavo certo di farglielo venire a sapere al più presto; mio padre era stato il classico playboy fino a quando una sventola dai capelli rossi non gli aveva fatto il culo, così mi aveva sempre raccontato e non potevo di certo disilludere il sogno di aver creato un figlio a sua immagine e somiglianza.

Senza pensare più a quel genere di stronzate mi allungai sul divano e poco dopo Sadie si appollaiò ai miei piedi; sorrisi alla sua presenza con gli occhi mezzi chiusi e mi addormentai. Sei ore più tardi il cellulare suonò con insistenza.

"Pronto?" Bofonchiai non ancora del tutto sveglio. "Chi parla?"

"Edrian."

Mi sollevai di scatto e per poco non presi in pieno la mia povera cagnolina, che scese infastidita dal divano e si mise a passeggiare per il mio appartamento.

"Che vuoi?" Berciai, perché non avevo bisogno di melodrammi, non quando la sera avrei dovuto far fronte ad entrambi i miei genitori. "Non è giornata, Edie. Non ho tempo, tra meno di tre ore devo andare a cena con i miei."

Udii un 'imprecazione e poi dei clacson.

"Ho bisogno di parlarti, okay?" Lo sentii sbuffare. "Devo parlarti, tra dieci minuti sono lì."

Chiuse la chiamata senza darmi il tempo di rispondere e alterato da quel comportamento lanciai il telefono sul divano. No, non volevo vederlo, non nella mia casa. Non potevo nemmeno soffermarmi su quel tipo di pensiero. Preso dalla frustrazione e dalla rabbia che ne derivava, aprii la porta che dava sulla mia palestra privata e mi sfogai utilizzando i pesi, ma anche la mia sessione di sfogo fu interrotta, e questa volta fu il campanello a trapanarmi le orecchie.

"Arrivo," brontolai tergendomi il sudore con un asciugamano; quando arrivai alla porta, Sadie era già lì che scodinzolava. "Non scherzavi allora."

Quello fu il mio saluto stringato al ragazzo biondo sulla soglia del mio appartamento.

"Sei sudato."

"Hai un paio di occhi." Mi diressi in cucina senza disturbarmi a chiedere di chiudere la porta. "Che diavolo dovevi dirmi di così impellente?"

Edrian non mi ascoltò, studiò il mio appartamento con espressione sorpresa, per poi soffermarsi su di me.

"Non sapevo avessi buon gusto."

Scrollai le spalle. "Son un Ivanov."

"Sì, ma-

"Ma?" Mi ero posizionato dietro l'isola della mia cucina per porre quanto più arredamento tra me e Edrian, così mi allungai sul legno beige. "Su, almeno dimmi quello che pensi."

Accettazione |THE NY RUSSIAN MAFIA #6Where stories live. Discover now