= 𝟔𝟗: ropes, lawyers and exhibitionist underage

484 21 3
                                    

A quell'ora mi ritrovavo a sgranocchiare delle verdure, buttate in mezzo ad una ciotola di insalata, seduto nel mio ufficio.
Comodo comodo, con i piedi sulla scrivania e lo schienale piegato all'indietro al massimo, girovagavo tra le icone del mio cellulare. Era la pausa pranzo. E mi stava dannatamente annoiando.

«Signor Min. Kim Seokjin è qui, desidera vederla.» Pronunciò una voce giovane, fuori dalla porta.
Allungai il braccio e mostrai a me stesso il mio costoso Rolex, mentre uno sbuffo usciva dalle mie labbra schiuse. Mi stavo annoiando ma questo non significava che volessi compagnia. O almeno non da Kim Seokjin.

«Fallo entrare, ma per poco.» risposi al richiamo, poi sentii qualcuno parlottare all'esterno e finalmente vidi il mio collega nonché amico entrare nello studio.

«Yoongi! Sempre a lavorare qui dentro sei! Che noia!» urlò l'appena arrivato, con una tonalità di voce piuttosto alta. E io odiavo la gente che urlava.

Sbuffai per l'ennesima volta e contrassi la mascella.
«Veramente sono in pausa pranzo, e tu la stai disturbando. Mi stai disturbando.»

Seokjin si portò le mani ai fianchi guardandolo annoiato, come se non ci credesse neppure che fossi in pausa pranzo!
«È uguale, fai solo questo. Mangi, lavori e dormi. E poi si ripete all'infinito questa sequenza.
Sei un neonato per caso? Lo sei?» urlacchiò con più enfasi di prima.

Non risposi e lo fissai mangiando il poco rimasto nella ciotola. Presi la scatola di plastica, la chiusi e la lanciai da qualche parte non prima di aver messo il disordine in un sacchetto di carta. Tutto questo sospirando incessantemente.
«Parla. Poi vattene e lasciami in pace.»

Seokjin fece una smorfia e sbattè il piede a terra in gesto di stizza. Poi, finalmente per me o "corvino scorbutico" come mi chiamavano tutti li dentro, parlò. «Un mio vecchio collega mi ha detto che deve parlare con qualcuno di una cosa. Sembrava importante e urgente e mi ha detto di consultarmi con il miglior avvocato che conoscessi. Non mi ha dato nessun tipo di particolare quindi mi chiedevo se potessi raggiungerlo a casa sua. È Park Jimin, anche lui avvocato.»
Con "nessun tipo di particolare" nessuno avrebbe pensato ad uno psicopatico con degli strani fetish sessuali, ma comunque.

E dopo qualche ultima chiacchiera e cibo raffreddato, mi ritrovai con i piedi per strada e la mia cartella di lavoro a sbattere contro il mio fianco, fastidiosamente.

Incontrai un'altra persona nella strada verso l'indirizzo di quel misterioso Park Jimin: Lee Hoseok. Un praticamente scimmione a confronto con me e qualsiasi altro ragazzo della sua età. Ci conoscevamo di vista come due vicine di casa che si odiano e parlano male una dell'altra con i propri familiari ma che quando si vedono da balcone a balcone si sorridono dolcemente.

Ed infatti come non ci si aspetta un sorriso da una vicina di casa dispettosa, io non mi aspettavo neppure che Lee Hoseok, detto Wonho dai coetanei del quartiere, non solo mi salutasse, esatto con mano e voce! Ma che si fermasse addirittura a scambiare due chiacchiere.

«Chi si vede, il bellissimo Min Yoongi.» ok quello era decisamente l'ultima cosa che potevo immaginare sarebbe successa.
«Sai Yoongi... Stasera c'è una festa con le ragazze di un college» ghignò.
Ecco il suo scopo. Mettere in difficoltà le persone. Sapeva che mettessi il lavoro prima di ogni cosa e sopratutto sapeva che non sarei mai finito in una festa con ragazzine di dieci anni meno di me. Non volevo neanche sentirle nominare quelle schifezze tralasciando il fatto che fossi totalmente gay.
«Siamo un po' a corto di ragazzi e tu sei davvero perfetto.»

«Mi dispiace devo andare al lavoro.» risposi sbrigativo.

«Andiamo, oggi non ci andare» ribatté prendendomi per il polso. Oggi sembrava essere una pessima giornata. Prima disturbano il mio pranzo, poi il mio lavoro. Ma poi dove credeva di essere? Nella prima ora con una verifica di matematica da saltare?
Mi scansai dalla sua presa e corrugai le sopracciglia, risistemai sulla mia spalla la cartella e finalmente mi liberai di quello scimmione odioso che però non sembrava poi così tanto contro al lasciarmi andare.
Lui semplicemente trasformò la sua espressione in uno strano ghigno di furbizia ed io mi rincamminai verso casa di Park Jimin.

Questo tizio viveva in un bel quartiere. C'erano molti alberi e il vento mi scompigliava piacevolmente i capelli allo stesso modo con cui muoveva le foglie e i fiori nel prato. Inoltre nei parcheggi vicino agli appartamenti erano ferme anche delle bellissime e lucide macchine, molto costose.
Entrai nel cortile e davanti al portone mi fermai di colpo, girando lo sguardo verso le file dei tasti dei citofoni di ogni rispettivo inquilino.
Attirò la mia attenzione quello con scritto Park e Lee nello stesso rigo, poi ignorai la cosa grazie all'arrivo di una signora anziana.
La donna arrivava dall'interno del cortile e aveva due buste in mano. Non sembravano pesanti ma volevo aiutarla e così le tenni aperto il cancello.
Lei mi ringraziò con tanto di tenero sorriso e poi scomprarì dalla mia vista, camminando nel viale alberato dove poco prima stavo facendo anch'io la stessa cosa.

Mi guardai un po' intorno e poi decisi di approfittare del cancello aperto per semplicemente entrare all'interno del cortile. Presi l'ascensore e percorsi un altro paio di scale fino a camminare verso la porta numero millenovecentodue. Quel condominio era molto grande, tanto da sembrare un centro commerciale.
Sospirai quasi in ansia e feci per bussare alla porta che però si aprì al primo sfioramento delle mie nocche sul legno freddo.
Corrugai la fronte stranito ma poi ripensai alle parole di Seokjin. Lui conosceva bene questo Jimin.
Sembrava essere una persona molto intelligente, dolce e gentile. E soprattutto davvero dedita al lavoro, ovvero il motivo per cui io ero qui.

Bussai in ogni caso fingendo di non aver notato la porta aperta. Magari lo aveva fatto apposta, era impegnato e così aveva tranquillamente lasciato aperto, aspettandomi. Si fidava dei vicini.
Dopo aver bussato e atteso qualche secondo entrai e mi ritrovai davanti ad un corridoio. Un corridoio silenzioso. Aprì la prima porta che mi capitò sotto mano ed entrai in un grande salone.

L'arredamento prevedeva colori scuri. Il divano era grande e c'erano molti cuscini al di sopra. C'era un grande spazio centrale e la televisione sembrava una di quelle più moderne. C'erano molti mobili all'interno ma sembravano non esserci data la grandezza della stanza, sembrava come vuota. Non che io guadagnassi poco ma la vita che faceva questo avvocato sembrava essere condivisa a spese da altri cinque stipendi.

«Park Jimin? È in casa?» Non rispose nessuno. Riprovai. «Sono Min Yoongi.»
Di nuovo silenzio. Ma? Dov'era finito.
Il silenzio venne presto sostituito da alcuni suoni. Rumori più che altro. Rumori di movimento che sembravano provenire da quella che doveva essere una grande e luminosa cabina armadio.
Non era possibile... Era rimasto chiuso dentro? E da quanto tempo?! Dovevo chiamare un'ambulanza? Aprì di scatto la porta con una leggera fatica. In effetti sembrava essere bloccata ma ciò che vidi all'interno della stanzetta era tutto fuorché ciò che mi aspettavo.

Un uomo completamente nudo, i capelli tinti di un biondo brillante. I polsi raccolti insieme da un paio di manette. Al collo un chocher che anche da fuori sembrava far del male dati i segni rossi.
Una mounthball ficcata tra le labbra carnose e rosse, che labbra, che non gli permetteva di parlare ma solo di mugolare in un modo che avrebbe dovuto imquietarmi e farmi andare via, cercare di eliminare la visione di quello strano ragazzo che si era lasciato trovare legato e come mamma lo aveva fatto in una cabina armadio, ma che invece mi stava risvegliando sentimenti contrastanti, sopratutto in mezzo alle gambe.

Anche le sue cosce erano legate da una fine corda che si allacciava ai polpacci e poi le caviglie.

Non riuscivo a distogliere il mio dannato sguardo da quello corpo. Era perfetto, era quanto più di più bello avessi mai visto. Il mio cervello non connetteva informazioni, azioni e movimento allo stesso tempo.
Quindi spalancai gli occhi, gli presi il viso tra le mani e... «Uh? Stai... Stai bene? Fammi togliere questo...»
Presi tra le dita la mounthball e lui sospirò.
Non mi guardò in faccia nemmeno una volta mentre io facevo il finto tonto e cercavo di togliergli le cose che aveva addosso. Andiamo chi farebbe tutto quello da solo? Poi cadde il silenzio.

- 34 + 35 ; ᵏᵒᵒᵏᵗᵃᵉ ʸᵒᵒⁿᵐⁱⁿ Where stories live. Discover now