capitolo uno

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Erano le sette e mezzo di sabato mattina, ed ero stata svegliata dalla lingua insistente del mio cane, Cocorita, che mi leccava ogni angolo del viso. Cercavo disperatamente di evitare che mi leccasse le labbra. Insomma, amo il mio cane, ma preferirei che fosse un ragazzo a baciarmi le labbra.

"Cocorita, basta, per favore!"
lei finalmente smise di lavarmi la faccia e scese dal mio letto, scodinzolando e correndo al piano di sotto. Io mi misi le pantofole e seguii il mio cane, andando in cucina, dove c'erano i miei genitori e mio fratello seduti al tavolo. Mio padre leggeva il giornale, non curandosi della mia presenza, mentre mia madre e mio fratello sorrisero appena mi videro.

"Buongiorno, cara."

"Buongiorno, mamma. Papà, Will."
Mi sedetti al tavolo, mio padre mi fece un cenno con la testa da dietro al giornale, mio fratello continuò a mangiare la sua colazione mentre abbozzava un sorrisetto. Io e mio fratello William eravamo molto legati, lui era il fratello maggiore. Mi aveva sempre saputo dare dei buoni consigli ed era stato la mia guida, al posto di mio padre. George Andrew Waller era un uomo di mezz'età, imprenditore di fama mondiale. Un uomo molto autoritario, sempre impegnato e chiuso nel suo ufficio. Non era mai stato un padre modello, e io e mio fratello ne abbiamo risentito.

"Cosa le porto, signorina?" Gilda uscì dalla cucina, con la sua immancabile tenuta grigia e un grembiule bianco. Ero molto affezionata a quella donna, era come una seconda madre per me. Ha sempre mantenuto un comportamento consono al ruolo che occupava, in presenza dei miei genitori. Quando, invece, era tenuta a badare a me e a mio fratello quando mia madre e mio padre erano via per affari, si dimostrava la donna che era in realtà. Non più formale, ma giocosa e spensierata. Gilda era una donna molto robusta, di colore, con dei capelli nero corvino e un sorriso smagliante più bianco del bucato appena steso. Tutti noi le eravamo molto affezionati.

"Gilda, carissima, portale quello che le porti di solito, a lei andrà bene."

"Subito, signora."

"Grazie mille cara."
Gilda sparì nell'ampia cucina per prepararmi la colazione che mi prepara ogni mattina da diciotto anni. Non ho idea del perché mi chieda ancora cosa voglio.

"Allora caro, c'è qualche problema con i tuoi affari?" mia madre rivolse il suo sguardo all'uomo autoritario che sedeva a capotavola, quest'ultimo piegò il giornale e lo appoggiò alla sua destra.

"La Robinson&co. ha dovuto vendere molte delle sue azioni, e questa è ovviamente una cosa positiva per la Waller Enterprise, siamo a cavallo. Quello stupido di Robinson si ritroverà presto in fallimento e tutti i suoi clienti passeranno a me, come è giusto che sia."
Sorrise soddisfatto, addentando una fetta di pane con la marmellata. Mia madre gli accarezzò il braccio con un sorriso d'orgoglio. Io mangiai in silenzio la colazione che Gilda aveva appena portato, mentre i miei genitori e mio fratello discutevano sulla scelta dell'università di quest'ultimo. I miei genitori insistevano a volerlo mandare ad Harvard, ma lui si opponeva, preferendo Yale.

Dopo aver chiesto il permesso a mio padre, mi alzai dal tavolo e andai a prepararmi per la mia solita corsa del sabato mattina. Gilda aveva già riposto la mia tuta e i miei polsini sul letto, che era ormai in ordine. Mi cambiai velocemente e mi feci una coda, prendendo il mio iPod e le mie cuffiette. Mio padre non approvava che io andassi a correre, perché era una cosa che facevano tutti e non era adeguata al mio rango sociale. Io non avevo mai dato retta a mio padre su queste cose. Sarò pure ricca, ma questo non vuol dire che io sia migliore delle persone che non hanno una vita agevolata come la mia.

"Tesoro, stai attenta." Mi richiamò mia madre. Io annuii e la salutai con un veloce bacio sulla guancia, mentre Richard mi apriva la porta. Gli feci un cenno di ringraziamento e cominciai a prendere velocità. Correre mi faceva sentire libera. Perlomeno, nei momenti in cui lo facevo, non sentivo l'aria opprimente di casa mia.

Il sudore cominciava a bagnare la mia fronte e la mia maglietta, mentre io respiravo affannosamente. Era molto presto, e nel quartiere ricco di Brooklyn non c'era anima viva. C'era solo un uomo dietro di me, a dovuta distanza. Non potevo vedere la sua faccia, ma era robusto con dei pantaloni di velluto neri e un maglione dello stesso colore. Un abbigliamento un po' pesante per il clima primaverile.

Cominciava ad aumentare il passo, mentre io correvo sempre più veloce. Il mio cuore palpitava ad un ritmo irregolare sia per la corsa che per quella presenza dietro di me, che mi stava ovviamente seguendo.

Mi girai di scatto per guardarlo, e senza accorgermene andai a sbattere contro Ben Onner, uno dei miei vicini di casa, che veniva a scuola con me, nonché mia cotta da due anni.

"Oddio Ben, scusami non ti avevo visto!" mi giustificai, mentre lui rideva della mia goffaggine, quanto era bello.

"Non preoccuparti Jamie, non fa niente."

"Scusami ancora, davvero."
Mi voltai e notai che l'uomo che pochi minuti prima mi stava seguendo era sparito.

"Allora Jamie, da quando corri?"
Ben attirò la mia attenzione e mi voltai fissando il suo meraviglioso volto.

"Uhm.. corro ogni sabato mattina. Sai, per scaricare la tensione." Lui annuì e si morse il labbro. Dio, avrebbe dovuto essere illegale.

"Senti, ti va di uscire qualche volta? I nostri genitori si conoscono molto bene, e so che sicuramente approverebbero." Le mie gote si accaldarono e il mio cuore cominciò a battere all'impazzata. Eravamo ormai davanti a casa mia, dopo che si era offerto di accompagnarmi. Non riuscivo a credere alle mie orecchie. Ben Onner mi aveva chiesto di uscire con lui. I miei genitori hanno sempre parlato bene della famiglia Onner, quindi mi lascerebbero uscire con lui senza pretese.

"Si, perché no."

"Sabato prossimo, allora. Ciao Jesse Owens."

"Jesse Owens era un uomo." Ridacchiai.

"Che differenza fa? A sabato." Si allontanò e io restai davanti a casa mia per quelle che sembrarono ore, ma che erano solo minuti. Il countdown sarebbe ufficialmente iniziato.

Per tutto il resto del pomeriggio feci i miei compiti e fantasticai su cosa sarebbe successo la settimana dopo, dimenticandomi completamente dell'uomo che poche ore prima mi stava seguendo. Dimenticandomi di quell'ombra.

"Tesoro, potresti per favore portare questa torta ai Jackson?" mia madre mi si avvicinò con una crostata ai lamponi appena sfornata. Chiusi il mio libro di biologia e mi misi le scarpe.

"Certo mamma, vado subito." Presi la torta e Richard mi aprì la porta e il cancello. La casa dei Jackson era due case dopo la nostra.

Mentre camminavo con la torta in mano mi guardai in torno più volte, ancora con l'ansia che qualcuno potesse seguirmi. Suonai alla porta dei Jackson e la loro governante ritirò la torta ringraziandomi da parte della famiglia.

Sentii dei passi dietro di me, mi voltai senza vedere nessuno. Quando poi cercai di proseguire per poter rientrare a casa mia, delle mani coperte da dei guanti di pelle neri si posarono sulla mia bocca, impedendomi di urlare. Una macchina nera si avvicinò all'istante e io venni caricata all'interno. Mi dimenai cercando di liberarmi senza successo. In strada non c'era nessuno. Nessuno aveva visto il mio rapimento. Nessuno avrebbe potuto testimoniare.

Riuscii ad intravedere due uomini, prima che mi addormentassero con una sostanza su un fazzoletto che mi fu violentemente messo sul viso.

Quando mi svegliai, mi ritrovai in una stanza fredda, grigia e triste. Ero accasciata in un angolino in posizione fetale. Quando alzai il busto, intravidi un altro ragazzo nella stanza con me. Era seduto per terra, con le gambe distese. Era biondo, con la chioma scompigliata, e aveva due scintillanti occhi azzurri. Mi scrutava con indugio.

"Dove mi trovo?" domandai, con le lacrime agli occhi.

"Benvenuta all'inferno."

Trap || Niall HoranWhere stories live. Discover now