Epilogo

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4 Aprile, Charing Cross,
ore 20.31 PM
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«Stai bene?»

«No» ridacchio, infilandomi le mani nelle tasche «e tu?»

«No»

La luna scalda la notte di Londra come una lanterna e mi sa che la strada dalla metro in poi l'ho fatta più nella mia testa che sulle mie gambe.

L'ultima fase del lutto sarebbe l'accettazione eppure io dubito che sarò mai capace di accettare la morte. È come se una parte di me continuasse a riviverla in loop, come se continuasse a disperarsi e a gridare: «Non doveva andare così! Non doveva andare così! Non doveva!» e allora è come se la realtà mi prendesse per la gola e invece mi sussurrasse: «Ma così è com'è andata»

Qualcuno ha detto questo prima di me. La morte in effetti visita tutti prima o poi. Però la loro morte è stata strana... è diversa e soprattutto non avrà sepoltura. Nessun funerale, nessun punto e a capo. Dostoevskij aveva scritto che alcune notti possono esistere solo quando si è giovani. Solo quando si è giovani e maghi e si porta il peso di aver dovuto sacrificare vite per salvare il mondo, aggiungerei io.

«A cosa stai pensando?»

«A Notti Bianche e tu?»

«Ad Hemingway... ma per te»

«Per me?»

«Mi hai fatto venire in mente una sua frase: sei così silenziosa e piena di coraggio che a volte mi dimentico che stai soffrendo»

«Non sono coraggiosa»

«Hai affrontato la strega più potente di tutti i tempi»

«Avevo un buco in agenda tra le sei e le sette»

Ride e mi prende sottobraccio. «Solo io e te possiamo parlare di letteratura dopo una mezza apocalisse»

«Beh sono sempre i nerd a sopravvivere alle apocalissi» ribatto.

Rimaniamo un po' in silenzio ad ascoltare i nostri stessi passi che si infrangono sull'asfalto, il vento che si strofina sugli edifici lattei del vicolo appena imboccato, con i lampioni accesi, al buio quasi sottili soldatini di ferro che seguono entrambe le fiancate dei marciapiedi e che si divertono a farci da scorta come luminose guardie metalliche, i cassonetti dell'immondizia, le scale anti-incendio che grondano fugaci scintille di luce miste a rugiada, i murales sotto cui dorme un senzatetto e in fondo, in tutto il suo decadente splendore, la scarlatta cabina telefonica che porta al Ministero.

Non la guardo. Faccio di tutto per non guardarla e non tornare col pensiero alla guerra che imperversa di sotto. Perché si Morgana sarà anche... anche morta ma il suo esercito non lo è.

Mi piego agilmente - stupendomi dato che fino a un'ora fa la caviglia pulsava ancora del veleno dello Schiopodo Sparacoda – e lascio nel cappello del barbone quelle poche sterline dimenticate nelle tasche dei miei pantaloni – e così fa Scorp nella speranza che almeno questo senzatetto domani mattina possa avere una colazione decente.

Me l'ha insegnato mia madre a lasciare sempre qualcosa... già... mia madre. Al "ritorno" nella sala ingranaggi lei non c'era quindi prego solo che si sia rismaterializzata al Ministero e non mi abbia cercato.

What's in a name? That which we call a RoseWhere stories live. Discover now