Fiordi e Banani

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Sospiro. In casa non c'è nessuno, per fortuna e posso finalmente avere un po' di pace. Nessun tipo di parente, no genitori, no suoceri, no promesse spose. Non ce la faccio.

Appena finisco di lavare i piatti, mi teleporto in sala e crollo sul divano, a occhi chiusi. Dieci giorni fa, ho chiamato Sal e abbiamo chiarito. Già ho un'anima troppo buona e il rancore non è parte di me, aveva una voce mogia e colpevole che mi ha fatto sciogliere. Sul momento ero incazzato per la frustrazione della tresca me-Dario-Angelica, poi mi sono incazzato con lui per l'outing, un gesto che poteva di gran lunga risparmiarsi, ma poi abbiamo parlato, lui ha spiegato di come volesse solo darmi una spinta, aiutarmi a fare qualcosa che probabilmente –sicuramente– non sarei mai riuscito a fare da solo e che non mi presserà più, perché intanto so già come la pensa. Io gli ho chiesto scusa, ho fatto dignitosamente retromarcia, ribadendo come lui possa essere e fare ciò che vuole e che io sono sempre dalla sua parte e, infine, gli ho ammesso che il problema sono io e non lui, né la famiglia in generale, né nessun altro. Alla sera, mi ha inviato una foto della sua birra e io una del mio succo alla pesca, nel nostro brindisi di scuse, poi mi ha mandato un meme blasfemo ed è tornato tutto alla normalità.

Mi hanno chiamato anche i nonni, insultandomi per non aver mai detto niente in più di un decennio, per stare con Angelica, per averle addirittura chiesto di sposarmi, per aver rifiutato Dario e per mille altri motivi. Insomma, erano incazzati per qualsiasi cosa, tranne che per la mia omosessualità. Mi hanno detto che saperlo o non saperlo non avrebbe cambiato la situazione, gay ero e gay rimango, nonno ha detto che è troppo vecchio per incazzarsi con me e nonna non vede l'ora di vedermi con un bell'ometto dal fascino italiano. Il loro discorso mi ha fatto sentire un po' meglio, ma non abbastanza da darmi una sufficiente quantità di sicurezza in me stesso. Che disastro di persona che sono. Un rottame umano.

Poi, il citofono. Sospiro, infastidito, mi rotolo giù dal divano, mi trascino all'ingresso e chiedo chi è.

«Da» biascica. Sobbalzo, gli apro, velocemente, spalanco la porta di ingresso e mi metto ad aspettarlo sull'uscio, probabilmente con un'espressione molto confusa. Appena entra nella mia visuale, inciampa in un gradino, barcolla verso di me e mi si lascia cadere in braccio. Perfetto, ottimo, aiuto.

«Santo Cielo, ma che ti prende?» chiedo, trascinandolo in salotto.

«No, sul letto» borbotta, a occhi chiusi. Sbuffo e ignoro il suo respiro caldo sul collo che mi fa venire la pelle d'oca, portandolo in camera. Faccio per buttarlo sul materasso, ma con un'incredibile prontezza dei riflessi, mi circonda il collo con un braccio e finiamo per crollare entrambi sul letto, uno sopra l'altro.

«Da, ma che cazzo...!?» sbotto. «Sei ubriaco?»

«Marcio» esala.

«Cos'hai bevuto?»

«Non ne ho idea... No, aspetta, ne ho idea, non me lo ricordo, ma era tutto molto buono»

«Hai guidato?»

«Sì...» mugola, colpevole.

«Porca troia, Da...»

«Scusami...»

«Ma dov'eri?»

«A casa di mio padre. Lo odio, mio padre. Lo odio davvero tanto.»

«Lo so»

«Odio anche te...» sussurra, poi. Mi irrigidisco e trattengo il respiro, sperando di aver sentito male. «No, cazzo, non è vero, non potrei mai odiarti, ti amo da morire» pigola, stringendomi di più a sé. Peggio di prima. Dario, che stai facendo?

«Da...»

«Non ti piaccio nemmeno un po', io?». Sì. Sì, sì e sì. Cazzo, Da, lo griderei al mondo intero quanto mi piaci, appenderei cartelloni pubblicitari per mostrarti quanto tu sia importante e fondamentale, attaccherei a un aereo uno striscione in cui ti confesso tutto l'amore e l'affetto che provo per te, fosse per me. Ma il "fosse per me" è andato a fanculo da tempo. Non c'è più un "fosse per me".

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