•LVI•

897 27 0
                                    


"Il mezzo più sicuro per perdere ogni guerra è impegnarsi su due fronti."
(Karl Von Clausewitz)

I rumori sopra di noi ci stavano rendendo letteralmente sordi. Sentivamo mine rotolare sul pavimento, per poi esplodere e migliaia di calcinacci abbattersi per terra. Un enorme polverone si alzò, quando il soffitto diede l'idea di voler cedere. -Merda! Non reggerà per molto.- Esclamò Ettore, con la pistola ben stretta sul fianco. Io buttai giù la saliva con amarezza e strizzai gli occhi, per togliere via un po' di polvere. -Dobbiamo uscire.- Sussurrai. Uno dei soldati che era con noi alzò le spalle, come dire "ma va" ed io mi vergognai di quell'affermazione così ovvia. Il mio cervello era andato completamente in pappa, non capivo più che strada stavamo facendo, verso dove stavamo andando e cosa stava accadendo sopra le nostre teste. Soltanto un gran casino, urla, colpi di fucile, spade l'una contro l'altra, corpi cadere a terra. -Eccola! Apriamola, tira in là.- Gridò Ettore, mettendo entrambe le mani su di un enorme chiavaccio in ferro. Gli altri uomini fecero uguale a lui e cominciarono a spingere con tutta la forza che avevano. Io mi morsi le unghie della dita dall'ansia e dalla paura, non facevo altro che voltarmi indietro nella speranza che Lorenzo apparisse dall'oscurità a braccia aperte, camminandomi incontro. Sospirai, quando mi arresi all'idea che non sarebbe successo. -Luce, tienimi questa.- Mi passò la sua pistola. Spalancai gli occhi. Un'altra di quelle armi infernali. Veri e propri oggetti creati per uccidere esseri viventi, quanto poteva essere idiota l'uomo? Costruire ciò che ti distrugge. Molto furbo direi. Con un grande scossone il portone in legno fece uno strano rumore e si spalancò, sollevando in aria la terra ai suoi piedi. Tossicchiai e camminai verso Ettore, che, con mia sorpresa, non rivolle indietro l'arma. -Perché?-
-Perché tra meno di cento metri saremo fuori e non mi servirà più...spero.- L'ultima parola fu come un sospiro, se non avessi avuto l'udito buono probabilmente nemmeno l'avrei sentita. E il fatto che l'avesse sussurrata non mi rassicurò molto, anzi mi mise ancora più terrore. Passo dopo passo ci inoltrammo in un lungo corridoio che somigliava molto alle vecchie gallerie di diamanti in cui mio padre mi portava da piccola. Peccato che questo corridoio in pietra fosse più stretto e basso, a mala pena riuscivo a stare dritta. Ettore aveva la schiena completamente curva e lo sguardo diretto davanti a sé. Era teso e spaventato, ma nonostante ciò dimostrava tenacia e coraggio. Ebbe ragione, pochi metri dopo iniziammo a vedere la luce. Ormai il sole stava per tramontare, ma qualche suo raggio ci stava aspettando all'uscita. Uno dei soldati drizzò, improvvisamente, le orecchie e ci fece segno di fermarci. Ettore alzò un pugno in aria e poi si voltò verso di me. -Dammi quella pistola.-
Dannazione, le cose non si stavano mettendo per niente bene. Con la mano tremante gliela passai e toccai quella che Lorenzo mi aveva dato poco prima, l'avevo messa tra la cintura dei pantaloni e le mutande. -Non voglio sentire volare una mosca, chiaro?- Disse, rivolto a me. Io annuii con poca sicurezza. Procedemmo a passo cauto e lento, cercando di non farci sentire troppo. La luce era sempre più vicina, ma così anche i rumori della battaglia che si stava combattendo poco sopra. Un piede dopo l'altro raggiungemmo l'uscita, il primo ad uscire fu uno dei compagni di Ettore, che si voltò verso di noi con un grande sorriso sulla faccia e le braccia spalancate, sembrava sollevato. Allora ci affrettammo a corrergli incontro, con la speranza a pompare il sangue nel nostro cuore. Ero felice di aver trovato una via di uscita, ma in qualche modo avrei dovuto avvisare Lorenzo. Lui doveva salvarsi. Io...forse io dovevo salvarlo. Tutto d'un tratto il sorriso del ragazzo si spense e la luce nei suoi occhi scomparve. Fu un attimo e la sua testa si staccò dal suo corpo, scivolando di lato, sbattendo per terra e rotolando via. Il corpo senza vita fece la stessa fine. Saltai all'indietro e non potetti non gridare, tutto quel sangue e quella testa mozzata. Fui traumatizzata. Ettore cercò di riportarmi dentro la galleria, ma qualcosa mi sollevò di peso, mentre ancora avevo le mani a tappare la bocca aperta dalla paura. In realtà non mi resi conto di nulla, era come se stesse succedendo tutto a qualcuno vicino a me e io stessi osservando la scena dall'esterno. Le orecchie mi facevano ascoltare, ma al tempo stesso non mi permettevano di elaborare cosa stava accadendo intorno a me, erano ovattate. Qualcosa di umido si posò sul mio collo, ma non ci feci caso perché ben presto tutto divenne nero, prima un insieme di dettagli sfocati e poi buio pesto.

Eppure fuggo                       •A royal love story•Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora