Seconda parte- Perché sei stata ľestate migliore della mia vita, è la verità.

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L'acqua, al contrario di quello che i ragazzi potevano pensare, non era poi così male. Certo recarsi in spiaggia alle sette del mattino quando ancora i raggi del sole non sono abbastanza forti per riscaldare l'acqua non aveva giocato a loro favore. Però non era poi così fredda. Questo era quello che si ripeteva Gerard come un mantra mentre tremava in acqua. Il mare, piatto come una tavola, arrivava a bagnarlo solo fino alle ginocchia, o poco più su, non aveva il coraggio di immergere il resto del corpo, sarebbe stato troppo traumatizzante. Frank e Mikey non facevano altro che dirgli che "non è freddo, è fresco" e che "se non ti immergi tu lo facciamo noi con la forza", ma il maggiore li ignorava prendendosi i suoi tempi, già non aveva avuto il migliore dei risvegli. Sentire sua madre gridargli dall'altra stanza di muoversi perché altrimenti avrebbe fatto tardare tutti alle sei e un quarto del mattino non era un risveglio che consigliava. Poi non capiva neanche quella fretta, il mare distava dieci minuti di macchina, che aveva guidato lui, e a prepararsi ci avrebbe messo massimo un quarto d'ora. Per uno come lui e suo fratello per cui l'estate era sinonimo di piscina comunale il mare doveva essere un'occasione da non perdere, una di quelle cose che vuoi fare a ripetizione finché puoi, e sicuramente era così, ma non alle sette del mattino con l'acqua fredda fino alle ginocchia. «Gee dai muoviti!» lo stava rimproverando Mikey che stava solo aspettando il terzo per potere giocare a pallavolo, ma il suo fratellone non si mosse di un centimetro esordendo con «Mi muovo quando mi muovo, ho i miei tempi!». A quella affermazione Frank lanciò la palla a Mikey e iniziò a guardare il più grande, che teneva le braccia conserte come per riscaldarsi, con uno sguardo a metà tra il divertito e il giocoso. Si stava avvicinando molto lentamente al ragazzo continuando a tenere la stessa espressione in volto. Gerard che non era affatto stupido sapeva cosa voleva fare Frank e ne aveva molta paura, non c'era nulla di peggio di quando al mare ti vogliono schizzare con l'acqua gelata. Iniziò ad indietreggiare allo stesso ritmo con il quale Frank procedeva in avanti, iniziò a coprirsi con le mani. «Frank no!» provò, «Frank ti lascio a piedi» continuava a tornare indietro, «Frank! Fra-» non fece in tempo a finire il suo ultimo tentativo di minaccia che il più giovane si era già scagliato addosso a lui buttandolo in acqua. Frank non aveva chissà quale forza e purtroppo anche Gerard non era da meno, per questo non non era stata un'impresa difficile quella di sovrastarlo e trovarsi sopra di lui in acqua. Dire che i loro corpi fossero vicini era un eufemia, erano appiccicati e si stringevano l'uno all'altro. Gerard si stava aggrappando a lui per evitare di affogare, nonostante il livello basso dell'acqua, ma l'istinto di sopravvivenza stava avendo la meglio. Frank riuscì a staccarsi e a tirarlo su, con un sorriso dipinto in volto chiese, «Meglio ora? Dai, vieni a giocare». Gerard lo guardò storto, arrabbiato, ma non solo perché lo aveva buttato in acqua, ma anche perché una parte di sé voleva ancora avere Frank così vicino. Finalmente raggiunsero l'altro che era rimasto lì fermo impalato ad aspettarli, «Ce l'avete fatta finalmente» sospirò e iniziò la partita che si prolungò per tre quarti d'ora. Tutti e tre non erano degli assi nello sport, infatti erano più le volte che la palla finiva in acqua che i tiri che andavano a segno, il numero più alto di passaggi che erano riusciti a fare era otto. Ora si trovavano stesi sotto un sole più caldo, che minacciava di scottarli, nel tentativo di asciugarsi. Non avevano dato retta ai loro genitori, non si erano portati né ombrellone per creare dell'ombra né della crema solare, perché per loro bastavano dei teli da mare ed un paio di bottigliette d'acqua. Frank si trovava seduto tra i due fratelli. «Devi ancora rispondere alla mia domanda» iniziò Gerard dal nulla. Non ci volle però nulla in più per fare capire a Frank a cosa l'altro stesse alludendo, «No, in realtà non mi manca» disse guardando come in entrambi si stava dipingendo un espressione incredula, non capivano come si potesse preferire una città in Italia a New York. «All'inizio non l'avevo presa benissimo naturalmente. Però a New York non avevo nulla da perdere, non mi sarebbe mancato davvero nulla, non è stato come quando ho lasciato Belleville. Poi qui in Italia dopo un inizio un po' lento mi sono trovato davvero bene, e c'è bella gente». Lasciare Belleville era stato nettamente più difficile, aveva lasciato i suoi amici, amici che a New York non si era mai riuscito a fare. «Quindi tu non ci torneresti in America?» domandò Mikey dato che Gerard ci stava ancora pensando. «Non dico questo, magari un giorno, infondo lì ci sono nato. Però mettiamola così, gli studi li finirò qui, poi magari per una carriera lavorativa potrei tornarci in America, chi lo sa» disse calmo godendosi i caldi raggi del sole. «Figo, io ho una capacità di adattamento pessima, invece tu ci sei riuscito» quello era un complimento sincero da parte sua. Gerard già per una stupida vacanza si lamentava e la trattava come se fosse un affare di stato, invece Frank aveva accettato di andare un in altro continente, un altro stato, con un'altra lingua, e teneva sempre il sorriso in volto. Lo invidiava, decisamente. «Perché sei sempre così allegro?» chiese non pensandoci, memore di non averlo mai visto triste fin da piccolo, «La vita va vissuta e affrontata con il sorriso. Guarda, è una bella giornata, perché dovrei avere il broncio?» disse esplicativo voltandosi in sua direzione e con un cenno del braccio gli indicò tutto il bello che li circondava. A Gerard non convinse però come risposta, ma preferì non insistere «Da piccolo il tuo sorriso mi inquietava» disse Gerard togliendosi gli occhiali da sole, «Anche a me» si unì Mikey continuando a stare steso. «Grazie» rispose stendendosi di nuovo con tono allegro.

It's a Good Day // FrerardDove le storie prendono vita. Scoprilo ora