Prologo

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Avvertii un dolore lancinante alla nuca e mi ritrovai in qualche modo supina. I margini del mio campo visivo si offuscarono ma vedevo ancora il cucciolo di cane davanti a me che ringhiava tra le mie braccia. Aveva gli occhi azzurri luminosissimi e mi concentrai su di essi mentre il fuoco divampava intorno a me e il fumo mi rendeva difficile respirare. Non molto lontano giaceva mio padre, immobile, le braccia lungo i fianchi, del sangue che gli colava dalla testa e il corpo ghermito dalle fiamme. Un terrore gelido strisciò dentro di me, si insinuò tra le ossa, mi stritolò il cuore mentre un urlo cercava di uscire dalla mia gola senza riuscirci. Mia madre gridò il mio nome disperatamente mentre cercava di raggiungermi, venendo bloccata dalle fiamme. Una parte del tetto le crollò accanto e comparve una figura alle sue spalle. L'ultima immagine che vidi fu lei che alzava un coltello per fronteggiare lo sconosciuto, poi l'intera casa crollò proprio mentre il cucciolo mi si raggomitolava sul petto.

Per un po' vidi tutto nero, ma non ero ancora incosciente e in quel momento pensai che forse l'oblio non era una cosa tanto negativa, a volte può evitare di farti impazzire.

Poi le tenebre mi avvolsero e non sentii più nulla. Fluttuavo leggera nell'oscurità, ero una piuma trasportata dal vento, non riuscivo a pensare a niente e nemmeno lo volevo. Stavo così bene lì, ci sarei rimasta per il resto dei miei giorni, purtroppo però la vita non era del mio stesso parere e con uno strattone mi riportò alla realtà. 

Non aprii subito gli occhi e dietro le palpebre chiuse cominciarono ad affollarsi le immagini dei miei genitori morti, del tetto che crollava, del fuoco. Cominciai a farmi prendere dal panico poi avvertii un cuscino sotto la testa e un lenzuolo che mi copriva il corpo mentre qualcosa mi toccava delicatamente il braccio. E' stato tutto un sogno pensai ora io sono a letto e questa è la mamma che mi sveglia per andare a fare colazione con papà, come ogni domenica mattina.

Tirai un sospiro di sollievo e aprii gli occhi. L'odore di disinfettante mi assalì con la potenza di un treno in corsa facendomi venire un capogiro mentre mettevo a fuoco la stanza e mi rendevo conto di essere in un lettino d'ospedale. Vicino al letto c'era una sedia sulla quale era seduto il cucciolo che mi strofinava il muso sul braccio. Aveva la pelliccia nera con delle strisce ancora più scure e i suoi occhi erano azzurri come l'acqua di un laghetto di montagna, luminosi come se risplendessero di luce propria. Erano inconfondibili: appartenevano al cucciolo che i miei mi avevano regalato quel giorno. Era l'ultima prova che mi serviva: non era stato tutto un sogno e i miei genitori erano morti veramente.

Finalmente l'urlo che mi era rimasto in gola fu libero di uscire mentre lasciavo che le lacrime mi rigassero il viso e stringevo tra le braccia il cucciolo che non si lamentò.

In quel momento seppi che l'avrei chiamato Nix, neve in latino, perché quella notte, quel 12 ottobre di cinque anni fa la neve scese sul mio cuore e vi rimase per molto, molto tempo.

Quando scende la neveWhere stories live. Discover now