Capitolo 11 - il figlio di Aliteo

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Mi era toccato il cavallo agitato. Non potevo distrarmi un attimo che mi tirava in giù con le redini, tentava di sgroppare o di girarsi per mordermi. Maledetto.

Per fortuna andare a cavallo, per me, era automatico quasi quanto respirare, altrimenti non avrei resistito tanto.

C'eravamo allontanati di corsa dal castello, seguendo la strada sterrata che avevo visto percorrere dalla carrozza non saprei dire quanto tempo prima. Dopo un po' avevamo rallentato l'andatura, così da riposarci nel caso fosse stata necessaria una fuga. Mi doleva all'incirca ogni parte del corpo, soprattutto quando il cavallo si agitava troppo sotto di me. Perlomeno, quella parte di Fendiroccia pareva deserta e tranquilla e potemmo goderci un po' di pausa dopo tanta fatica.

Ne approfittai per prendermi un po' cura delle mie ferite. Mi sfilai lo zaino dalle spalle e bevvi a piccoli sorsi dalla borraccia; strappai poi un lembo della maglietta ridotta a stracci, lo inumidii e me lo passai su tutto il corpo. Tirarmi via il sudore dal viso e rinfrescarlo fu salvifico. Nonostante ciò, dopo circa cinque secondi mi ritrovai ugualmente sudata.

Mentre ero intenta a pulire il pomello della spada, imperlato di sangue, Keta uccise il silenzio schiarendosi la gola. «Va meglio?» domandò subito dopo.

«Insomma, mi bruciano le ferite e il caldo è sempre opprimente. Sicuramente meglio di quando mi hai salvata al castello, comunque.»

Mi feci aria con il panno, anche se era probabilmente solo uno spreco di energie.

«A proposito, come hai fatto a trovarci?» gli chiesi a bruciapelo.

«Ho visto una specie di... erano come dei fuochi d'artificio floreali, bianchi e viola. Devi averli visti anche tu, provenivano proprio da dove vi ho trovati.»

Feci un sorriso sornione. «Certo, li ho provocati io, i tuoi "fuochi d'artificio floreali"» replicai mimando le virgolette con l'indice e il medio.

«Sul serio? Credevo fosse un qualche scherzo di buon gusto.» Se era colpito, non lo dette a vedere.

«Lo prendo come un complimento.»

Rimasi un po' delusa, ma dopo mezzo minuto mi sollecitò: «Allora, vuoi dirmi come hai fatto?»

«Era una semplice freccia. Vi ho legato dei fiori particolari... la pianta da cui li ho colti la chiamano vite fantasma da dove vengo io.»

«Geniale. Ti hanno insegnato come farle nell'accademia di Specchialuce?»

Feci di no con la testa. «Non c'è un'accademia, a Specchialuce. Ho imparato da sola e grazie all'aiuto di mio padre.»

«Oh, è vero, da voi e a Liunene non c'è un vero e proprio esercito.»
Lo disse quasi come se avesse voluto cambiare questa cosa. Mi chiesi se desiderasse che non vi fossero soldati in nessuna contea, oppure se fosse amareggiato perché sperava ve ne fossero di più. Noi figli di Heket e i figli di Veive siamo sempre stati popoli tranquilli, in pace con la natura e con gli altri, quindi non vedevo il motivo per cui avremmo dovuto avere più guerrieri. Le contee più burrascose erano Lloyd, Ordya e Gelaurora, tra le quali talvolta vi erano delle scaramucce che necessitavano di interventi armati.

Keta interruppe i miei pensieri. «E cosa te ne facevi, di quelle frecce?»

Sperai di non addentrarmi in una conversazione troppo privata. «Io e papà ci allenavamo insieme nei boschi, le usavamo per evitare di perderci.»

«Sei fortunata ad aver avuto un padre umano. I genitori divini sono sempre poco presenti.»

«Ne deduco che tu sia un diretto figlio di Aliteo.»

La figlia dell'IngannoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora