Mille vite

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(Questo capitolo contiene parolacce)

Avevo avvertito Thomas ed Ethan della mia cazzata, mi confessarono che era stata Vic stessa a vietargli di ricordarmi dell'anniversario della scomparsa di sua madre. Mi aveva messo alla prova di nuovo e avevo fallito miseramente.
Avevo cercato la ragazza ovunque, tutta la notte, ed ero stremato. Non c'era alla sala prove, non era alla casetta, non era a casa sua - Nica era un po' preoccupata - e non c'era neanche nei locali che frequentavamo di più.
I ragazzi non avevano notizie ma io gli avevo detto di non uscire a cercarla, avremmo sprecato energie inutilmente in troppi.
Mi fermai solo verso le 5.30 del mattino per andare in un bar per bere un caffè doppio e fumai un paio di sigarette, dovevo riprendermi dalla ricerca estenuante. Avevo i capelli sfatti e mi feci un codino alto per dargli un senso, mi sentivo il corpo stanco e un mal di testa fastidioso.
Decisi di dormire in auto almeno un'oretta; parcheggiai in un posto un po' isolato e sdraiai il sedile e chiusi gli occhi.
Feci un incubo che non mi fece più riposare, sbuffai contro me stesso. Mi passai una mano sulla faccia magra e sospirai finché non mi arrivò un messaggio.
"Victoria è tornata a casa, ho già avvisato io gli altri. Non sta per nulla bene", mi aveva scritto Nica, mi sentii sollevato e preoccupato nello stesso momento. Misi in moto l'auto e guidai veloce verso casa sua bruciando qualche rosso. Parcheggiai malissimo sul marciapiede, non mi importava se mi avessero portato via la macchina, e suonai un paio di volte.
Il portone si aprì e salii le scale due a due fino al quarto piano, mi bruciavano i muscoli. La porta era socchiusa, il padre di Vic mi fissò serio.
"Nica le sta facendo compagnia. Non ti alzo le mani solo perché mia figlia tiene a te più di quanto io possa concepire, e perché mi ritroverei tutti i tuoi fan qua sotto", disse con voce irritata.
Annuii e senza dire nulla mi diressi in camera sua; la conoscevo a memoria.
Da quando era morta sua madre, la sua stanza si era trasformata da quella di una bambina a quella di una ragazza grande. Aveva tolto quasi tutti i poster dalle pareti e le aveva fatte dipingere di bianco e verde menta chiaro, aveva messo una griglia per tenere in ordine i suoi bassi e sulla scrivania era appoggiato un Macintosh di ultima generazione insieme ai quaderni dove si appuntava cose di musica.
Il letto ad una piazza e mezzo era occupato dalle due ragazze: così simili eppure così diverse ma sempre inseparabili.
Nica sollevò la testa e mi guardò malissimo, anche nella penombra quasi totale della stanza percepivo la sua ostilità verso di me.
"Ciao", mormorai piano. Lei si alzò dal letto mentre la sorella continuava a singhiozzare piano.
Non mi capacitavo del dolore che stava provando e di quanto io ne avessi provocato con il mio carattere di merda e le mie solite cazzate.
Che testa di cazzo che sono, mi dissi e mi tolsi la giacca e le scarpe, sciolsi i capelli dal codino che iniziava ad infastidirmi.
"Non so quanto possa perdonarti questa volta. Io ti voglio bene, lo sai, e comunque non mi arrabbierei per questo... ma lei, lo sai com'è. Poi non potevi scoparti quella da un'altra parte? Che cojone", mormorò fissandomi con i suoi occhioni grandi e scuri.
Non le risposi, in fin dei conti aveva ragione cosa avrei dovuto dirle?
Uscì socchiudendo la porta e ci lasciò soli.
Mi sedetti sul letto, dalla parte lasciata libera da Nica, e le sfiorai una gamba nuda che sbucava da dei pantaloncini con sopra i personaggi Disney.
Lei era così: sul palco una femme fatale che faceva sognare tutti e che dava fuoco al suo basso, a casa una ragazzina ancora bisognosa delle coccole e che sognava un'amore importante.
Scostò la gamba al mio tocco e affondò di più il viso nel cuscino bagnato di lacrime e mascara sciolto.
"Eddai... sai che sono un cretino. Scusami", sussurrai piano e mi sdraiai vicino a lei mantenendo sempre la distanza.
"Sei stronzo forte, ti odio", singhiozzò. Non aveva tutti i torti, comunque.
"Sei gelosa delle altre? Sai che ho occhi solo per te", cercai di scherzare ma con un fondo di verità.
Mi diede un calcio e mugolai fingendo dolore.
"Mi manca la mia mamma", gemette piano e sospirò tra una lacrima e l'altra.
Le sfiorai i capelli biondi e morbidi, questa volta non si mosse e mi avvicinai un po' con il corpo al suo.
"Lo so, piccola. E vorrei tanto poterla riportare da te. Sono certo però che lei è fiera di te anche da lassù, come lo è sempre stata. Spero tu possa perdonare il mio egoismo, almeno un po' ", risposi e la abbracciai finalmente.
La strinsi al mio petto e lei si rannicchiò come una bimba in cerca di protezione.
Le lasciai piccoli baci tra i capelli e girò il viso verso di me, le baciai una guancia umida.
I suoi occhi azzurri sembravano brillare nella scarsa luce della stanza e mi fece male pensare che almeno la metà di quelle lacrime erano colpa mia.
Col pollice ruvido le asciugai il viso.
"So' un cojone, lo so. Non odiarmi troppo, se puoi", la implorai quasi.
Lo sbruffone, egoista e narcisista Damiano aveva lasciato il posto ad un ragazzino quasi impaurito di perdere una delle persone più preziose della sua vita.
Era troppo tempo che mi comportavo male e, forse, avrei continuato a farlo ma non più con lei o in sua presenza. Mai più.
Deglutii il piccolo nodo che mi si era formato in gola e appoggiai le labbra sulle sue, senza pensarci. E mi presi un altro piccolo schiaffo, sempre sulla stessa guancia.
È un vizio allora! pensai e la fissai confuso.
"Io sono triste e tu mi baci, ma ti sembra il caso?", domandò quasi sconvolta ma qualche secondo dopo iniziò a ridere.
"Te sei tutta matta", sbottai e per punizione iniziai a farle il solletico sui fianchi. Ridemmo insieme, rise come non faceva da un po' e io ne fui contento.
Si arrese e si mise a sedere con le gambe incrociate dopo aver ripreso fiato ed essersi pulita la faccia con il dorso della mano, feci lo stesso sedendomi di fronte a lei.
"Davvero, Vic, scusa. Sai che non penso mai a quello che faccio. E poi m'ero fatto prende' dall'entusiasmo de cantà e poi dopo l'alcol e quella ci stava e quindi me so' perso", le dissi sincero.
Lei accennò un sorriso.
"Sì, 'o so che sei stronzo. Non so manco io che volevo, però ce so' rimasta male che non m'hai detto manco 'na parola pe' mamma, questa volta. Comunque puoi farti tutte le tipe che vuoi", rispose e ci rimasi male, ancora una volta. Quella ragazza sapeva ferirmi con poco, sempre.
Arricciai il naso non contento dell'ultima frase, pensavo che anche lei provasse qualcosa per me ma ogni volta sembravo illudermi.
"Bene... direi che stai meglio. La mia missione è compiuta. Scrivi a Thomas ed Ethan, sono in pensiero per te", le dissi fingendomi indifferente.
Mi rimisi scarpe e giacca e la salutai, lasciandola seduta sul letto.
Salutai la sorella ed il padre e uscii da quella casa. Mi sentivo un peso sul petto e mi infastidiva parecchio.
Entrai in auto, accesi la solita sigaretta e me ne andai abbastanza in fretta. Non avevo una meta ben precisa.
Schiacciai ON sulla radio ed un certo Peligro stava cantando un ritornello: "Mille vite un secondo ma quaggiù chi tesse la trama,
strade unite fino in fondo già quando la Vita ci chiama".
Mille vite vorrei darti pur di vederti felice, fin dal momento zero in cui ti ho conosciuta, aggiunsi canticchiando nella mia testa mentre la strada liscia scorreva sotto le ruote della macchina e cercavo di allontanarmi il più possibile dal dolore.

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