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SIXTEENTH EPISODE
continuo a guardare il mio armadio.
durante le prime tre settimane, non ho mai avuto problemi su come vestirmi, oppure su come presentarmi. non lo so, ma oggi ho qualche problema. ma alla fine si ricade sempre sul solito.

indovinate un po'? shorts e top. l'unica cosa che mi piace variare sono i capelli. per fortuna mi stanno bene un po' tutte le acconciature. tiro su i capelli in una coda alta, e afferro lo zaino.

scendo le scale di fretta, e come sempre, quando la mattina viene servito il banchetto per la colazione, di solito il mercoledì, e il venerdì, prendo un cesto per il picnic, e ci infilo dentro delle cose per la colazione.

strano che i miei non ci siano. e neanche elinor. spero solo abbiamo lasciato gli outer banks, l'unica cosa che voglio sentirmi dire.


per il passaggio, mi faccio accompagnare dal ragazzo che porta l'auto di famiglia. non so come si chiami, ne lui, ne il suo ruolo lavorativo. mi limito a dargli le indicazioni per lo chateau, nello sprofondo.

"è sicura di voler andare li signorina? quelli non sono quartieri ottimali" suggerisce, ma nonostante ciò, mette sul navigatore dell'auto le indicazioni.

"non si preoccupi, faccia il suo lavoro" faccio un sorriso a trentadue denti, incitando l'uomo a partire.


passato il ponte che collega figure eight con il the cut, mi ritrovo nelle stradine poco curate e abbandonate di questo quartiere.
e poco dopo davanti allo chateau, con la sua enorme quercia che lo caratterizza.

scendo dall'auto, ringraziando del passaggio. nelle mie orecchie i rumori dei cinguettii, e poi quello degli spari. a quanto pare jj fa ancora pratica nel poligono.

gli altri invece sono nel giardino, seduti su una tovaglia a quadretti, che definirei direttamente tovaglia della nonna. è carina però, mi ricorda gli anni ottanta.

dopo averli salutati, i tre si fiondano come dei corvi sul cibo: brioches, torte di mele, cupcakes, frutta, biscotti. di tutto e di più esce dalla cucina hawkins.

non si mangia nulla, quindi sprechi di cibo inutile, non capisco ancora perché facciano cucinare tutte queste cose. e pensare che jonelle lavora per la fame del mondo, salvare specie nell'atlantico. si, a quanto pare, credo ci tenga tanto al suo lavoro.
e lo esegua con interesse, soprattutto.

"cavolo, non c'erano le crostastine che hai portato l'altra volta?" sbuffa john b, osservando all'interno del cestino da picnic. "accontentati di quel che c'è, ho letteralmente preso tutto" mi siedo accanto a kiara, o mia cugina, strano a dirlo.

afferro la torta di mele, che io letteralmente amo.
"sai che la plastica degli stampi con cui vengono fatti i cupcakes, sono nocivi alla salute dei delfini? e sai che questo piattino di plastica su cui hai messo i biscotti può metterci millenni a distruggersi da solo, e nel frattempo potrebbe essere ingerito da una tartaruga? basta, non mangio più nulla" kiara incrocia le gambe e le braccia, dipingendo un broncio sul suo viso. "mi sembra tutto così esagerato" esclamo.

"lei è esagerata, fidati" dichiara pope, che fino a quel momento stava divorando i brownies. "ma jj? non mangia?" domando, preoccupata. cavolo, devo smetterla.

"boh, è nel poligono inventato da circa un'ora" risponde john b, nello stesso momento mi alzo e vado sul retro a cercarlo.

dovrei fare una promessa con l'universo: ogni volta che non sono preoccupata per lui, ricevo un pezzo di torta. così da essere motivata a non esserlo, insomma.

è seduto sul tronco, che guarda fisso ciò che ha davanti, ovvero il nulla. lattine sparse ovunque, ognuna con un foro. un colpo di pistola.

"hey, ho portato la colazione" dico, avvicinandomi, per attirare la sua attenzione. mi accerto che non sia quella sinistra, ovvero quella ferita. "ok" risponde freddo, alzandosi e dandomi una spallata, per liberarsi la strada.

sιmιᥣᥲr // jj maybankDove le storie prendono vita. Scoprilo ora