32. ᴛᴏ ᴍᴀᴋᴇ ᴛʜɪɴɢs ʀɪɢʜᴛ

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Il mondo per Charlotte si era fermato nel momento in cui aveva messo piede in quella stanza.
Braghin aveva parlato a lungo, spiegando quando sarebbe avvenuto il trasferimento, quanto le sarebbe spettato in soldi, la formula vera e propria dell'affare, ma lei non aveva sentito una parola.

E quando lui le aveva porto la penna mettendole il contratto definitivo sotto il naso, aveva iniziato a sentire le lacrime agli occhi.
Tutto svanito, improvvisamente.
Per colpa sua.
Aveva fallito.
Aveva deluso tutti quelli che credevano in lei.
Aveva perso tutti quelli che pensava di aver soddisfatto.
Chi pensava di aver amato.

La mano tremava mentre avvicinava la penna al foglio, le lacrime salate erano piccole gocce che tempestavano quel pezzo di carta più decisivo nella sua vita.

Per la Juventus lei era stata una scommessa.
Avevano rischiato per lei, e lei aveva giurato di dimostrare di valere quel rischio.
Aveva fallito.
Per la Juventus, ora, lei era una scommessa persa, e l'avrebbero dimenticata in fretta.

Per lei, tuttavia, non sarebbe valso lo stesso.
La Juventus non l'avrebbe dimenticata mai.
Quei pochi mesi più belli della sua carriera le passarono davanti velocemente, mentre cercava di ricordarsi come si scrivesse il suo nome per poter firmare.

Accadde tutto in un secondo: la porta dell'ufficio aperta bruscamente, Braghin che protestava su quell'intrusione poco gradita, le orecchie che le fischiavano mentre alzava lo sguardo per vedere Weston McKennie davanti a sè, la prima e unica persona che avesse mai amato davvero e che le avesse insegnato a fare dei difetti punti di forza.

La penna le scivolò di mano e rotolò sul tavolo, prima di cadere a terra. Con un rumore sordo, la sedia si trascinò indietro sul pavimento, e Charlotte corse tra le braccia di Weston.

Braghin si rassegnò al fatto che i due avessero bisogno del loro tempo, e seppur alterato per l'interruzione uscì borbottando come una pentola di fagioli, richiudendo la porta.

Le orecchie di Charlotte smisero di fischiare, e finalmente tornò a sentire tutto chiaramente: i propri singhiozzi contro il petto del texano, il suo tocco dolce che la stringeva ricordandole quanto le fosse mancato e il chiacchiericcio lontano nei corridoi.

«Non pensavi davvero di andartene senza prima avvertirmi.» commentò scherzosamente Weston, ma nonostante l'ironia la sua voce tremava, i suoi occhi erano lucidi e sulle guance vi erano chiari segni di poche ma significative lacrime, perchè per lui Charlotte era importante come nessun altro al mondo.

La ragazza tirò su con il naso, stringendo le braccia attorno al corpo di Weston.
«Non ho più motivo di farlo ora. - sussurrò - Sei arrivato qui e soltanto guardandomi mi hai fatto capire di restare. Appena hai aperto la porta e ci siamo guardati, ho capito che sei il motivo per cui dovrei restare.»

Weston la allontanò leggermente da sè, giusto per guardarla in faccia.
«Quando sei diventata così sdolcinata?» chiese ridacchiando per mascherare gli occhi lucidi.
Ironizzava, come sempre, ma aveva apprezzato quelle parole non da lei, dettate forse da qualcosa più grande di tutti e due. Avrebbe voluto chiederle di ripetere, ma sapeva che lei l'avrebbe preso in giro a vita per il suo fare da sottone.

Eppure trovò lo stesso il modo di deriderlo affettuosamente.
Infatti, alla domanda rise anche lei, e le si illuminò il viso dopo quel pianto disperato.
«E da quando tu hai gli occhi lucidi?»

«Sei proprio pignola.» ribattè l'americano stringendola a sè, come se avesse paura che potesse provare ad andarsene un'altra volta.

«Scusami. - disse poi Charlotte - Scusa se non ti ho detto di Julian, se ti ho tenuto nascosta una cosa del genere ma avevo paura... avevo paura di perderti, che te ne andassi senza più tornare, che pensassi male come poi effettivamente è successo, perchè io-»

𝐍𝐄𝐕𝐄𝐑 𝐆𝐎 𝐀𝐖𝐀𝐘 || Weston McKennie Where stories live. Discover now