La città eterna

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Scendiamo dal volo. Le sette precise. Tira un vento pazzesco. Fa un freddo cane. Erika ha il suo braccio sulla mia spalla, mentre scendiamo le scale per andare alla stazione. Il treno è pieno di uomini che si recano a lavoro. Io ed Erika sembriamo due turisti in luna di miele. Nessuno lo sa, ma noi abbiamo un piccolo monolocale nel centro di Roma. Andiamo durante le giornate vuote, quando non sappiamo che fare. Ci andiamo per avere ispirazione. Si trova proprio nei pressi della fontana di Trevi. La gente passa avanti e indietro e ti senti in compagnia in mezzo a tanti sconosciuti.
Adesso camminiamo veloce in mezzo ai piccioni. Saliamo le scale. Apriamo la porta. Ed ecco il nostro monolocale modernissimo.

La prima volta che ci venni avevo 18anni. Ero fidanzata con Sole. Una ragazza stupenda. Piena di vita. Era il suo nome fatta persona. Poi però a causa di quella brutta malattia lei morì tra le mie braccia in questo monolocale. Era giorno. Il giorno più bello per morire. Il sole alto nel cielo gli uccelli che cantavano. Lei era seduta vicino al balcone. Ormai non riusciva neanche a parlare. Lo sapevo già che da li a poco sarebbe morta. Ma non pensavo cosi presto. Niente mi poteva preparare alla sua perdita. Le stavo leggendo il mio primo libro da poco pubblicato. Quando ad un certo punto non la sentii più respirare. Era più pallida del solito. Era morta a 17anni con il sogno di diventare cantante e i capelli rossi. Era morta ascoltando la mia voce e tenendomi per mano. La sua perdita fu un fulmine a cielo aperto. Mi avevano strappato il cuore dal petto senza che io mene accorgessi. Era stato tutto così veloce. Per fortuna che c'era lei. Erika. C'era lei con me. Già conoscevo quella ragazza di città. Eravamo grandi amiche da molto tempo.
Mi innamorai di lei solo per colmare il vuoto lasciato da Sole... ma adesso quello che provo per Erika non si può descrivere.

-Hey tutto bene? -mi chiede Erika. Io sto ferma davanti all'entrata di casa. Lei posa le valige a terra e mi viene incontro.
-Viola se vuoi andiamo in un albergo.. -
-No amore sto bene...era da tanto tempo che non ci venivamo...dal tuo incidente... è stato come essere invasa da ricordi belli e brutti contemporaneamente...-,prendo fiato ed entro.
Su un mobile vicino all'entrata c'è una foto di Sole e me. La guardo e passo avanti. Erika sfa i bagagli. Io apro le finestre e il balcone. Anche se fa un freddo cane dobbiamo cambiare quest'aria viziata.
-Che si fa? -le chiedo scocciata.
-Mmh facciamo l'amore... - ribatte lei. Io la guarda sbalordita. È strano lei non lo vuole mai fare.
-....oppure posso darti una mano per il libro.... oppure scendiamo e andiamo a vedere la città che tanto ami e che conosci a memoria....-dice lei.
-Beh... direi che visitare per l'ennesima volta Roma non mi annoia...ma sono stanca fin troppo stanca... -rispondo.
-Allora siediti qua vicino a me e parliamo un po'... tutto quello che vuoi... -mi invita.
Io mi siedo sul divano tra le sue braccia.
-Ti va di raccontarmi quello che hai sognato l'altro giorno? -mi chiede lei sussurandomi all'orecchio.
-Beh non era niente di che... è stato solo un brutto sogno... -rispondo. Ma lei non è soddisfatta. Quindi inizio a parlare.
-...ho sognato la morte di mio fratello Jonathan... ho sognato quella strada buia... io che corro il sangue e il rumore che fanno i miei passi... è incredibile per quanto io cerchi di sforzarmi non riesco mai a ricordare il seguito.... mi ricordo che arrivo nel luogo dell'incidente ma dopo mi risveglio nella casa della zitella del paese. Lei mi sorride e mi inizia a farmi un sacco di docce... ci sta anche mia sorella.Sara... ci veste uguali ci tratta da bambole... ci veste e sveste... ha dei bei vestiti rosa e dei sandali molto comodi... ma per adesso non li voglio... esco da quella casa e corro lungo la strada principale con i piedi scalzi e poi arrivo davanti alla chiesa. Non ci sta nessuno. Entro in chiesa... è deserta... al centro una bara bianca, aperta. Mi avvicino guardo dentro... Jonathan... dentro ci sta Jonathan... perché è lì? Lo scuoto ...è freddo e pallido... non mi risponde... gli dico di alzarsi che dobbiamo andare a giocare e che la deve smettere di fare lo scemo... ma lui non mi risponde...non si gira e non si muove.... una mano sulla mia spalla... mi giro di scatto...Gisella. La guardo le dico che Jonathan non si vuole svegliare. Lei mi accarezza il viso. Ha gli occhi rossi. Piange. Perché piangi ? Le chiedo. Lei mi abbraccia e mi dice che Jonathan dormirà per sempre e che non si sveglierà mai più... le dico che è impossibile una persona non può dormire per sempre...ma adesso ci ho pensato adesso che sono più grande la capisco... come si fa a dire a una bambina di quattro anni circa, che suo fratello è morto? Come si fa a dirle che lui non potrà mai crescere, che non si innamorerà mai, che non ci sarà quando quella bambina diventerà una donna... come si fa a spiegare a una bambina che la vita è ingiusta? Come si fa a dirle che si muore a qualunque età in qualunque modo e in qualsiasi posto? Non si sa come si dovrebbe spiegare a una bambina queste cose, perché non sono cose che vanno dette a dei bambini. I bambini non possono stare a contatto con queste bruttalità.... sono bambini e devono vivere serenamente... quella serenità che io non ho mai avuto in vita mia.
Usciamo fuori dalla chiesa. Sto in una macchina è la prima volta che viaggio in una macchina... siamo arrivati! Dove ? Non lo so. È un posto pieno di croci, foto, fiori, lucine ...tutti piangono. In uno di quei buchi mettono Jonathan. Io sorrido. Lo saluto ingenuamente senza capire che da li non so rialzerà mai più...torniamo a casa il sole sta tramontando...mi siedo sulla pietra e aspetto Jonathan che torna dal lavoro... ormai è buio e lui non torna.... Gisella mi prende in braccio e mi porta dentro... piango perché oggi Jonathan non mi ha portata a fare il giro in bici... gli do del cattivo e dello stupido... poi però tra il dormiveglia capisco che lui non c'è più e non ci starà più... piango dicendo che mi manca... lei mi accarezza i capelli e mi dice di abbassare la voce altrimenti la mamma si arrabbia... chiudo gli occhi e dormo... la mattina seguente Gisella non ci sta più. È tornato tutto alla normalità. Viviamo come se Jonathan non fosse mai esistito...come se quello che avevamo vissuto ieri fosse solo un sogno...da questo momento in poi il suo nome non verrà più menzionato. È una tradizione. I vecchi saggi dicono che meno ripetiamo il nome di una persona che è venuta a mancare.. meno ricordiamo di lei e meno soffriamo. Hanno ragione. Non ho più sofferto la mancanza di Jonathan...non perché non gli volessi bene ma solo perché non mene ricordavo... non sentì neanche la mancanza di Gisella... che dopo quelle ultime parole e ultime carezze sparì per sempre dalle mia vita e mi lasciò da sola nell'inferno...

violet tulipWhere stories live. Discover now