Separazione

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Arriva subito ed è già mattina. Mi sveglio. Lei non è accanto a me. Un piccolo foglio appoggiato sul suo cuscino.

Buongiorno amore mio
Ci vediamo quando tornerò, non so quando, ma presto te lo prometto.
Buon viaggio bellezza mia
Erika

Non è la tristezza a prendere il sopravvento su di me, ma il vuoto della sua mancanza. Ma queste parole sono le ultime cose che mi restano. Con tutta la sua fragilità si è dimostrata per quella che è. Una piccola e fragile donna, che odia gli addii. E a me sta bene.
Mi alzo dal letto. Vado in bagno. Luce gialla che mette in evidenza tutte le cose che più odio di me. Quello sguardo perso nel vuoto, nel nulla. Quel viso con dei tratti dolci e regolari. Capelli ricci e lunghi, carnagione scura.
Mi lavo velocemente. Ho un aereo da prendere. Scendo le scale della metropolitana. Aeroporto, viaggio breve senza problemi. Atterro. Casa dolce casa.
Le mie sigarette ancora nel posacenere.
È presto sono solo le undici del mattino.
Frigo vuoto. Chiamo Mario e si va a prendere qualcosa da mangiare fuori.
Tuu...tuuu...tuu... squilla e aspetto al ricevitore.
-...Pronto?... -una voce calda e pronta mi risponde.
-...hey ciao sono io...-rispondo
-Viola ?! Ciao stronza... sei tornata? Come stai? Ti devo raccontare una cosa pazzesca! Ci possiamo vedere? Magari oggi oppure quando vuoi... -inizia a essere logoroico.
-...Mario fermati un attimo... allora ciao, si sono tornata da sola, Erika non ci starà per un po'... e comunque ti ho chiamato perché volevo uscire con te ed andare a mangiare qualcosa....-gli rispondo
-...scusami, è che era da tanto tempo che non ti sentivo, comunque adesso devo fare un ultima lezione all'università e ti passo a prendere... va bene? -
-...si va benissimo... -gli dico, salutandolo e chiudendo la chiamata.
Apro le finestre di casa per far cambiare aria. Pulisco casa. Scendo. Mezzogiorno.
Rimango la macchina a casa, prendo i mezzi pubblici. Arrivo davanti alla'università dove lavora Mario. Facoltà di lingue e letteratura straniera. Insegna li da tre anni più o meno. Da quando si é laureato in letteratura straniera. Aspetto li fuori, davanti all'uscita. Accendo una sigaretta. Lo vedo scendere dalle gradinate. Alzo una mano per farmi vedermi e lo chiamo. Mi vede, sorride e corre verso di me. Adesso sta bene. È in forma. È dimagrito. Quando è a pochi centimetri da me, riesco a vedere i suoi occhi celesti, come il cielo. Sospiriamo entrambi e timidamente ci salutiamo con un ciao, e per noi è tutto, per noi basta questo per tornare amici più di prima.
Ci dirigiamo verso il centro. Una pizza al volo e stiamo li, sulla solita panchina vicino al mare ,che d'inverno mi trasmette una tristezza incolmabile. La sua brezza che punzecchia le nostre guance. Seduti a parlare del più e del meno. A raccontare a fare battute. E poi fra tutte quelle parole, frasi, se ne esce con una che mi scuote e mi si gela il sangue. Il perché non lo so. Eppure è una bella cosa, quello che mi sta dicendo. Ma mi sento vuota, triste. Mi viene da piangere ,ma non posso, devo reagire. Ma nel modo più gentile che io conosca.
-...congratulazionii!!..-lo dico in modo cosi forzato che la mia voce si blocca in gola.
Lui non si è neanche accorto. Riformulo la frase
-...congratulazioni papà... -e questa volta mi sembra di aver utilizzato il tono giusto.
-grazie scema... mi fa strano sentirmi chiamare papà per la prima volta... -continua a parlare ma non lo ascolto.
Lui non ha mai voluto avere figli. Li detesta i mocciosetti, cosi li definisce lui.
Ma adesso su questa panchina lo vedo cosi felice, cosi euforico mentre mi racconta queste cose.
Quando è che è diventato cosi? Io dove stavo? Perché non l'ho notato?
Il mio fratellone adottivo che è diventato cosi maturo. Impossibile da credere ma quel Mario che amava le donne e che aveva quel suo lato oscuro nascosto, quel Mario adesso non ci sta più. È cresciuto ed ha deciso di mettere la testa apposto. Niente più stronzate. È diventato più responsabile. Adesso mi racconta che è cambiato, che si vuole dedicare solo al suo primo figlio e a sua moglie. Un'unica donna da amare. Parole che dalla sua bocca non speravo mai di sentirle. Eppure una settimana fa avevo litigato con lui perché voleva intraprendere la nostra relazione clandestina. Ed eccolo qua mentre mi parla dei suoi programma per la sua vita futura.
Dopo la lunga passeggiata per il lungomare e le chiacchiere, i suoi propositi, ci lasciamo con un abbraccio e con a.promessa di farmi vedere più spesso.
Cammino sul marciapiede. Cuffie e musica ad alto volume. Piove. La pioggia mi bagna, solcando delle.righe che bruciano sulla mia pelle. E inizio a piangere.
Perché piango ? Beh forse perché mi manca lei, ma so che non è questo il problema. La causa delle mie lacrime è il fatto di non aver figli. Io che amo i bambini. Io che fin da piccola sognavo di avere dei bambini. Ma come? Io e Erika possiamo tentare l'adozione, ma non è la stessa cosa di avere un figlio tuo. Non è la stessa cosa di attraversare il periodo più bello della vita di una donna, quello di nove mesi con una creatura simile a te dentro di te. Niente ti può dare quella felicità. Custodire all'interno di te un'altra vita. Sentitarla crescere, e poi metterla al mondo e insegnarle tutto quello che sai.
Potevo tentare l'inseminazione artificiale?
Beh se solo non avessi un incompatibilità con la vita pari a ZERO.
Sterile al 95%. Gli altri 5% un miracolo. Io che nei miracoli con ci credo. Cosi presi la notizia dal mio ginecologo. Lacrime sul volto come adesso che cammino verso casa. Sentirsi dire che non potrai mai nella vita avere un figlio tuo mi spezzò il cuore.
Decidemmo cosi di adottare un bambino. Scartati un miliardo di volte. Per il fatto che eravamo lesbiche, perché eravamo giovani, perché non eravamo ancora sposate. Lasciammo tutto. La vita ci tolse e ci diede altre cose. Un matrimonio, la fama e un futuro migliore. Decidemmo di riprovare più tardi. Ma quando? Quando più tardi? Quando Erika verrà da me e mi dirà di volere un figlio? Quando?.
Una domanda, un desiderio quello della maternità da parte di Erika che non verrà mai. Per come è fatta non avrà mai questo necessità o questo bisogno. Troppo impegnativo.
Chissà cosa e dove sarà adesso, quella pazza ragazza. Mentre io cammino sotto la pioggia fredda di quest'inverno che mi ha portato via troppe cose, lei dove è?
Spero in un luogo migliore.

Ritorno a casa. Mi lavo. Acqua calda. Nessun pensiero. Una vecchia maglia di Erika i soliti leggings. Computer accesso. Tabula rasa. Digito e cancello.

...la notte che arrivai in quell'orfanotrofio fu breve e confusa... dormii per la prima volta in vita mia su di un letto con delle coperte. Pioveva. La pioggia annunciava qualcosa di diverso. Mi piaceva quella sensazione di quiete, di silenzio. La mattina dopo fui svegliata dalle delle.risatine provenienti da fuori. Uscii dalla porta del.dormitorio, una luce mi accecò ,tante bambine e bambini della mia età o più piccoli o più grandi. Giocavano felici. Saltavano con la corda. Giocavano con i cinque sassi. Mangiai e andai Anch'io a giocare. Conobbi altri bambi. Non avevano paura di me. Si avvicinavano come se mi conoscessero da sempre. Anche i mie fratelli più piccoli c'erano. Ma mancava la più grande all' appello. La paura mi assalì ,pensai che la notte prima non ce la avesse fatta a scappare. Ma poi fui rassicurata dalle signore che si facevano chiamare zie... mi dissero che la più grande era stata trasferita in un altro ofranotrofio, in quanto era troppo grande per stare con noi, mi promisero che mi sarebbe venuta a trovare tutti i sabati. Mi calmai e tornai a giocare. Mi piaceva quel posto. Il mangiare tre volte al giorno e anche di più quando avevi fame durante il pomeriggio. Il giocare tutto il giorno. Il vedere la TV ed essere felice ed accettata. In giro di un anno strinsi diverse amicizie,.ero diventata il capo di quel piccolo esercito di ragazzini senza madri o padri, senza casa e senza qualcuno che li amasse. Ma era troppo facile pensare che tutto sarebbe andato sempre cosi. L'altra mia sorella un po' più grande di me, voleva anche lei comandare lo stesso esercito. E si sa che a comandare deve essere uno solo. Ci furono molti scontri. Non amarti chiaramente, tra me e mia sorella Sibele. Quello che mi faceva sempre vincere era mia sorella più piccola Sara. Creammo una alleanza proclamando il bene e la libertà. Difendevo chiunque venisse attaccato da mia sorella Sibile. Un regno che godette di molti successi, tra cui le mangiate extra di caramelle e cioccolato, il poter stare più tempo sveglie durante la notte, i giochi migliori e molte altre cose.

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