Capitolo Quarantatré

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KATSUKI POV

Non sapevo che giorno era.
Non sapevo che ore erano.
Non sapevo quando lo sfigato bruciato o il bastardo  a metà sarebbero tornati a darmi il tormento.
Ero legato a quel letto da quando mi avevano portato lì, che poi non sapevo nemmeno dove fosse quel .
Sapevo solo che ogni sei ore circa uno dei due veniva a fare quattro chiacchiere con me, dove con chiacchiere intendo pestaggio.
Siccome non collaboravo i pestaggi divenivano sempre più frequenti e violenti, a tal punto che perdevo i sensi: una di quelle volte mi risvegliai completamente nudo dalla vita in giù e avevo un forte dolore al didietro.
Che schifo. Me l'avrebbero pagata. Gliela avrei fatta pagare.
In quella stanza non c'erano finestre, ma quando calava la notte lo sapevo: essendo una stanza interrata di notte faceva un freddo cane. Una sera la coppia di fratelli stronzi venne a prendermi.

– Touya, coprilo. Fai in modo che cammini da solo. Non voglio doverlo portare.
– Tranquillo Shōto: al massimo lo porto io.

Mi guardò con uno sguardo complice. Gli sputai addosso.

– Dove cazzo pensate di portarmi?! E non mi toccare sfigato!
– Sei piuttosto agitato oggi, vuoi un po' di calmante?
– Non voglio proprio un cazzo da te!
– Dateci un taglio. Bendalo e legalo per bene. L'incontro è fra 20 minuti.

Il bastardo a metà sembrava agitato, trepidante. Non sapevo cosa avessero in mente, ma potevo capire che non fosse nulla di buono.
Dabi mi legò le mani dietro la schiena e mi misi una benda sudicia sugli occhi. Aveva provato anche a imbavagliami, ma lo avevo morso così, dopo avermi tirato un sonoro pungo, aveva lasciato perdere.
Mi aveva infilato infine un paio di boxer troppo piccoli, ma non mi lamentai della cosa: almeno avevo i gioielli al coperto.

Mi guidò per dei lunghi corridoi e poi su per delle scale. Camminammo per quelle che sembrarono ore e infine sentii l'aria fredda della sera sulla pelle. Calpestai i sassi appuntiti di un giardino, il fatto di essere scalzo non aiutava i miei movimenti: non avrei potuto correre e quindi non sarei potuto scappare.
Attorno a me c'erano delle voce indistinte che parlottavano sommessamente, ma si poteva distinguere un chiaro senso di agitazione. Riconobbi la voce di Shigaraki e del bastardo a metà, ma era presenta anche una voce di ragazza che però non ero sicuro di aver già sentito.

– Fra quando dovrebbe arrivare?
– Fra circa 5 minuti. Dabi! Tieni fermo quel cazzone! Non voglio che Midoriya se lo prenda.
– Stai calmo fratellino, al massimo possiamo sparargli all'altro ginocchio!

Risero. Risero forte. Le loro risate mi arrivavano attutite alle orecchie perché una forte collera mi stava oscurando i sensi: mi avevano usato per attirare qui Deku.
Cosa volevano da lui? Perché usare me? Perché non potevano lasciarci in pace?
I miei ricordi erano ancora confusi. Dopo tutto quello che Izuku mi aveva raccontato alcune cose erano ritornate alla mia mente, ma era ancora troppo presto per dire con esattezza cosa mi fosse davvero successo in quei pochi giorni di due mesi prima.

– Eccolo!

La voce del bastardo a metà nascondeva una nota di felicità.
A causa delle mani legate dietro alla schiena non riuscii a levarmi il pezzo di stoffa dagli occhi. Il bastardo bruciato se ne accorse e mi strattonò per un braccio.

– Stai buono! Tra poco lo rivedrai anche tu.. Forse..

Mi divincolai ancora, non volevo lasciargliela vinta. Non dopo tutto quello che avevano fatto: lo stupro, i pestaggi, la sparatoria, la morte del mio amico.
Poi qualcuno gridò il mio nome: Deku!

– KACCHAN!
– DEKU! NON VENIRE!

Qualcuno mi colpì alle costole e mi accasciai a terra. Non che avessi molta scelta: avevo le gambe talmente deboli che a stento riuscivo a tenermi in piedi. L'unica nota positiva fu che cadendo riuscii a togliermi la benda. Strizzai gli occhi per la luce, che anche se poca, mi infastidiva. Alzai lentamente lo sguardo e lo feci scorrere su ciò che mi circondava: tre paia di gambe stavano di fronte a me, mentre in lontananza vedevo delle sagome avvicinarsi.
Qualcuno alle mie spalle mi fece alzare e mi mise un braccio attorno al collo per impedirmi di muovermi.

Non Andare ViaDonde viven las historias. Descúbrelo ahora