30 - Viaggio

119 6 0
                                    

Parcheggiarono la macchina davanti ad un enorme cancello nero ricoperto d'edera rigogliosa. Steve, seduto sul sedile del passeggero, osservava il volto di Tony. Era teso, tornare lì riaccendeva ricordi che aveva giurato a se stesso di lasciarsi alle spalle.
Il capitano gli mise una mano sulla gamba «Ne sei sicuro?» gli chiese guardandolo con occhi dolci.
Tony si girò «Si.» gli rispose sorridendo e in un sospiro.
Scesero dalla macchina, Steve aprì la portiera dietro e prese in braccio Morgan che, per gran parte del viaggio, aveva dormito.
«Dove siamo?» chiese la bambina stropicciandosi gli occhi.
Nessuno le rispose.
Tony teneva le vecchie chiavi di quel cancello strette nella mano. Sentiva il metallo diventare caldo, sprofondare nella carne e segnargli la pelle. Realizzò solo in quel momento quanto detestasse quel cancello, guardiano di tutti i suoi dolori. Prese un sbarra tra le mani e provò a scuoterlo un po', "Maledizione!" pensò "È bloccato".
«Tony» lo chiamò ancora il capitano.
«Si, scusa... Il cancello è bloccato, bisogna andare dall'altra parte» rispose lui senza nemmeno girarsi.
«Possiamo ancora tornare indietro se vuoi. Sono sicuro che ci sia un'altra soluzione se noi-»
«No Steve - lo interruppe il meccanico - non c'è un'altra soluzione. La tuta e tutti i progetti sono qui dentro, e se voglio costruirne delle altre ho bisogno dell'originale.»
«Ma mancano comunque le particelle. Come speri di far funzionare la tuta senza quelle?»
«Un problema alla volta capitano - disse arrampicandosi su per il cancello - un problema alla volta.»
Si ritrovò dall'altra parte «Bene, pronto a spingere?»
Steve mise giù Morgan e afferrò le sbarre. Guardò Tony dritto negli occhi e fece cenno di si con la testa.
«Bene. Al mio tre. Uno, due... tre!»
Spinsero. Il cancello di mosse lentamente accompagnato da un sinistro cigolio che spaventò Morgan. L'edera si lacerò sopra le loro teste, e le poche foglie morte ancora appese caddero a terra lente, come petali di una rosa che stava appassendo.
«Bene - disse il meccanico - entriamo.»
Camminare in quel viottolo era come una passeggiata nel viale dei ricordi di Tony, o per meglio dire, nei suoi incubi. Guardava il giardino di sua madre, era un vero peccato vederlo ridotto così. "Lo amava così tanto" pensò osservando le piante morte. Ricordava il profumo delle orchidee, l'odore della lavanda trasportato dal vento, il ronzio delle api in primavera. L'erba appena tagliata, fresca di rugiada sotto i suoi piedi nudi, il sentiero che portava al garage, niente di più di una piccola striscia di terra che si era ricavato a furia di camminarci sopra. La sua infanzia, tutto ciò che ne rimaneva era lì, in quel giardino trasandato, dietro ad un cancello arrugginito. Camminava con passi lenti, ricordando ciò che fu un tempo. Poi, quasi senza rendersene conto, si ritrovò davanti al portone di quella villa, teatro di menzogne. Esitò nell'allungare la mano verso la maniglia, aprire quella porta voleva dire tornare indietro, affrontare di nuovo i ricordi di un passato che aveva voluto dimenticare. Appena dietro di lui, Steve lo stava guardando. Il cuore gli batteva forte nel petto, quasi cercasse di uscire. Il meccanico respirava a stento, la mano gli tremava incontrollabile. Guardava la maniglia della porta con occhi sgranati, mente una goccia di sudore gli cadeva giù, lungo la tempia.
«Tony?» lo chiamò il capitano.
«Non ci riesco! - disse Tony con voce tremante - non ci riesco...»
Il capitano si avvicinò, gli mise una mano sulla spalla e lo guardò con occhi dolci. Sapeva bene che tutto questo era troppo per il meccanico, ma non potevano fermarsi proprio adesso, c'era troppo in gioco. Tony girò la testa, i suoi occhi spaventati fissi in quelli calmi del capitano.
«Faremo anche questo insieme» disse Steve prendendogli la mano tesa verso la porta.
Tony degluì "Si" pensò, mentre sentiva il freddo ottone arrugginito della maniglia sotto il suo palmo. La porta si aprì con un sinistro cigolio che riecheggiò nella stanza vuota come un lugubre lamento distante, ma non troppo. La casa era illuminata in maniera spettrale, i pochi mobili che vi erano rimasti erano ricoperto da soffici teli ingrigiti dalla polvere. Tony vi entrò con fare cauto, quasi avesse paura che di lì a poco potesse succedere crollargli il soffitto sulla testa. Il pavimento era ricoperto di polvere, le scale piene di ragnatele. Si guardò attorno, era come tornare indietro in un passato lontano. Si voltò e andò nella sala. Non vi era rimasto più nulla, tranne le possenti librerie vuote e il ritratto di famiglia. Lo osservò, era ricoperto da uno spesso strato di polvere, ma nonostante tutto riusciva comunque a vedere gli occhi agghiaccianti di suo padre. Un brivido gelato gli percorse la schiena, e improvvisamente si sentì di nuovo piccolo. Quelle librerie di legno scuro gli parvero sovrastarlo come giganti, annullando ogni fascio di luce e facendolo sprofondare in un'oscurità profonda. Sentì dei passi pesanti, tranquilli, poi una vocina stupita e intimorita allo stesso tempo, erano Steve e Morgan.
Si voltò, se solo avesse potuto avrebbe distrutto quel ritratto già da tempo, ma quello, insieme al giardino, erano le poche cose a cui sua madre teneva particolarmente, e nonostante gli anni trascorsi dalla sua morte, ancora non riusciva a liberarsene. Tornò all'ingresso e percorse le scale, i suoi occhi vennero catturati da un vaso di fiori morti, i petali secchi e striminziti riversi sul pavimento.
«Dove sta andando papà?» chiese la bambina.
«Ora è meglio lasciarlo da solo. Vieni, andiamo ad esplorare in giro.» le rispose Steve.
Arrivò al piano di sopra, guardò con inquietudine il corridoio spoglio e impolverato, ed improvvisamente il suo cuore si fermò. Gli parve di udire la voce di qualcuno che lo chiamava, un tono dolce, caldo. "Jarvis". La porta della sua vecchia camera da letto era socchiusa, un piccolo fascio di luce mite ne usciva timidamente, illuminando il pavimento impolverato. Esitò, quella stanza ricca di ricordi, di incubi che infestavano la sua mente. Avrebbe voluto lasciarsi tutto alle spalle, dimenticare, ma era impossibile. Aprì la porta, un sinistro cigolio riecheggiò nella stanza. Sospirò, l'angoscia che gli prendeva la gola. La moquette era grigia, ammuffita sotto la finestra in fondo alla stanza. Il letto era ricoperto di polvere, rotto e mangiucchiato dai topi. "È questo ciò che rimarrà di me?" disse osservando la carta da parati strappata "Niente più che un ricordo mangiato dai topi?" Guardava ciò che rimaneva nella stanza, si era lasciato tutto indietro. Quel ragazzo, il lontano ricordo di un infanzia infelice, gli parve come se non gli appartenesse più. Erano due persone totalmente diverse, e forse, quel ragazzo, era migliore di lui in certi versi. Aprì la tenda, un fascio di luce timida filtrava attraverso il vetro opaco di polvere. Guardò la porta, quanti ricordi, quante umiliazioni. Sentiva ancora il suo suono, il suo sbattere sordo e violento. Sentiva ancora la leggera brezza che percepiva sul viso ogni volta che questa si chiudeva davanti al suo viso, spinta con rivoltante disgusto dalle mani del padre. "Howard" pensò. Uscì dalla stanza, entrò nel vecchio studio di suo padre. Quella stanza era ancora più lugubre di quanto ricordasse. Il camino spento, il mobile dei liquidi vuoto. La scrivania... quella maledetta scrivania. Non vi era più niente sopra, se non ciò che rimaneva di una pianta morta messa li da Jarvis. Le tende pesanti e scure non facevano filtrare alcuna luce, solo un piccolo spiraglio mite, quasi come se il sole stesso avesse paura di brillare. Camminò, i suoi passi rimbombavano nella stanza riempiendola di ancor più inquietudine. Guardava l'esatto punto in cui si trovava il divano, e ricordò. Non avrebbe voluto, avrebbe preferito dimenticare, ma come avrebbe potuto fare? La confessione, le colpe di un uomo innamorato, il tradimento nei suoi occhi stanchi. Quella sera Tony aveva capito tutto. L'odio che suo padre aveva sempre riversato su di lui, il suo innaturale disprezzo... era tutto chiaro. Camminò con passi incerti, sfiorando con la punta delle dita ogni mobile. La polvere si alzava sotto le sue scarpe, le sue dita erano diventate grigie. Ricordò la sensazione del fuoco sulla sua pelle, freddo, glaciale. Ricordava le fiamme, il loro scoppiettante tetro che ricordava ossa scricchiolanti. Non voleva rimanere lì un secondo di più. Uscì in fretta da quella stanza senza nemmeno chiudere la porta. Si diresse in fondo al corridoio, non voleva più stare dentro quella casa, no! Non un secondo di più! Tirò giù la scala e salì in soffitta. Era più polverosa di quanto si ricordasse. "Naturale" pensò. Guardò le scatole grigie, poi una finestrella rotonda in fondo alla stanza, da sola, piccola, malinconica. Ricordi annebbiati cominciarono ad affiorare nuovamente nella sua testa, immagini sfocate di un passato lontano. Camminò sovrappensiero, osservando gli scatoloni, scrigni di ricordi nascosti, ammuffiti, dimenticati. E poi eccola li, quella scatola lontana da tutto il resto, sporca, rotta. Si avvicinò con cautela, quasi avesse paura che qualcosa potesse uscire da quest'ultima e attaccargli alla gola. Si inginocchiò e la aprì lentamente, il cuore batteva forte nel petto come se cercasse di sfondargli la cassa toracica ed uscire. E poi eccola. La tuta giaceva li, ripiegata tra fogli ingialliti e taccuini rotti. La prese tra le mani, si alzò e la osservò. La luce rifletteva lucida sulla trama del suo tessuto, il piccolo pulsante rosso sul guanto opaco di polvere. Era più piccola di quanto si ricordasse, non si era reso conto di quanto fosse cresciuto negli anni. "Anche volendo, non ci entrerei più". Ora, ricordi di un passato, di un tempo che non era il suo tornarono ad affliggere la sua mente. Un bar affollato di soldati, l'aria pregna del fumo delle sigarette, una voce, una canzone, un ragazzo in piedi su un tavolo. Una chioma bionda come la paglia ingiallita sotto il sole d'estate in Italia, un sorriso dolce ed affilato, due occhi azzurri come acqua cristallina che si scontrano con i suoi, della stessa materia del fuoco vivo.
Gli sembrò passata una vita, ed effettivamente lo era, ma come avrebbe potuto rendersene conto? Sentì dei passi appena dietro le sue orecchie «Tony?»
Si voltò «Steve.»
«L'hai trovata.»
«Si...»
Il capitano si avvicinò, gli cinse la vita con le mani e appoggiò il suo mento sulla spalla. Guardava quella tuta meravigliato, come se fosse la prima volta che la stesse osservando. I ricordi affiorarono nella sua mente, scene di vita di un passato lontano, quasi surreale. Ricordava bene la canna della pistola puntata contro il suo volto, quegli occhi color nocciola così vivi e spenti allo stesso tempo, la vita che lentamente vi stava appassendo dentro. Ricordava la sensazione delle mani di Tony sul suo viso, la leggera brezza sulla pelle, il vuoto che ne seguì quando aprì gli occhi e vide che lui non c'era più.
"Questa è la fine" aveva pensato "Questa è la fine per me."
Rimasero lì per qualche minuto, ricordando una vita che si erano lasciati sfuggire dalle mani, così lontana che sembrava quasi finta.
«Dov'è Morgan?» chiese il meccanico.
«È giù da basso, sta giocando.»
Steve spostò la testa e lo guardò negli occhi, ebbe un sussulto al cuore. Improvvisamente, gli sembrò come se quegli occhi fossero ringiovaniti di colpo, tornati ad uno stadio primordiale. Ricordava quello sguardo così spento e vivo, segnato dagli eventi della vita, di un destino inevitabile. Occhi di ragazzo nel volto di un uomo. Ne riconosceva ogni sfumatura, ogni guizzo di colore.
«Abbiamo la tuta - disse il meccanico risvegliando il capitano dalla trance in cui era caduto - ora dobbiamo solo trovare il modo di replicare le particelle.» concluse prendendo il vecchio taccuino di suo padre.
Steve lo guardò sfogliare concentrato quelle vecchie pagine. L'inchiostro delle parole era quasi sbiadito, ma ancora si riusciva a leggerne alcune.
«Che cosa stai cercando?» chiese ingenuamente il capitano.
«Una formula. Un qualcosa che mi permetta di replicare le particelle, o almeno di provarci.»
Steve lo guardò incuriosito «Chi era lo scienziato che le creò?»
«Un certo Pym.»
Il capitano sgranò gli occhi «Pym? Vuoi dire Hank Pym?»
Tony distolse lo sguardo dal taccuino e lo guardò «Si.» disse con voce incredula.
Il volto di Steve si illuminò. Il meccanico lo guardò sempre più confuso, la curiosità che cresceva man mano che passavano i secondo.
«Che cosa ti prende Steve?» chiese Tony.
«Ho la soluzione ai nostri problemi! - rispose entusiasta il capitano - andiamo in macchina, te lo spiego strada facendo.»

Fire on FireWhere stories live. Discover now