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Il giorno era volato via. La sarta aveva fatto il suo lavoro, i domestici avevano continuato a portare questo e quello e la mia cameriera di fiducia aveva portato il messaggio a destinazione. Ora che la notte incombeva buia e silenziosa mi trovavo di fronte a quello che sarebbe stato il mio altare sacrificale. Le piante erano aumentate intorno alle assi di legno bianco e quasi coprivano quell'arco di tre metri per tre che mi pareva così minaccioso e colmo di promesse oscure.

Ero lì in piedi da almeno venti minuti. Aspettavo. Credevano tutti che dormissi, a parte Calliope, e invece ero lì, di fronte al mio incubo. Quei dolci gigli e i teneri gelsomini sembravano spaventosi, attorcigliati al legno. I fiori che tanto amavo erano stati usati contro di me, e questo mi feriva più di qualsiasi altra cosa. L'indomani mi sarei unita a un mostro scelto da Mio Nonno e il tempo mi sembrava sempre più prezioso in quel momento. Avrei voluto avere il Potere della Levitazione Temporale a cui pochi erano destinati, ma anche avendolo non avrei risolto niente.

Mi mossi appena nell'ombra e il mio vestito ondeggiò. Era grigio e triste, così come lo ero io. Avevo raccolto i capelli in una lunga treccia che mi solleticava la schiena scoperta, ma quella piacevole sensazione era oppressa dalla malinconia del mio cuore.

Sentii un rumore alle mie spalle. Il Conte Tiziano mi venne incontro. Mi voltai per leggere l'espressione dei suoi occhi e sciolsi le mani dal grembo. Mi sentivo piccola e indifesa, e non mi piaceva affatto. Lui mi raggiunse in quel luogo oscuro e tormentato e mi disse ciò che volevo sentire. Che avevo bisogno di sentire.

«Ho fatto quel che mi hai chiesto, Figlia. Spero che tu sappia a cosa vai incontro.»

Sorrisi. Almeno qualcosa andava nel verso che io volevo.

«Non temete Padre, so quel che faccio.»

Lui mi si avvicinò, posò labbra delicate sulla mia fronte fresca e mi lasciò sola.

Aspettai che si fosse allontanato prima di recuperare un cesto di vimini dalla sedia più prossima all'arco nuziale. Lì avrebbero preso posto la Mia Famiglia e i parenti più stretti.

Qualcosa dentro di me si agitò. Era arrivato. Sorrisi felice. Le tenebre si dissolsero per qualche istante, lasciando il mio cuore libero di sperare. Una lunga limousine nera era ferma all'ingresso, davanti al portone, le luci dei fari spenti.

Mi avvicinai scendendo i pochi gradini che mi separavano dal veicolo. La portiera si aprì e un giovane aitante uscì elegantemente. Mi dava le spalle eppure il mio cuore balzava in petto come un canguro in festa. L'uomo richiuse silenziosamente la porta nera lucida e con una coperta pendente dal braccio mi si avvicinò. Aveva una barba curata e un'espressione severa. Mentre l'auto si muoveva lentamente per non fare rumore, gli gettai le braccia al collo e lo strinsi a me. Lui ricambiò con affetto il mio abbraccio.

«Oh, Silvia... mi dispiace così tanto, Sorellina...»

Mi veniva da piangere. «Paride...»

Rimanemmo così fermi a lungo, poi ci sciogliemmo, ricomponendoci.

«Vieni, passiamo di qua.»

Mentre ci incamminavamo una leggera brezza mi portò l'inquietante presenza del mio Sposo. Mi voltai a cercare la sua figura, ma di lui non c'era traccia.

Giungemmo furtivi all'immenso giardino dietro la villa e stendemmo la coperta sotto un grosso salice, la cui ombra nascondeva la nostra presenza a chi dalla cucina si fosse affacciato. Senza tener conto del decoro ci sdraiammo sulla coperta e io aprii il cesto.

«Quando non ho letto il tuo nome tra gli invitati ho capito che Mio Nonno ti teme molto...» gli dissi con un sorriso divertito.

Anche lui sorrise, poi prese il calice di vetro che gli porgevo.

Sposa di Sangue - Letto di Spine (In revisione)Where stories live. Discover now