Parte prima.

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Quella mattina mi svegliai di buona lena. La finestra era aperta, le tende svolazzavano leggere e il lago, come il cielo, era limpido. Stava per venire agosto, il primo agosto della mia vita in cui non mi sarei dovuto occupare di consegnare compiti estivi, ripassare materie odiose come storia, biologia. Tuttavia già sentivo un senso di quiete e di banalità inserirsi nelle mie giornate, diventate all'improvviso senza obbiettivi precisi. Per fortuna avevo ancora il mio amato lago, le spiagge ghiaiose e i turisti tedeschi.

Mi alzai dal letto e decisi che era un buon momento per fare un giro in bicicletta. Mi cambiai senza badare troppo a cosa indossare, mi legai i capelli indomiti in un codino e mi recai in cucina. Mia madre mi accolse con un bacio sulla fronte, mio padre invece era troppo intento a leggere il giornale dal computer. Seoul's week news. Non avevo voglia di sentirlo commentare aspramente il politico di turno, di quanto non fosse meritevole di guidare certa provincia, che comunque con noi - che eravamo in Italia - non aveva nulla a che fare. A mio padre mancava la Corea: credeva di poter sopprimere quella nostalgia rimanendo aggiornato sugli avvenimenti del paese, ma di fatto non faceva che peggiorare la situazione.

Mia madre mi preparò una fetta di pane e marmellata, necessariamente all'albicocca, quella per cui avevo una certa ossessione. La mangiai mentre scendevo le scale. Avrei preso qualcosa alla Settecento, se mi fosse venuta voglia.
Recuperata la bici, mi diressi sul lungolago. Per essere domenica mattina c'era un certo numero di persone in giro, le strade già si stavano riempiendo. Nel breve tragitto tra casa e ciclabile passai sotto il palazzo di Olivia. Rallentai, mi diedi il tempo di sfidare la mia codardia, di chiederle di citofonare e di fare pace, una volta per tutte.

Ci ripensai: pace per cosa? Era lei che dopo il diploma era sparita, dopo che le cose con Marco erano andate a scatafascio. Io non avevo proprio nulla di cui scusarmi. Almeno di questo mi convinsi.
Continuai a pedalare. I miei piedi andavano da soli, così come le braccia che guidavano il manubrio. Conoscevo la strada a memoria, in direzione di Sirmione, nonostante non la raggiungessi mai. Un certo pezzo di Sufjan Stevens mi ballava da un orecchio all'altro, mettendomi addosso una inspiegate voglia di piangere. "Ti stai rammollendo, Jeongguk", mi dissi. In poco arrivai davanti alla Settecento, legai la bici alla cancellata - era vietato formalmente, di fatto lì dentro tutti mi adoravano e facevano finta di non vedere. Ho sempre frequentato la Settecento, sin da bambino. Quando mia nonna non poteva, la signora Meli, la proprietaria, mi veniva a prendere a scuola. Su i tavolini di finto marmo avevo passato interi pomeriggi.

"Ciao Jeongguk", mi salutò Michela, una delle cameriere. Aveva una fortissima cadenza veneta che talvolta mi disturbava. "Ciao Michela, c'è posto fuori?"

Alla Settecento c'è sempre posto fuori. Non si capisce come possa tirare avanti una pasticceria sempre semi-vuota. Presi posto ad un tavolino, casualmente, vicino alla piccola spiaggetta privata del posto. Avrei potuto morirci in quel posto e non sarebbe stato doloroso né disdicevole. Immaginavo il mio corpo esanime che galleggiava tra le onde e le barche tutto intorno, qualche chilometro più in là i bagnanti ignari, i miei genitori altrettanto, Olivia forse mi guardava dalla finestra con un ghigno. Mi avrebbero trovato sul fondale insieme a qualche barchetta del tempo dei romani, affondata per chissà quale casualità. Mi si stringeva il cuore al pensiero che probabilmente sarei morto di vecchiaia in un tetro ospedale, e forse solo dopo qualcuno avrebbe ascoltato il mio testamento: "riversate le ceneri nel lago" avrei scritto.

Mi feci portare un caffélatte ed un cornetto alla marmellata. Di lì a poco iniziarono ad assalirmi le zanzare. La cosa mi turbò e mi lasciò stupito: avevano detto che la disinfestazione era andata a buon fine, che lì di zanzare a disturbare non ce ne sarebbero state più così tante. Iniziai una danza convulsa per liberarmene quanto più potevo, lasciando raffreddare ciò che mi era stato servito. Tutto quel movimento attirò l'attenzione di qualcun altro, un individuo biondo che se ne stava sulle sue, qualche metro più in là, a leggere un libro. Non ci avevo dato molto peso, finché non mi aveva parlato in un italiano stentato: "Dentro c'è lo spray contro le sansare."

PUNTURE DI ZANZARA || VkookWhere stories live. Discover now