Capitolo 3

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Lo stupore e il fatto che tutti presto o tardi si erano messi a parlare del ragazzo nuovo, durò relativamente poco. Dopo una settimana nessuno ne parlava più. A contribuire fu il fatto che Emanuele non interagiva praticamente con nessuno e sembrava indifferente alle ragazze che cercavano di avvicinarlo. Durante le ricreazioni, invece di mangiare come gli altri, rimaneva a studiare i vari cespugli di fiori che formavano il perimetro dalla scuola. Dalla finestra della mia classe, il luogo in cui passavo tutto il tempo libero dalle lezioni, il suo comportamento sembrava strano. I capelli quasi bianchi spiccavano fra tutte quelle teste dalle tonalità più scure; non potevo vederlo in faccia, ma avrei scommesso che gli occhi azzurri brillassero per il sole; i suo vestiti bizzarri, solitamente tinte variopinte, sarebbero state riconoscibili ovunque...ma perché lo fissavo ancora? Spesso mi ritrovavo a fissarlo. Mi ripetevo che era per la novità e tutte le volte mi costringevo a guardare Giulia e il suo gruppetto di amiche.
Una mattina presi il pulmino per andare a scuola dato che la sera prima, impegnato a stare sveglio fino a tardi e a bere qualcosa di più forte della solita Coca Cola, ero andato a letto talmente tardi che ero stanco morto. Mi sedetti su uno dei sedili in fondo. Anche li, le rare volte che facevo uso di quel mezzo, avevo un posto tutto mio. In un angolino con accanto solo un posto che rimaneva sempre vuoto. Giulia abitava talmente vicino alla scuola che il pulmino non lo prendeva mai, ma dentro di me ero felice che almeno quel posticino, per quanto patetico fosse, fosse solo mio. Accesi il cellulare e frugai nella tasca della giacca per cercare le cuffiette quando mi accorsi che non avevo ne quelle ne la batteria. Imprecai a voce non troppo bassa, evidentemente avevo posizionato il caricabatterie nella maniera sbagliata ancora una volta. Alcuni si girarono verso di me, probabilmente allarmati dalle urla, quando il pulmino si fermò. Io mi limitai a guardare fuori dal finestrino desideroso che quella giornata volgesse al termine il più velocemente possibile.
"Posso sedermi?" Ci misi un secondo prima di rendermi conto che qualcuno stava parlando con me. Mi voltai stupito solo per trovarmi Emanuele davanti gli occhi. Dovetti guardarlo in modo strano perché si affrettò ad aggiungere.
"I posti sono tutti occupati." E mi resi conto che aveva ragione. Quel giorno c'erano più studenti del normale. Non dissi nulla, mi limitai a spostare lo zaino ai miei piedi.
"Grazie." Lui si sistemò il suo sulle gambe. Si mise ad osservare fuori anche lui, io cercai di non farci caso. Eppure, anche se Emanuele non stava guardando me ma le macchine in fila a causa del traffico, sentivo i suoi occhi bucarmi la nuca. Sapevo che era un pensiero irrazionale, ma nonostante tutto non riuscivo a togliermelo dalla testa.
"Tancredi." Emanuele fece una faccia strana.
"Come scusa?" Avrei voluto portarmi le mani alla bocca per tapparla. Non so il perché, ma in quel momento mi era venuto naturale rispondere ad una domanda posta qualche giorno prima.
"Il mio nome. L'ultima volta non ti ho risposto." Mi sentii stupido. Probabilmente non si ricordava neanche del nostro piccolo scambio di parole. In fondo non ero bravo né con le parole né con le persone. Eppure, con mia grande sorpresa, Emanuele sorrise scoprendo appena i denti bianchi.
"Si certo, piacere di conoscerti." Non dicemmo più nulla negli ultimi dieci minuti che precedettero l'arrivo a scuola. E sul pulmino, almeno per le due settimane successive, non lo incontrai nemmeno.
La nostra seconda conversazione avvenne un giovedì. La sera prima non avevo cenato, dato che ciò che mia madre aveva preparato non mi piaceva. E quella mattina, a causa del ritardo, non ero riuscito neanche a fare colazione. Così durante la ricreazione mi ero deciso a scendere per prendere qualcosa alle macchinette. Quando arrivai sul fondo delle scale mi resi conto che gli studenti erano quasi tutti all'estero della struttura. Io mi avvicinai all'attrezzo elettronico e frugai nelle tasche in cerca di qualche moneta. Solo dopo un paio di minuti mi resi conto di aver lasciato i soldi a casa.
"Maledizione!" Esclamai. E poiché non c'erano professori in zona, mi permisi anche di colpire la macchinetta. Alcuni studenti si voltarono verso di me mentre mi prendevo il pugno dolorante, ma nessuno si fermò per più di uno sguardo. Ero già pronto per tornare in classe con lo stomaco gorgogliante e la mano che pulsava, quando sentii una voce. Mi bloccai, perché a parlare era stato lui.
"Se ti servono soldi ti presto qualcosa." Io però non mi mossi. Non avevo intenzione di prendere niente da Emanuele. Altrimenti avrei dovuto restituirgli il denaro e intavolare una conversazione. Avrei chiesto a Giulia qualche spicciolo, ma quel giorno si era sentita poco bene ed era rimasta a casa. Vedendo che non avevo intenzione di muovere un solo muscolo fece tutto lui. Andò a digitare qualcosa alla macchinetta e pochi secondi dopo si sentirono due tonfi ovattati, uno più leggero dell'altro. Prese entrambe le merendine e mi passò accanto. Mi schiacciò delicatamente un sacchetto di patatine sul petto. Io lo presi. In quel piccolo frangente, con la sua mano premuta sopra di me, potei notare meglio lo smalto nero che portava sulle unghie, come anche gli anelli sottili.
"Figurati." Disse prima di sparire su per le scale. Rimasi immobile finché la campanella non suonò la fine della ricreazione. Solo a quel punto, veloce cone un fulmine, salii le scale e mi chiusi nel primo bagno che trovai libero. Aprii il sacchetto e cercai di soddisfare il mio stomaco affamato. Se solo Giulia avesse scoperto la gentilezza di Emanuele, avrebbe continuato ad incitarmi a fare amicizia con lui. E in quel momento, seduto nel bagno della mia scuola a mangiare patatine stantie, mi accorsi che quel ragazzo era davvero una piaga. Perché con la sua novità era dovuto arrivare e intromettersi nel mio mondo di solitudine? Perché la sua gentilezza doveva per forza riguardare me?
Perché tutti si ostinavano a volermi tirare fuori da li? Lui, Giulia, mia madre...non lo capivano che io ero felice così? Bhe, sicuramente non avrei lasciato entrare nessuno, tanto meno un ragazzo con cui avevo scambiato solo poche frasi!

Quella mattina aveva piovuto talmente tanto che, arrivato in classe, dovetti mettere il libro di matematica sul termosifone per evitare di buttarlo direttamente. Era abbastanza presto e avrei potuto aspettare fuori dalla scuola, ma mi sarei bagnato e basta. Così, con i soldi che mi tintinnavano in tasca, ignorai la ragazza che stava piangendo e mi avvicinai al mio banco. Quel giorno avremmo dovuto cambiare i posti e la cosa non mi importava. Nessuno, tranne Giulia, sarebbe voluto stare vicino a me e la cosa era reciproca. Mi sedetti e con le cuffie iniziai ad ascoltare della musica nell'attesa del professore. Solo cinque minuti dopo notai che, dal gruppetto che circondava la ragazza in lacrime, ne uscì la mia amica, avvicinandosi a me.
"Tanche, sei arrivato. Dobbiamo parlare."
"Dimmi." Non era mai un bene quando una ragazza dava una notizia del genere, lo sapevo nonostante non fossi mai stato fidanzato.
"Hai presente Dede, quella laggiù?" Indicò la studentessa in lacrime e feci di si con la testa. Non ci avevo mai parlato, ma conoscevo nome e cognome.
"Bhe, si è lasciata con il fidanzato e non vuole stare vicino a lui. Quindi non è che potrebbe mettersi accanto a me?" Ci misi un secondo a capire. Poi sgranai gli occhi. Ma non provai neanche a ribattere, discutere con Giulia era a dir poco inutile.
"D'accordo. Ma sentiamo un po, vicino a chi dovrei stare?"
"Grazie Tanc!" Mi strinse in un abbraccio e mi lasciò un bacio tra i capelli. Alzai gli occhi al cielo senza farmi vedere. Solo dopo che si fu staccata da me si degnò di rispondere alla mia domanda.
"Non lo so, chiedi un po in giro chi manca." Sorrise leggermente per poi tornare a consolare la sua amica. Io mi alzai del quello che era stato il mio banco da tempo immemore e decisi di sedermi ad uno in fondo alla classe. Non mi andava di andare in giro a chiedere, avrei aspettato che l'ultimo si fosse seduto accanto a me. Se tanto non poteva essere Giulia non mi interessava. Ripresi ad ascoltare la musica da dove mi avevano interrotto. Notai presto che a poco a poco la classe iniziò a riempirsi, eppure quando suonò la campanella nessuno aveva preso posto accanto a me. Quella mattina avremmo avuto il prof Cesarini, famoso per il proprio ritardo, perciò trovai strano il fatto che i miei compagni erano stati tutti puntuali. E proprio mentre pensavo ciò una testa biondo platino spuntò dalla porta, seguita a ruota dal corpo di un ragazzo. Emanuele aveva il fiatone, come se avesse appena corso una maratona. Si lisciò la felpa con le mani prima di entrare. Io mi guardai attorno speranzoso, ma notai che quello accanto a me era l'unico posto libero. E se ne accorse anche lui. Venne diritto verso di me e posò lo zaino accanto al banco.
"Buongiorno. A quanto sembra dovrò sedermi vicino a te di nuovo." Istintivamente, mentre il professore di storia entrava scusandosi per il ritardo, mi portai una mano sulla tasca della giacca. Cesarini iniziò con l'appello ed io tirai fuori i soldi. Li feci passare sul banco di Emanuele dopo che entrambi avemmo detto di essere presenti.
"Per la volta delle macchinette."
"Grazie." Lui me li prese e per un attimo le nostre mani si sfiorarono. Sentii un brivido quando le sue bollenti toccarono le mie gelate. Vidi che Emanuele guardò per un secondo e mi fece un piccolo sorriso prima di tornare a posare lo sguardo davanti a se. Io sentii un'inspiegabile calore diffondersi per il mio corpo ed arrivare al mio viso. Le guance avvamparono, e quando portai una mano su di esse e mi accorsi che erano calde, pensai di essermi beccato la febbre. Eppure quella strana sensazione, che si era presa tutta la mia concentrazione non permettendomi di seguire la lezione, piano piano svanì. Il resto della giornata fu uno dei più lunghi della mia vita e quando finalmente potei tornare a casa tirai un sospiro di sollievo.

Al tavolo, seduto tra mia madre e Chiara, fui più silenzioso del solito. E di questo se ne accorsero entrambe.
"Ti prego, smettila di parlare. Ci farai sanguinare le orecchie altrimenti." Continuava a prendermi in giro mia sorella. Io non l'ascoltavo. Ero impegnato a rigirare il cibo nel piatto con la forchetta.
"Lascia stare tuo fratello. E vai di sopra a studiare." La rimproverò mia madre mentre si alzava per sparecchiare. Chiara ubbidì e prima di sparire su per le scale mi fece una linguaccia. Alzai gli occhi al cielo.
"Sei innamorato?" Mi avvicinai a lei e iniziai come al solito ad asciugare i piatti.
"Lascia perdere." Avevo visto nei suoi occhi che moriva dalla voglia di pronunciare quella domanda da un sacco di tempo.
"Abbiamo cambiato i posti e Giulia non è potuta sedere accanto a me. Sono capitato con quel ragazzo nuovo." Lei si asciugò le mani sul grembiule e si voltò verso di me. Sorrire nonostante non ci fosse nulla di divertente.
"Anche se tu non sei felice, io lo sono parecchio. Non te ne rendi conto forse, ma sei terribilmente solo. E per quanto tu possa mentire, nessuno si trova bene da solo. Tutti hanno bisogno di amici, tu compreso." Mi posò gentilmente le mani sulle spalle prima di puntare i suoi occhi nei miei.
"Ora vai in camera tua a studiare. Non dobbiamo parlarne se non vuoi, ma come tuo genitore, devo farti sapere che su di me puoi contarci sempre." Mi lasciò andare. Salii stordito le scale, le sue parole che mi rimbombavano nella testa. Passando davanti la camera di Chiara sentii il solito vuoto che mi invadeva nel ricordare papà. Però ero troppo concentrato su altro per ascoltare quel dolore sommesso, volevo solo stendermi sul letto e non pensare a nulla.

Chiedimi Se Sono InnamoratoDonde viven las historias. Descúbrelo ahora