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Los Angeles, oggi

«Sei pronta? Tra qualche minuto, usciamo!»

«Cosa? No che non sono pronta, Matt!» Il gemello non vuole sentire ragioni, sta escogitando qualcosa con il cellulare in mano.

«Con chi dovremmo incontrarci?» alzo un sopracciglio dubbiosa.

«Vedrai!» un sorriso beffardo si disegna sul volto. Ho paura dei suoi piani malefici, quando c'è di mezzo lui finiamo sempre in qualche pasticcio.

«Novità da Washington?» domando mentre infilo un jeans strappato di qualche anno fa, con mia grande sorpresa, mi calza ancora a pennello.

«Ho ricevuto una foto questa mattina. Vuoi vederla?» Che domande.... certo!

Mi sporgo in avanti e sullo schermo appare una faccetta furba e paffutella, tutto il padre, penso. Anche se gli occhi assomigliano proprio a quelli della mamma.

«Bellissimo! Il mio tesoro!»

«Già... lo penso anche io.» dichiara Matt, poi, finisce di scrivere un messaggio.

«Non ti distrarre. Muoviti! Sappi che ho il preciso compito di portarti fuori di qui.» quando il dispotico vorrei tanto...

«Vorrei tanto sapere-»

«Poche storie, Kate. Ti aspetto in auto.» mi interrompe non lasciandomi altra scelta che seguirlo poco dopo.

Le strade di Los Angeles sono affollate come ogni venerdì sera, l'aria calda si innalza dall'asfalto e le persone si innervosiscono facilmente, suonando i clacson per qualsiasi futile motivo.

Matt alza il volume di una vecchia canzone di Eminem e una scossa mi trapassa da parte a parte.

Lavoro in una piccola etichetta discografica, aperta più di trent'anni prima da papà e un suo socio. Da lui ho imparato ogni cosa, quando ero solo una ragazzina mi affascinava vederlo affaccendarsi e dirigere gli artisti. Ogni tanto mi piaceva sedere insieme a papà dietro il mixer e osservare Marcus, il suo collega e amico, alle prese con le tracce audio. Già allora sapevo riconoscere il potenziale di band emergenti, per questo papà si divertiva a chiedere il mio parere quando aveva grosse novità.

Dopo aver studiato Musica e composizione a Berkeley sono tornata a casa per potermi dedicare alla mia passione: la musica.

Questa mi ha sempre aiutata in ogni circostanza, è un'amica di cui ho bisogno, qualcuno a cui confidare ogni pensiero più recondito. Quando condividevamo l'appartamento al college, John sosteneva che era in grado di riconoscere lo stato d'animo in cui mi trovavo attraverso la musica che sceglievo di ascoltare.

Se metto su i Coldplay, il mio gruppo musicale preferito, vuol dire che ho bisogno di prendere decisioni importanti per me o per la mia vita, quando ascolto i Police o Sting è perché sono malinconica, se invece scelgo i Pink Floyd è perché ho bisogno di distendere i nervi, i Queen per darmi la carica e rompere gli schemi, i Dire Straits se attraverso una fase nostalgica, Elton John e Simon & Garfunkel insieme a tutta la musica pop-melodica degli anni '90 se ho bisogno di farmi un bel pianto, Ed Sheeran se desidero del romanticismo nella vita, mentre Prince, Madonna, Micheal Jackson, Daft Punk se ho voglia di ballare forsennatamente in camera da sola, infine, Eminem o i Greenday se sto pensando a lui.

Matt parcheggia l'auto di mamma davanti al pub, non ci sono mai stata da quando ha riaperto. Una volta questo locale si chiamava George's Place. Il proprietario era un compagno di scuola dei nostri genitori e, quindi, avevamo un trattamento di favore.

Mi volto confusa verso Matt: «Lo ha rilevato il figlio, Henry...» ecco perché del cambio di nome, la famiglia di George è di origini irlandesi e oltre alla fissa per nomi nobili anglosassoni, aveva anche una certa ossessione per la buona birra.

Entriamo dentro e Henry ci viene subito incontro, riconoscendoci: «Ciao ragazzi! Quanto tempo è passato...»

«Un'eternità. Come stai?» ribatte Matt, dandogli dei colpetti sulla spalla.

«Bene. Siamo riaperti da qualche mese... e per ora le cose vanno abbastanza bene. Sedetevi, lui vi sta aspettando.» Un attimo... lui chi?

Chi ci sta aspettando?

«Va bene. Grazie, Henry.» Matt fa il misterioso con me, sa che la cosa mi fa impazzire, voglio sapere tutto e... subito.

Poco più avanti scorgo però una faccia conosciuta e inizio a correre in quella direzione.

Senza neanche parlare ci abbracciamo forte, come se non fosse passato nemmeno un giorno di lontananza.

«K, sei più forte di come ti ricordassi...» sussurra tra i capelli.

«J, ti odio!» lo lascio e gli sgancio un pugno sull'avambraccio destro.

«Ahiii... è questo il modo di accogliere il tuo migliore amico, appena atterrato da Londra?»

«Sì, eccome» sostengo, «avevi promesso di venirmi a trovare a Natale.» Sono contenta di averlo qui, tutto per me, però avrei preferito vederlo in altre circostanze... e, soprattutto, prima.

Ma forse è proprio un bene che lui si sia preso una pausa da Londra per raggiungermi, con anche lui al mio fianco le probabilità di farcela, potrebbero aumentare.

«Ora che avete finito di battibeccare come una vecchia coppia sposata, posso abbracciarti anche io?» esordisce Matt. Ridiamo e ci leghiamo in una stretta a tre.

All'improvviso, torno ragazza, a quando eravamo sempre insieme, a quando i chilometri e le nostre ambizioni lavorative erano solamente un miraggio.

Ritorno a far ossigenare il cervello stanco e avvilito a causa di questi giorni. Siamo ancora una volta un trio.

Ci sediamo e prendiamo posto al tavolo

«Bene. Iniziamo con una birra... abbiamo tanto di cui raccontarci» esordisce John, mentre Matt chiama a sé un cameriere per l'ordinazione. Scruto con attenzione il mio amico, la pelle è ancora più scura di come ricordassi, i tratti afroamericani sono accentuati anche da una nuova capigliatura di capelli, si è fatto fare delle treccine. I muscoli si tendono sotto la camicia chiara che, proprio in questo momento, decide di arrotolare le maniche slacciando prima i bottoni.

I nostri occhi si fondono ancora una volta assieme, torno a respirare odore di casa, senso di famiglia.

Gli anni passati insieme, solo io e lui, a Berkeley li conservo con gelosia. John è stato per me un amico, un confidente, un fratello... insomma, tutto ciò di cui avevo bisogno.

Solo una volta ci capitò di spingerci un po' oltre, ma entrambi non ce ne pentiamo, ognuno è andato avanti con la vita che desiderava senza voltarsi indietro.

Fu qualche giorno dopo avermi confessato che sarebbe volato a Londra.

Fu qualche giorno dopo avermi confessato che sarebbe volato a Londra

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to be continued...

Me in Your AbsenceOnde histórias criam vida. Descubra agora