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Non conosco resistenza all'agitarsi del mio cuoreNina Berbenova

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Non conosco resistenza
all'agitarsi del mio cuore
Nina Berbenova




🦂

Quella mattina mi svegliai tutta indolenzita. Alessandra mi aveva chiesto di abbracciarla anche per quella notte e non mi ero sentita di rifiutare, nonostante già avessi le braccia doloranti.

Non ero più stata male. Era passata poco più che una settimana e tutti avevamo ignorato l'argomento, ma io ero brava a leggere nei loro occhi le domande a cui non davano voce. C'è da dire, però, che io stessa avevo ridotto al minimo le occasioni di dialogo. Trascorrevo a scuola più tempo possibile e quando dovevo andare via perché Tod, il custode, doveva chiudere per andare a casa, chiamavo Hantony e insieme vagavamo per LA.

Lui non faceva domande e io non ne facevo a lui, che sembrava avesse più bisogno di me di quei momenti. Con la musica alta e la sua decappottabile finivamo sempre in posti improponibili, ma poco ci importava. Nessuno dei due parlava. Molte volte ci fermavamo persino a ciglio di strada e tiravano fuori i libri per studiare, aiutandoci a vicenda oppure mi sfidava in sfiancanti partite di basket, che puntualmente non vincevo mai. Trascorrevamo così il nostro tempo, fino a quando, passate da un pezzo le dieci, mi accompagnava a casa con la consapevolezza silenziosa che il giorno seguente avremmo fatto lo stesso.

Il nostro rapporto era cambiato di sana pianta dalla notte delle festa e io sinceramente non avevo fatto domande perché preferivo che si fosse evoluto in una direzione diversa. Avevo bisogno di un amico e non di un fidanzato e lui forse l'aveva capito perché non tentava più di sfiorarmi o di creare una sorta di intimità che tra noi non c'era mai stata.

Suo fratello, invece, non l'avevo più visto e sinceramente mi andava bene così. Non sapevo se lui mi evitasse, ma io di sicuro lo facevo. Sapevo solo che Alessandra lo aveva visto spesso per allenarsi insieme, ma lui non aveva chiesto di me e io non volevo nemmeno che lo facesse. Cosa avrebbe voluto sapere? No, era meglio che si limitasse a ignorare la mia esistenza. Almeno uno dei due ci sarebbe riuscito.

Scostai le coperte e mi sfilai la felpa che avevo usato come pigiama. Quel sabato mattina era insolitamente caldo e soleggiato. I raggi filtravano dalla finestra aperta e illuminarono il mio corpo mentre mi vestii per quella che sapevo sarebbe stata una lunga giornata. Tirai fuori dall'armadio un paio di jeans e una camicia, il mio solito paio di sneakers e mi avvicinai alla scrivania per recuperare il mio orologio. Non potei fare a meno di guardare il cofanetto di cuoio che avevo abbandonato lì pochi giorni prima. Non l'avevo più indossata. Non avevo avuto nemmeno il coraggio di guardarla. Che codarda!

Le mie dita scattarono prima che io potessi capire cosa stavo facendo e mi ritrovai il ciondolo sul palmo. Solo il tonfo del cofanetto mi riportò alla realtà e miei occhi corsero lungo la catenina d'orata.
Fu la prima volta che notai le pietrine verdi incastonate negli occhi dello scorpione. Una strana scossa mi spinse ad indietreggiare, ma la collana rimase lì, fissa tra le mie dita tremanti. Quel ciondolo era lui. Ecco cos'era.

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