🎆CHAPTER 14🎆

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-Jennie!- Chiamo il suo nome mentre lei si volta appena, la chiamo ancora perché non so cosa fare, siamo tornate a casa sulla mia auto e nessuna di noi ha detto una singola parola, Jennie indossa un semplice abito bianco semplice che le arriva fino alle ginocchia, tiene i capelli lunghi e castani sciolti, mentre i suoi occhi sono fissi sulla strada.

La mia mente è in subbuglio, sua madre la porterà via da me, lei tornerà a Seoul e io rimarrò qui senza di lei, mi sembra impossibile solo pensarci, lei non si catapulterà più all'improvviso a casa mia, non discuteremo più a scuola, non faremo più nulla di quello che eravamo solite fare, io ho bisogno di lei...

Parcheggio e scendiamo dall'auto, lei non mi invita ad entrare ma io la seguo lo stesso, so che ha bisogno che io le stia accanto anche se non riesce a dirmelo.

-Lalisa, mia madre non accetterà un no come risposta, lei non lo accetta mai- Jennie si lascia cadere sul soffice divano nel salotto infilandosi le mani nei capelli

-Voglio restare-
-Voglio che tu resti- Diciamo allo stesso momento
-Ma io non ho nulla, tutto quello che ho prima di appartenere a me è di mia madre, lei è una milionaria, io sono solo la figlia di una milionaria, solo l'affitto di questo appartamento sai quanto costa?- le prendo la mano

-Posso aiutarti- Le propongo
-Lalisa io..- Jenni mi guarda con un espressione piena di dolore -Non posso vivere così, ho bisogno delle mie cose, non posso vivere come vivete tu e la tua famiglia, io sono diversa- Prendo un respiro profondo per abitare di adirarmi, lei sta passando un momento difficile, i miei sentimenti non sono quelli più importanti in questo momento, devo pensare a lei.

-Lo sai che la porta di casa mia è sempre aperta per te- Sussurro mentre stringo la sua mano fredda
-Non posso scappare da chi sono, dalla mia famiglia, per quanto voglia farlo, sono nata per questo, sono l'unica che ce l'ha fatta- Non capisco cosa intende? Perché c'è tanto dolore sul suo viso?

-I miei, loro non hanno mai voluto dei figli, ma avevano bisogno di un erede, il lavoro è sempre stato il loro figlio preferito, avevano solo bisogno di creare qualcuno che un giorno potesse ereditare tutto ciò che loro hanno costruito- Jennie si separa da me avvicinandosi alla finestra e aprendola leggermente, la castana lascia vagare lo sguardo sulla vista che si apre davanti a lei: palazzi illuminati e più in là la campagna e infine le montagne, la mia è una piccola città di provincia, facile da inquadrare.

-Mi sono ammalata quando avevo circa sei anni, ancora oggi i medici non sanno cosa ho, non so quanto mi resta da vivere, potrei vivere cent'anni oppure morire domani, nel frattempo faccio del mio meglio per andare avanti, da piccola ero costretta  per settimane intere a letto, crescendo sono migliorata e ora riesco quasi del tutto a gestire i sintomi, non è una vita normale ma so come gestirla.-

-Jennie io...- Lei mi fa segno di tacere e io obbedisco, la castana mi sta finalmente aprendo il suo cuore

-Un giorno mentre ero in ospedale ho sentito mia madre dire a mio padre che desiderava che io non fossi mai nata e che detestava doversi prendere cura di me, forse se non fossi stata sotto l'effetto di una dose massiccia di antidolorifici avrei potuto piangere e disperarmi, ma in quel momento non ho provato nulla, solo di una cosa ero sicura: in quel momento anche io ho desiderato di non essere mai nata, ero solo una bambina ed ero stanca di soffrire-

-Ma invece di lasciarmi andare ho stretto i denti e mi sono rimessa in piedi, i medici mi hanno mandata a casa e da sola ho imparato a gestire le crisi, avrei voluto andare a scuola o anche semplicemente giocare in giardino ma i miei genitori me lo hanno sempre impedito, per me era troppo rischioso e loro non potevano permettersi di perdermi, intanto degli insegnanti privati venivano a casa cercando di insegnarmi qualcosa, ma in quel periodo ero così triste che non riuscivo a farmi entrare in testa nulla, mi sentivo sola, e sono rimasta sola fino all'età di nove anni-

𝙇𝙄𝙇𝙄𝙏𝙃 - ᴶᵉⁿᴸⁱˢᵃWhere stories live. Discover now