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- Alziamo i calici, Macedoni! Un brindisi a Filippo! -

- A Filippo! - 

- E al suo genio diplomatico! -

Voci roche offuscate dal vino si levarono da tutta la sala, aggiungendosi a coloro che avevano dato inizio a quel coro di acclamazioni e lodi sconnesse, vibrando su per le pareti, fino all'alto soffitto, come il brontolio di una qualche mostruosa bestia mitologica. Gli uomini stessi presenti al banchetto, illuminati dalla luce tremolante della fiaccole, quella sera somigliavano alle inquietanti creature graffiate sulla pietra delle tombe più antiche, i volti contorti in smorfie simili a grottesche maschere teatrali. Spettatori di quell'inquietante e caotico spettacolo erano due giovani, che, sebbene seduti tra i posti d'onore, con il loro silenzio non avevano destato per tutta la serata l'attenzione di nessuno, rimanendo quasi immobili come statue, evidentemente a disagio per ciò che erano costretti ad assistere. Alessandro, gli occhi vitrei persi nel vuoto, di tanto in tanto faceva vagare lo sguardo velato da un volto all'altro nella stanza, le labbra strette, sul viso un'espressione indecifrabile. I riflessi del fuoco colavano come oro fuso sui suoi riccioli ribelli, folti e morbidi, che sua madre Olimpiade definiva "biondi come quelli di Achille"; in verità, i capelli del principe non erano biondi, anche se un osservatore inesperto li avrebbe certamente descritti così, a prima vista: come il dolce miele brunito, erano di una sfumatura indefinibile tra il castano molto chiaro, simile alla cenere delle braci ancora ardenti, e il rosso rilucente d'oro del rame; i vari unguenti e lozioni a cui erano stati sottoposti sin dalla più tenera età li avevano inevitabilmente schiariti, ma non abbastanza da sottrarre loro quei riflessi così vividi che li rendevano tanto particolari. Efestione, seduto accanto a lui, stava trattenendo a stento la tentazione di affondare le dita tra quelle ciocche luminose, ma non era un giovane avventato e non si sarebbe mai lasciato vincere dalle passioni, nemmeno sotto effetto dell'alcol, e tantomeno in pubblico, dove non permetteva che alcuna delle proprie emozioni trasparisse dal quel suo viso solitamente così sincero. L'espressione sul suo volto era la stessa che era solito rivolgere quasi a tutti, a palazzo: una maschera di indifferenza che non aveva mai indossato con il suo compagno, a lui del tutto sconosciuta. I suoi occhi azzurri sembravano freddi come zaffiri taglienti, lo sguardo distaccato ostentava un tangibile disprezzo, e perfino le sue labbra morbide e rosate erano tirate in un gelido e apocrifo sorriso, quando, di tanto in tanto, era costretto a rispondere all'occhiata o al cenno di uno dei loro commensali. Eppure, bastava che i suoi occhi incontrassero per un solo istante quelli di Alessandro perché tutto in lui cambiasse; si trattava di un mutamento impercettibile, che gli altri non avrebbero mai potuto cogliere, un lampo di vera e propria luce che attraversava come folgore quello sguardo cristallino: era l'unica cosa che il principe desiderava ammirare, in quella squallida serata. Ciò che tanto divertiva i loro compagni era per loro motivo di disgusto. Sebbene nessuno dei due disprezzasse l'inebriante succo della vite (e nonostante la giovane età fossero entrambi ottimi bevitori), i due giovani detestavano come poche altre cose quelle serate viziose, che terminavano sempre in un trionfo di cori deliranti e lussuria. Efestione, soffocando l'ennesimo sbuffo di frustrazione in un sorso dal proprio calice, osservò lo sguardo del compagno, scuro in volto, vagare sui presenti fino a soffermarsi dall'altro lato della sala, e ne seguì la traiettoria. Non appena capì cosa stesse guardando Alessandro, si rabbuiò con lui: il re Filippo, quasi totalmente ebbro di vino, era spudoratamente intento a soddisfarsi con una delle tante schiave che affollavano la stanza. Imbarazzato, il giovane distolse svelto lo sguardo da quello spettacolo pietoso e indecente, prima di sentire il respiro del principe infrangersi a pochi centimetri dal suo orecchio

- Non prova un minimo di vergogna? - la voce di Alessandro era un sibilo duro tra i denti, e tradiva irrimediabilmente tutta la sua collera

L'altro sospirò appena, sfiorandogli furtivamente il dorso della mano, in quella che doveva essere una carezza rassicurante. Non servì, però, a rilassarlo: il principe, infatti, si irrigidì ulteriormente quando vide una giovane danzatrice tentare di approcciarsi con fare sensuale ad Efestione. Il giovane la scacciò via con un cenno infastidito della mano, senza poter evitare, nonostante gli sforzi, di celare l'imbarazzo che subito gli colorò le guance, tanto più che questo venne subito acuito dalle occhiate stranite e sospettose dei suoi compagni d'armi. Tuttavia, bastò uno sguardo truce di Alessandro per stroncare sul nascere qualsiasi diceria o battuta, e poco dopo entrambi ripresero a bere come se nulla fosse appena accaduto. Come se non sapessero ogni cosa... Alessandro si costrinse ad allontanare dalla mente quei pensieri e, osservando la fanciulla ormai lontana da sopra il bordo del proprio kylix, non poté fare a meno di rammentare quando, una sera di pochi mesi prima, sua madre gli aveva fatto trovare nella propria camera da letto una giovane per sedurlo; si era infuriato, e il giorno seguente aveva rivolto aspre parole alla regina Olimpiade, eppure tutta la rabbia provata non gli aveva impedito di possedere quella ragazza, forse solo per capriccio o per difendere il proprio onore di uomo... Turbato da tali pensieri, il giovane fu investito da un profondo senso di disgusto nei propri confronti, pentendosi ancora, per l'ennesima volta, a causa di quel deplorevole comportamento. Gli fu inevitabile gettare un'occhiata al proprio vicino, che già da diverso tempo lo stava osservando; Efestione, quasi avesse indovinato i suoi pensieri, distolse lo sguardo con aria imperturbabile. Alessandro non avrebbe mai potuto dimenticare l'espressione sul suo volto quando era venuto a conoscenza di quell'episodio. Per la prima volta, anche lui aveva visto il gelo in quegli occhi solitamente così luminosi. Aveva ostentato indifferenza, il suo compagno, dicendo che non gli importava, con voce atona priva di sfumature, sputando le parole con freddezza; aveva ricordato, più a se stesso che al principe, che era libero di fare ciò che volesse, cercando di mostrarsi comprensivo, ma senza successo. Fortunatamente, il suo distacco non era durato a lungo - nessuno dei due riusciva a fare a meno dell'altro per troppo tempo - ma era stato sufficiente a lasciare un segno indelebile nella loro giovane memoria. Affogando i ricordi nell'ennesima bevuta, Alessandro si chinò nuovamente verso il compagno, incontrando subito i suoi occhi attenti. Nonostante non fossero più del tutto sobri, erano entrambi ancora piuttosto lucidi da comprendere che fosse arrivato il momento di lasciare la festa. Quasi tutti i convitati erano ormai completamente ubriachi, e sghignazzavano sguaiatamente abbracciati a donne e giovinetti. Presto la situazione sarebbe divenuta insopportabile. Efestione annuì alla tacita richiesta del compagno e attese che questi si avviasse verso l'uscita della sala; lasciò che il proprio sguardo scivolasse lascivamente su quella schiena ampia e sul resto di quel corpo robusto, non particolarmente alto ma massiccio. Il fascino del principe era certamente particolare ma innegabile. Il giovane continuò a fissarlo, gli occhi simili a tizzoni ardenti: sentiva un fuoco inarrestabile consumarlo da dentro. Lo vide salutare i pochi amici non del tutto inebriati dall'alcol, e lanciare un ultimo, sconsolato sguardo alla figura del padre nascosta nell'ombra, prima che scomparisse oltre una colonna, sottraendosi definitivamente alla sua vista. Silenzioso e discreto come un gatto, Efestione si alzò dal proprio posto, scivolando finalmente via, con forte sollievo, da quel luogo di perdizione. Nell'oscurità del cortile, due occhi ardenti lo attendevano, brillanti come gemme: Alessandro lo stava aspettando.

Δύο σώματα, μόνη ψυχή || Un'anima in due corpiWhere stories live. Discover now