4. Io, te e le rose bianche

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Da quel giorno erano ormai passati anni, e io e Mattia convivevamo in un appartamento in centro, che seppur fosse piccolo, aveva tutto ciò di cui avevamo bisogno. C'era addirittura un balconcino, dove avevamo piantato delle rose bianche.
Quel fiore era diventato il simbolo del nostro rapporto, del sentimento che ci legava.

Erano ormai le sette di sera, ed io ero intento a preparare la cena, aspettando il mio ragazzo che sarebbe dovuto tornare presto dal lavoro. Passarono i minuti, ma lui non rincasava. Pensai che avesse avuto qualcosa in più da fare a lavoro, anche se effettivamente non era mai tornato così tardi.
Iniziai a preoccuparmi, ma la suoneria del mio telefono mi distrasse. Sperando che fosse lui, mi precipitai sull'apparecchio.
Fortunatamente, sul display apparse il suo nome.

«Amore! Stai tornando?» Gli chiesi.
«Ciao...» Rispose una voce, che non era quella di Mattia.
«Il tuo ragazzo ci ha fatto il tuo nome quando gli abbiamo chiesto di chiamare qualcuno che conoscesse.»

Ero confuso. Chi era questo ragazzo che mi aveva chiamato dal cellulare di Mattia? E perché non stavo parlando con il mio ragazzo, ma con lui?

«E perchè? Sta bene?» Gli chiesi allora, ancora più preoccupato di prima.
«Beh non troppo. Insomma, ha avuto un incidente in macchina e ora lo stiamo portando in ospedale. Al momento ha perso coscienza. L'ultima cosa che ha detto è stata quella di chiamarti.»

Mi si gelò il sangue nelle vene.

«Oh mio dio, arrivo subito.»
E staccai, iniziando a correre più veloce che potevo giù dal condominio, verso la mia macchina.

Non mi preoccupai di superare i limiti di velocità per strada: l'unica cosa che mi importava in quel momento era di vedere Mattia, e assicurarmi che stesse bene.

Entrai nell'edificio e chiesi alla prima infermiera che mi passava davanti se sapesse in che stanza si trovasse il mio ragazzo.
Ottenuta quell'informazione, mi recai subito verso il posto indicato.

Varcai la soglia e lo trovai steso in un letto con gli occhi chiusi. Sperai con tutto me stesso che fosse una cosa da poco, che si sarebbe rimesso.

Mi avvicinai a lui e iniziai ad accarezzargli dolcemente i capelli.

Dopo essere rimasto li per ore, avergli parlato, nonostante immaginavo che non mi potesse sentire, ed essermi preso cura di lui, cercai un dottore che mi potesse spiegare cosa avesse.

Fortunatamente, prima che potessi uscire dalla stanza, ne entrò uno.
«Salve, come sta Mattia?» Gli chiesi.
Lui mi guardò con aria indecifrabile e poi parlò.
«È stato un duro colpo. A dirla tutta, non so se si rimetterà tanto in fretta. Anzi, non so proprio se si rimetterà.» Mi rispose, per poi guardarmi con aria triste.

In quel momento mi cadde il mondo addosso. La persona più importante della mia vita, il ragazzo che amavo, sarebbe potuto- No, non ci avrei pensato. Dovevo essere positivo, dovevo farlo per lui.

*

Le giornate passavano interminabili, e la situazione era sempre la stessa. Ogni giorno mi presentavo alla stanza 8 dell'ospedale e rimanevo con Mattia per tutto il tempo che mi sarebbe stato concesso. Mi prendevo cura di lui, lo accarezzavo, gli parlavo e gli dicevo quanto lo amassi. Non persi mai la speranza.

*

Era il giorno del suo compleanno, e -come avevo fatto nei precedenti quattro mesi-, mi ero presentato davanti alla sua stanza, questa volta con un mazzo di rose bianche, quelle che coltivavamo sul nostro balcone.

Entrai e lo vidi, ancora dormiente sul letto. Mi avvicinai a lui e lo guardai, per poi scostargli delicatamente una ciocca di capelli dalla fronte. Mi inginocchiai vicino al suo letto e parlai.

«Ciao amore, buon compleanno. Ti ho portato queste rose direttamente dal nostro balcone. Spero che il loro profumo ti aiuti. Ricordati che io sono con te sempre. Ti amo tanto.»
Gli presi la mano, e gliela strinsi piano.

Sentii un movimento.

Le sue dita si erano mosse.

Aveva ricambiato la mia stretta, seppur molto ma molto debolmente.

Sgranai gli occhi e andai subito a chiamare un medico, a cui spiegai cosa fosse successo.

Dopo averlo visitato, uscì dalla stanza, e mi disse che quello che avevo percepito era stato frutto della mia immaginazione. Mi disse che sicuramente avevo avuto un'allucinazione, dato il fatto che desiderassi riaverlo con me il più presto possibile.

Sbarrai gli occhi. Ne ero sicuro: quella non era stata un'allucinazione. Non me l'ero solo immaginato che avesse ricambiato la mia stretta. Lui l'aveva fatto sul serio.

Tornai dentro la stanza e mi inginocchiai nuovamente accanto a lui. Passai le dita sul suo collo, dove trovai la collanina che sapevo portasse sempre. Quella che gli avevo regalato quando, anni prima, gli avevo chiesto di stare insieme. La toccai delicatamente.

«Ti ricordi di quando ti ho regalato questa? È stato il giorno in cui ti ho chiesto di stare con me. Te l'ho data perché vedevo questo fiore come un simbolo per la purezza del nostro rapporto. Poi ho scoperto che dietro c'era di più per te, e mi hai fatto conoscere tua mamma.»

Mi presi un attimo di pausa, perché quei ricordi mi laceravano dentro.
Non volevo rischiare di piangere, dovevo essere positivo. Dovevo farlo per lui.

Presi la sua mano, facendogli delle carezze sul dorso con il pollice.
«Non vedrò mai più le rose bianche come prima. Ti amo.»
Gli diedi un bacio sulla fronte e poi percepii un altro movimento delle sue dita, questa volta meno debole di prima.

Ne ero certo: non me lo ero immaginato.

Aveva mosso le dita.

Cercava di ricambiare la mia stretta.

E infatti, lo vidi aprire molto lentamente gli occhi, riducendoli a due fessure.

«Oh mio dio, Matti! Sei sveglio!» Dissi, mentre le lacrime di gioia iniziavano a scorrermi sulle guance.
Schiacciai il pulsante d'emergenza per chiamare un medico, mentre continuavo ad accarezzare Mattia.

Il dottore arrivò, e mi fece uscire dalla stanza per poter fare degli esami. Quando uscì, mi guardò sorridente.

«Ora puoi entrare, ma non disturbarlo troppo: è molto debole e si deve ancora riprendere. Parla piano, mi raccomando.» Mi disse, ed io entrai, non vedendo l'ora di poter parlare con lui.

Non appena vidi i suoi occhioni azzurrissimi aperti, mi sentii svenire.
«Ehi amore, come ti senti?» Gli chiesi, mentre lentamente mi avvicinavo a lui.

Mattia mi guardò con aria un po' spaesata.
«Io sto...bene, credo.» Mi disse, incerto, mentre si guardava attorno.

Appena mi misi vicino a lui, si concentrò su di me, scrutandomi. Mi fece un debole sorriso.
«Sei bellissimo.» Mi disse, avvicinando lentamente la sua mano a me, facendomi capire che voleva che la prendessi.
Gli sorrisi di rimando, prendendo la sua mano.
«Ti amo.» Gli dissi, stampandoci un bacio sopra.
«Ti amo anche io. Tanto. Grazie per le belle parole che mi hai detto.» Mi rispose.
Per un attimo fui confuso.
Quali belle parole? Stava delirando?
Vedendo che non capivo, parlò di nuovo.
«Quando-quando mi parlavi io ti sentivo. Ho sentito tutto ciò che mi hai detto, ma non potevo rispondere. Ho lottato con tutto me stesso per poterlo fare. Volevo dirti che anche io ti amo, e volevo rispondere ai tuoi gesti. Ma non potevo. Poi ti ho sentito parlare di mamma, della collana, e del nostro fiore. La voglia di-di dirti che anche io provo quello che provi tu, non mi ha fatto mollare. È solo grazie a te se ora sono qui. Ti amo, Christian.»

Con le lacrime agli occhi lo abbracciai il più delicatamente possibile. Mi chinai verso il suo viso per lasciargli un dolce bacio.

Presi il mazzo di rose, e lo misi in mezzo a noi.
«Io, te e le rose bianche.» Gli dissi, baciandolo ancora.
«Io, te e le rose bianche.» Mi rispose lui, ricambiando il mio bacio.

Fine.

***

Spazio autrice:
All'inizio, l'idea era quella di non proporre un lieto fine. Mentre scrivevo, però, ho sentito che Mattia e Christian si meritassero una felice conclusione.
Grazie per aver letto🤍.

Rose bianche [zenzonelli]Where stories live. Discover now