Capitolo 5 ( Loro )

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Quella sera non mangiai niente restando sola nella mia stanza ad ascoltare quella musica che per me era un salvavita. Restavo a guardare quella finestra ad ore. Lo vedevo mentre muoveva le sue mani leggiadre lungo la chitarra e il suo ciuffo gli ricadeva sulla fronte ribelle.

Il pomeriggio andavo a lavorare alla stazione radiofonica mentre la mattina prendevo lezioni di chitarra. Nel tempo libero, soprattutto quando mio padre non era in casa ma in alcuni locali aperti anche di giorno, mi vedevo con Elvis. Con lui mi sentivo bene anche se nascondevo il mio dolore dietro a una maschera. Ridevamo e scherzavamo come due normali ragazzini di quattordici anni. Quando stavo fuori casa tutto andava bene ma quando rientravo gli incubi mi perseguitavano come fantasmi terrorizzanti. Non riuscivo a vivere. Ero segregata tra le violenze, sempre più frequenti e dolorose, di mio padre.

Un giorno, il 18 luglio 1953, Elvis si ritrovò a registrare un disco per una casa discografica che si trovava nelle vicinanze. Quando mi disse la notizia ne fui entusiasta. Ero felicissima per lui. Ma dall'altra parte sapevo che se avesse avuto successo avrebbe iniziato una tournée e questo voleva dire che si sarebbe allontanato da me. Mi prese il panico. Il respiro si fece affannato. Il mio petto si alzava e si abbassava più velocemente del normale. Il cuore correva come un pazzo. Lui comprese che qualcosa non andava:

«Ehi, va tutto bene? Che ti succede?»

Iniziai a piangere istericamente e lui mi abbracciò. Non ebbi paura e nemmeno mi scostai. Mi sentivo bene come se mi trovassi tra le ali di un angelo. Smisi piano piano di piangere e lui, vedendo alcune ferite molto profonde e recenti, comprese che qualcosa non andava. Mi guardò con i suoi occhi azzurri cielo e mi fece QUELLA domanda. Sapevo che sarebbe arrivata prima o poi. Dovevo dirgli la verità. Era giusto così. Lui mi avrebbe aiutata. Era l'angelo che aveva mandato Dio per salvarmi dal mostro:

«Chi è che ti ha fatto tutto ciò? È il tuo ragazzo?»

«No, mio padre. Lui è un uomo violento e meschino. Prima che conoscesse mia madre andava nei night club per fare sesso, bere e drogarsi. Poi, come un serpente tentatore, ha fatto entrare anche mia madre in quel giro. Il 16 marzo 1935 sono nata io e William ha deciso di non andarci più. Mia madre lavorava come venditrice di piccoli oggetti che costruiva con le sue mani per farci guadagnare qualcosa. A sei anni accade qualcosa di terrificante...» a quel pensiero iniziai a tremare come una foglia, il mio cuore accelerò la sua corsa. Ero di nuovo affannata. Lui mi calmò. «...tornò a casa ubriaco. Andò nella mia camera e mi stuprò. Ricordo ancora le sensazioni che ho provato perché  mi perseguitano ogni notte nei miei incubi. Ancora adesso lui sta continuando a stuprarmi. Mia madre si è rifugiata nell'alcool e nella droga. È diventata il fantasma di se stessa.» Finii di raccontare sentendo un peso togliersi dal petto. Mi sentivo rinata nonostante le ferite che riportavo nella pelle e nella psiche.

Lui non smise di guardarmi e quando parlò mi disse una cosa che sancì la nostra unione:

«Natalie Taylor, sei un piccolo angelo a cui sono state strappate le ali per volare. Se il mio disco dovesse avere successo chiederò al produttore discografico di farti entrare nella band. Hai preso abbastanza lezioni per diventare bravissima con la chitarra e se vuoi rinascere come una fenice questo è l'unico modo. Non devi vivere sotto il tetto di quell'uomo miserabile. Vivrai con la mia famiglia. Gladys, mia madre, è dolcissima così come anche mio padre Vernon. Gli racconterò tutto quanto e loro lo denunceranno.»

A quella proposta rabbrividii. Se mio padre lo avesse scoperto per noi sarebbe stata la fine. Enunciai il pensiero e lui mi rassicurò. Quella sera tornai a casa più rasserenata. Dovevo soltanto aspettare.

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Di giorno in giorno il nostro rapporto cresceva. Natalie era una ragazza bellissima a cui piaceva molto ridere. Ne aveva bisogno ma ero sempre più curioso di scoprire chi le avesse causato quelle cicatrici e lividi. Era per caso fidanzata e il suo ragazzo la picchiava? Quale uomo così meschino avrebbe avuto il coraggio di fare del male a una così bella creatura? Me lo domandavo sempre. La notte spesso non riuscivo a prendere sonno a causa di ciò. Mi avrebbe mandato fuori di testa.

Scoprii di essermi follemente innamorato quando, il 18 luglio 1953, decisi di fare un disco dedicato a coloro che mi rendevano felici, mia madre e Natalie, intitolato " My Happiness". Quando le dissi la notizia lei ne fu felicissima ma poi vidi il suo bellissimo sorriso abbandonare le sue labbra in meno di un secondo. Iniziò a tremare e i suoi occhi marroni riempirsi di lacrime. Era nel panico più totale e non riuscivo a capire. Cosa le stava succedendo? Perché all'improvviso aveva cominciato a tremare così tanto? L'abbracciai per darle conforto e lei si tranquillizzò. Era traumatizzata da qualcosa nel suo passato. Mi raccontò tutto e io capii. Non era il suo ragazzo ad averla distrutta in questo modo ma addirittura suo padre. Colui che le aveva dato la vita. Non ci potevo credere. Un angelo del genere distrutto da un demone senza alcuna pietà. Le promisi che avrei fatto di tutto per renderla felice e per ridarle la felicità che le era stata tolta.

Quella sera tornai a casa e riunii a tavola i miei genitori e mia sorella per annunciargli i miei propositi:

«Ho conosciuto una ragazza ed è quella che abita accanto a noi. Ho scoperto che suo padre la violenta fin da quando aveva sei anni ed è distrutta sia fisicamente che psicologicamente. Vorrei ridarle la felicità che si merita e farle passare gli incubi che la tormentano. Mi piacerebbe che lei venisse a vivere da noi e denunciare quell'uomo che non può essere neanche definito in questo modo.»

Loro erano scioccati e sorpresi dalla mia decisione. Eravamo già in quattro e avevamo difficoltà a trovare del denaro una bocca in più sarebbe stata difficile da sfamare. Ma io non mi volevo arrendere. Lei doveva vivere. Così il giorno seguente, dopo aver inciso il disco che piacque immediatamente, dissi la lieta notizia a Natalie. Lei prese tutta la sua roba dalla sua camera con il sorriso sul volto e venne a vivere da noi. La camera di mia sorella, Jessie, era abbastanza grande per entrambe e lei si sistemò lì.

Da quel 19 luglio 1953 ebbe inizio la nostra convivenza che dura ancora oggi.

Unchained Melody ~ Elvis PresleyWhere stories live. Discover now