Capitolo 6 ( Loro )

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Quando andai a vivere con Elvis tutto il mio mondo cambiò: Jessie era una ragazza veramente simpatica e mi aiutò a sistemare tutti gli oggetti che possedevo in quella stanza; Gladys, sua madre, lo fu altrettanto così come anche Vernon. La prima notte fu abbastanza complicato e mi svegliai di continuo ma Jessie, quando succedeva, veniva a dormire con me. Il giorno successivo Elvis mi presentò a Sam Philips, il suo produttore discografico, a Bill Black, il contrabbassista e Scotty Moore, l'altro chitarrista che sarebbe poi diventato il nostro primo manager. Sam si fidava ciecamente di Elvis così quando mi vide mi domandò:

«Il signor Presley mi ha detto che sa suonare molto bene la chitarra. Ha qualche pezzo da farci ascoltare?»

Mi ero preparata per una domanda simile così iniziai a suonare il brano che avevo dedicato a Elvis. Le note uscivano dallo strumento come piume al vento e mi sentivo bene ma soprattutto in pace. Era una canzone a cui avevo messo cuore e anima quando mio padre non era ubriaco oppure non se la prendeva con me. Ricordai i momenti passati con lui, il mio angelo, le nostre risate, i nostri abbracci e tutto ciò che mi faceva sentire bene. Alla fine avevo le lacrime agli occhi, come capitava sempre, e Sam applaudì energicamente:

«È stata davvero brava. Non ho mai visto una ragazza che mette così tanta anima e passione nella musica. Lei è dentro signorina Taylor.» Appena disse ciò mi sentii euforica. Finalmente stavo trovando la felicità che tanto desideravo da una vita intera.

Quando tornammo a casa, dopo aver provato qualche brano, annunciammo la lieta notizia anche alla nostra famiglia. Anche quella notte mi svegliai affannata e con il batticuore: avevo sognato mio padre che veniva a cercarmi dopo che era stato arrestato per abusi su minore. La sua rabbia era potente e distruttiva. Mi picchiò fino allo sfinimento dandomi della puttana. Urlai. Urlai. Poi un tocco delicato che conoscevo bene mi svegliò. Era Elvis. Lo abbracciai piangendo disperatamente:

«Ehi, va tutto bene. È finita. Lui è in carcere e non ti può più fare del male. Non ne uscirà molto presto. Vuoi che ti canti una canzone per addormentarti?» mi chiese mentre io ero ancora avvolta dal terrore dell'incubo appena avuto. Annuii senza smettere di piangere. Lui cominciò e mi sentii bene. Il mio respiro si regolarizzò e mi strinsi di più a lui. Mi addormentai per la seconda volta.

Quando mi svegliai notai che ero nel letto di Elvis e lui mi stava abbracciando. Non mi scostai ma lo osservai attentamente: anche quando dormiva era bellissimo. Guardai le sue labbra così perfette e, senza che me ne accorgessi, avvicinai la mia mano per toccarle. Erano morbide così come il suo volto:

«Ehi, buongiorno, che stai facendo?» mi domandò facendomi sobbalzare mentre sorrideva. Il mio cuore cominciò a correre una maratona e non sapevo quello che mi stava succedendo. Avvertii anche un calore alle guance. Tutto ciò era veramente strano. Non mi era mai successo prima. Forse mi ero ammalata?

«Io...ehm...forse è meglio se vado a prepararmi per la colazione.» Dissi alzandomi da letto senza guardarlo negli occhi. Andai in bagno e mi buttai l'acqua fresca in faccia per darmi una svegliata. Cosa cavolo mi stava succedendo? Perché ogni volta che lo guardavo in faccia diventavo rossa come un pomodoro maturo? Dovevo assolutamente andare da un medico per capire tutto ciò. Non potevo di certo dirlo ai suoi genitori non volevo che si preoccupassero troppo.

Così, dopo che mi ero vestita a modo, mi unii a tavola con loro e poi andammo allo studio per riprovare qualche brano. Quello stesso pomeriggio chiesi a Elvis di accompagnarmi dal medico perché non mi sentivo affatto bene e lui naturalmente si preoccupò. Mi fece mille domande a cui io non sapevo dare una risposta. Arrivati davanti allo studio lui mi portò all'interno e chiese del dottore che era solito visitare sua madre. La segretaria ci annunciò di aspettare lì in quella stanza. Era tutto bianco marmoreo e metteva una grande tristezza. Quando il dottor. Edward Brenner ci venne incontro io lo seguii a ruota.

Durante tutta la visita mi fece molte domande ma non notò niente di particolare:

«Signorina Taylor lei sta benissimo. Mi può dire esattamente che sintomi prova?»

«È da giorni che sento questo calore soprattutto sulle guance, il battito accelerato, sono spesso sudata e ho le mani sudate. Non riesco neanche a mangiare. Ho per caso la febbre?»

Il medico mi sorrise con uno di quei sorrisi che mi facevano veramente stare bene:

«Dopotutto quello che ha provato nella sua vita, ho compreso quello che le è successo viste le ferite che riporta, le sensazioni che sente sono piuttosto normali. Lei è innamorata ma d'altronde dopo uno stupro è naturale che abbia paura di tutto ciò. Con il tempo imparerà ad associarle al benessere. Ora vada e se ha ancora qualche problema non esiti a contattarmi.»

Mi diede il suo numero e io uscii con ancora più domande di prima. Non potevo essermi innamorata. Non era possibile. Avevo subìto delle violenze e forse il mio corpo stava cercando di rimediare a ciò con quei sintomi così strani.

Elvis, vedendomi trasognata, mi venne incontro e mi chiese cosa aveva detto il medico. Io non gli risposi. Come potevo dirgli che mi ero innamorata di lui? Insomma ci conoscevamo da cinque anni. Erano pochi. Ma forse era una semplice cotta e con il tempo mi sarebbe passata.

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Seguendo il consiglio che avevo ricevuto da Sam Phillips iniziai a collaborare con i due session man, Bill Black e Scotty Moore, e Natalie come nuova chitarrista. Quando il mio produttore discografico conobbe Natalie gli piacque immediatamente. Aveva suonato un brano che non avevo mai sentito prima di allora e che mi fece battere fortissimo il cuore. Era davvero straordinaria con la chitarra.

Quella notte però ebbe uno dei suoi incubi. Fu peggio delle altre volte. Jessie riusciva a calmarla dormendo in sua compagnia ma quella notte la vidi dimenarsi e urlare istericamente nel sonno. Neanche mia sorella era riuscita a calmarla. Mi avvicinai e lei si svegliò. Mi venne voglia di uccidere quell'uomo che l'aveva ridotta in quel modo. Sembrava, ai miei occhi, un uccellino indifeso. Mi faceva una gran tenerezza. Le cantai una canzone e lei si addormentò serenamente. Per non farle avere altri incubi la presi in braccio e la portai in camera mia. Durante la notte lei non fece altri incubi.

Al mio risveglio vidi che mi stava toccando le labbra e le sorrisi. Lei sobbalzò come punta da uno spillo e diventò rossa come un pomodoro. Era semplicemente adorabile quando succedeva. La conoscevo da solo cinque anni ma mi aveva già rubato il cuore. Lei era delicata come ceramica e se veniva toccata da mani sbagliate poteva rompersi in mille pezzi.

Quel giorno, dopo le prove, quando mi disse che voleva andare da un medico perché non si sentiva bene stavo per mettermi a ridere. Lei si era innamorata e pensava che quei sintomi che aveva fossero dovuti ad un raffreddore. Lei aveva diciotto anni ma dimostrava l'innocenza di una bambina. L'accontentai anche se sapevo benissimo cosa volevano dire.

Dopo la visita lei stette in silenzio ed era piuttosto meditabonda. Anche nei giorni seguenti ebbe sempre quello stesso comportamento.

In studio di registrazione stavamo ad ore a provare nuovi brani o a riarrangiare pezzi già noti con l'apporto innovativo della mia voce, del mio particolare stile e degli arrangiamenti che il gruppo provava e riprovava.

Durante una notte di luglio 1954, dopo che avevo provato con loro per ore senza essere riuscito a produrre qualcosa che reputassi accettabile o soddisfacente, vinsi la mia timidezza e feci ascoltare un vecchio pezzo country scritto da Arthur Crudup: " That's all right, Mama". Sam ne fu entusiasta e iniziai, insieme a Natalie, a incidere dischi sotto l'elgida della Sun Records.

Nonostante gli incubi che la tormentavano ogni notte Natalie aveva finalmente trovato la vera felicità.

Unchained Melody ~ Elvis PresleyWhere stories live. Discover now