𝐶𝑎𝑝𝑖𝑡𝑜𝑙𝑜 11 - 𝐹𝑒𝑟𝑖𝑡𝑒

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"Adesso ne sono sicuro.
Fino alla fine sono stato io il migliore."
Porko




«Allora [T/N]... Come ti senti?» dopo la lunga passeggiata dalla spiaggia a casa, completamente bagnata e infreddolita, fu impossibile non prendersi una brutta febbre.

«Meglio, dottore.» rispose sistemandosi la felpa grigia con lentezza.

Si era presa una brutta febbre, non era riuscita nemmeno a muoversi, aveva raggiunto picchi veramente alti con la temperatura, e tutti si erano un po' allarmati.

«Sembri stare meglio. Ma vorrei continuare a monitorare.» rispose il dottore sistemandosi il cordino degli occhiali.

Sua madre era al suo fianco, sguardo cagnesco e voglia di buttare fuori i peggiori insulti per il tempo e denaro che le aveva fatto perdere.

«La ringrazio dottore. Arrivederci» parlò per prima la madre, portandosi dietro la figlia.

Uscita dall'ospedale e rientrata in macchina ecco che la furia si riversò contro di lei.

«Mi spieghi come hai fatto a prenderla? Anzi. Non lo voglo sapere.» iniziò, e anche se pareva che il discorso potesse finire lì, il male aveva ancora molto da ridire.

«Hai saltato altri giorni di scuola... Guarda che sono venuta a sapere che sei mancata prima. Arrivano lettere, eccome se arrivano!» sbatteva le mani contro il volante e [T/N] ebbe paura che potessero sbattersi su di lei.

«Perchè sei così?... Che ho fatto di male per avere questo?!» si portò teatralmente la mano sulla fronte, da buona vittima qual'era.

«Sai quanti soldi ho speso per le medicine? Il tempo che hai perso a scuola poi come hai intenzione di rimediarlo, eh?!» prese ad urlare e tutto, ogni cosa di quella macchina sembrava andare contro di lei.

«Mi farò dare gli appunti...» lo disse solo per farla tacere. Poiché nessuno della sua classe, sarebbe disposto a prestarglieli. La maggior parte nemmeno li scriveva.

Ma per la madre, chiunque era meglio di sua figlia.

«Sarà meglio.» e poco dopo, uno sbuffo rassegnato pieno di fastidio lasciò le labbra della donna.

Tornate a casa, la ragazza si barricò in camera, come da consuetudine.

Tirò fuori il cellulare, guai se glielo avesse visto sua madre in macchina, e scrisse a Rob.

Con le dita che scorrevano nella tastiera digitale, gli comunicò che era guarita. Sarebbe ritornata a scuola il giorno dopo.

Anche lui era rimasto abbastanza scosso dalla notizia della febbre.

Insomma, c'era stato a insieme per tutto il tragitto da scuola a casa. Avrebbe notato il suo malessere.

Ma non fece domande.
Era il periodo delle febbri e cali di pressione.

Tutto normale.

Da ammalata non riuscì a comunicare col bruno, da quella volta, non riuscì nemmeno più a sognare.

Fu difficile, più del solito. La mente riportava quelle sensazioni sulla pelle, il ghiaccio, il calore, il vapore, la stretta attorno al suo corpo.

Si sentiva divisa, in quel fondale aveva lasciato una parte di sè.

Qualunque cosa fosse, il suo nome era Gigante d'Attacco.

Gigante.

Ecco. Aveva finalmente capito, cos'erano.

Giganti.

Ma l'appellativo demone era più allettante.

Il giorno dopo, a scuola si ripeteva l'estenuante ciclo di tutti i giorni.

𝐸𝑣𝑒𝑟𝑙𝑜𝑛𝑔                                          [EREN JEAGER X READER]Where stories live. Discover now