XXXII. Shoto

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Shoto's POV
Dei brividi cominciarono a scuotere la mia schiena. Avevo freddo nonostante la temperatura non fosse particolarmente bassa.

Come poteva sapere di Toya? Mio padre non aveva mai rilasciato informazioni sulla sua famiglia, figuriamoci su un figlio che era stato dato per disperso. O meglio, per deceduto...

Forse si trattava di un suo amico d'infanzia, pensai. Tuttavia, ancora non avevo del tutto scartato l'idea che Endeavor avesse generato un figlio al di fuori del matrimonio con mia madre. Una scarica di isterismo mi attraversò. Cominciai a ridere sguaiatamente.

"Tu? Tu saresti Toya? Mi spiace dirti che mio fratello è morto qualche anno fa. È scomparso in circostanze ancora oggi non totalmente appurate."

Non stavo ridendo di mia spontanea volontà. Il mio corpo agiva senza bisogno che gli impartissi degli ordini. Ciò che era accaduto a Toya era per me ancora una ferita aperta nonostante fossero passati numerosi anni dalla tragedia. Sensazioni contrastanti cominciarono a farsi strada dentro di me.

Da un lato c'era la rabbia nei confronti di quell'individuo che si spacciava per una persona che avevo a cuore; dall'altro la flebile speranza che mio fratello potesse davvero essere sopravvissuto a quell'incendio.

"Avete mai ritrovato il corpo di quel ragazzo?" chiese il giovane uomo davanti a me con tono apparentemente distaccato.

Ci riflettei. Il freddo tornò ad impossessarsi del mio corpo facendolo tremare. No, non avevano mai ritrovato il cadavere. Avevamo ipotizzato che, essendo il suo stesso fuoco la causa della sua morte, il corpo fosse andato bruciato. Solo allora mi accorgevo di quanto quell'ipotesi fosse azzardata.

"No..." dissi in un sussurro. In sole poche parole, era riuscito a far crollare ogni mia certezza.

"Shoto..." Quella voce. Il modo in cui aveva pronunciato il mio nome. La mia mente ritornò a quando ero un bambino. A quando mi aveva detto addio.

«Qualunque cosa accada... Qualunque cosa lui faccia o tenti di farti... Non abbandonare il tuo sogno, d'accordo. Me lo devi promettere. Non lasciare che la tua vita sia influenzata da altri. Promettimelo.» Qualcosa di fresco cadde sulla mia guancia. Solo adesso comprendo che si trattava di una lacrima. Il suo respiro era affannato, quasi avesse appena terminato una corsa. «Ti voglio bene, Shoto.»

"SHOTO!" La voce di Dabi (o chiunque egli fosse) mi riportò alla realtà. Si trovava ad una distanza particolarmente ravvicinata. Non avevo mai osservato il suo volto così da vicino. I suoi capelli, solitamente corvini, lasciavano trasparire qualche ciocca candida. Dai lembi di pelle violacea (che solo in quel momento identificavo come gravi bruciature) sgorgavano minute gocce scarlatte. Il mio sguardo si spostò sul suo. Non sembrava provasse dolore. Non fisico, almeno. In quelle iridi, non vidi gli occhi spietati degli altri Villain.

Non vidi i crudeli e spietati occhi di Shigaraki, che si divertiva ad uccidere chiunque lo intralciasse. Non vidi le pupille feline di Toga, la cui passione era vedere il sangue sgorgare a fiotti dalle persone. Vidi i miei occhi, o almeno, uno dei due. Vidi gli occhi di mio padre.

Sentii le mie guance cominciare ad inumidirsi. Senza rifletterci e senza realizzare realmente che cosa stessi facendo, protesi la mano verso il volto del ragazzo che si trovava davanti a me e, con la manica, tentai di asciugare il sangue che minacciava di aumentare. Nel giro di qualche istante, la distanza si fece nulla e mi ritrovai tra le braccia di colui che, fino a qualche minuto prima, consideravo solo un reietto della società.

Chiusi gli occhi e mi beai di quel calore. Da troppo tempo non provavo quella gradevole sensazione. Il mio cuore si dibatteva nella cassa toracica. Potevo udirne il battito rimbombare nella mia testa. In prossimità del petto, percepivo un altro movimento. Si trattava del cuore del corvino. Anche il suo non batteva regolarmente.

In criminal handsOnde histórias criam vida. Descubra agora