4: not again, not another again

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PREPARATEVI

(presenti temi delicati e sensibili, che potrebbero turbare qualcuno. Richiedo a tutti la massima concentrazione e la forza psicologica per affrontare questo capitolo)

BUONA LETTURAA

Vivevo? Si. Mi sentivo viva? No. Perché? Beh facile. L'unica cosa più bastarda della morte era la vita perciò viverla era complicato. La morte si sapeva, era dolorosa mentre la vita variava continuamente portandoci a commettere errori senza accorgercene. Era un sentiero dritto senza ostacoli o squilibri, fino a quando anche questa unica strada non ti portava a compiere una scelta. Due sentieri. Il primo illuminato dalla luce solare dove gli alberi da frutto costeggiano le banchine, con alla base erba verde e ricca di piccoli insetti con un valore ciascuno. La farfalla, rinascita. La coccinella, fortuna. L'ape, donna con virtù. Il canto degli uccellini riempiva il silenzio mentre il calore immergeva ogni fibra vivente tanto da farla appena bruciare come se fosse un avvertimento.

Mentre il secondo, completamente oscurato, era rivestito da sassi e erba secca che richiamava le foglie nere cadute dagli alberi macchiati scuri con venature rosse, che sgorgavano dai rami creando le uniche scie luminose. Il fruscio della brezza glaciale spostava la natura morta facendo riaccheggiare nel turbinio del silenzio solo il battito di un cuore. Un cuore debole, lento ma melodico che sembrava comandare il sangue chiaro e costellato da lucciole, simbolo di forza e equilibrio che si mettevano in contraddizione con l'ambiente. L'istinto ti diceva di avviarti per la strada visibile ma un solo dettaglio ti impediva di continuare: il fuoco, perché poteva essere sicuro a prima vista ma poi pensavi al fatto che potrebbe essere stata una trappola, quindi cambiavi direzione andando verso il sentiero oscuro attirata dalla poca luce presente.

Però infine ti bloccavi.

Mentre il tempo scorreva, tu rimanevi fermo, non sapevi che decisione prendere perché eri a piena coscienza del fatto che avrebbe condizionato la tua vita e non potevi sbagliare.

Io senza rendermene conto mi ero incamminata, trasportata dell'istinto, verso la stradina tenebrosa permettendo al dolore di consumarmi. Le scie rosse erano divenute il mio sangue, il battito debole concatenò il mio nella stessa danza e la natura morta si trasformò nel mio corpo. Tutto era appiattito: suoni, voci, odori, sensazioni, movimenti.

L'involucro di pelle attorno alle mie ossa era completamente deformato e il dolore acuto si espanse lungo ogni ferita non permettendo ai miei occhi di aprirsi. Posai una mano sull'addome facendo una leggera pressione che mi portò ad ammettere un urlo strozzato e bagnato dalle lacrime. Una fitta alla schiena mi fece distendere una gamba, appoggiandola al pavimento freddo dello chalet, stringere i denti in modo acuto tanto da sentire dolore alle gengive, lacrimare ulteriormente portando ogni molecola del mio corpo a disattivarsi e con esse anche la forza di resistere, di combattere, di vivere.

Se la morte, come diceva Bukowski, era l'ultimo di una serie di orribile scherzi allora la mia era peggiore di tutti questi uniti. Non conoscevo luogo o modo adatto per morire, ma una condizione la sapevo perché incisa nella mia mente: il tempo. Doveva accadere ora per mettere fine a quell'agonia dal colore nero, dall'odore umido e mascolino, dal suono di un fischio costante e di un respiro non mio, dal sapore ferroso e corrosivo del sangue.

Grande Madison, dopo anni di nuovo qui un suono soave catturò i miei timpani portandomi a spostare il capo verso quella direzione.

<<Fammi tornare>> sentenziai in un sussurro e portai il peso del mio corpo sui polsi per ammirare le ferite nel mio corpo: nulla. Ciò che vidi fu il nulla, neppure una ferita data la mancanza del fisico stesso. In quel luogo non era presente nessun oggetto o soggetto solo la bambina e la mia mente...

The Loud SilenceNơi câu chuyện tồn tại. Hãy khám phá bây giờ