Lewis fece segno alla cameriera di versargli dell'altro caffè. «Davvero ottimo, niente a che vedere con quella tavola calda dove ci siamo fermati ieri sera, non trova?»

«Vorrei avere il suo spirito», rispose Elia alzando gli occhi al soffitto e portando la tazza alle labbra.

Erano seduti al bancone della caffetteria da quasi due ore e il signor Root non sembrava interessato neppure a programmare i prossimi passi.

«Si fidi di me», si era limitato a rispondere, come se le sue rassicurazioni potessero alleggerire il peso che premeva contro il suo stomaco. Quiet River era dall'altra parte dello stato, coperta da una neve che non aveva nulla a che vedere con quella del Michigan; accarezzata da altri venti e scossa da altre emozioni. Si erano ripromessi di contattare Stanford soltanto se avessero scoperto qualcosa, vero, ma non potersi neanche sincerare che fosse ancora vivo era straziante. Per quel che ne sapevano, a quell'ora potevano essere coinvolti in un'indagine per scagionare un morto.

«Ne vuole dell'altro anche lei?» gli domandò la cameriera. Elia abbozzò un sorriso e scosse la testa. La ragazza si allontanò senza pregarlo.

«Perché non siamo entrati alla stazione di polizia invece di starcene qui senza far nulla?»

«E cosa avrebbe fatto una volta lì?» chiese Root. Sembrava sinceramente incuriosito, ma Elia ormai si stava abituando alla sua tagliente ironia.

«Non è stato lei a dire che avremmo dovuto fare domande per scoprire le dinamiche dell'incidente? Dubito che la cameriera o il cuoco che ho visto starnutire nella zuppa possano accontentarci.»

«Quindi il suo piano sarebbe varcare la soglia, dirigerci da un poliziotto a caso e cominciare a chiedere?»

Elia gli lanciò un'occhiataccia. «Lei la fa sembrare un'idiozia.»

«Perché lo è, ragazzo mio. Alla meglio finiremmo col farci ridere dietro». Root si voltò a guardarlo. Quando riprese a parlare, la sua voce era seria, comprensiva. «Capisco la sua preoccupazione, ma è proprio perché non abbiamo molto tempo a disposizione che non possiamo permetterci passi falsi.»

«Da quanto mi è parso di capire, qui tutti sono a conoscenza dell'incidente. Nelle piccole città non capita tutti i giorni che la gente muoia in quel modo e che il colpevole non venga mai trovato. Ci sono tante persone a cui potremmo chiedere per farci raccontare la storia.»

«Sarebbe arricchita di voci e congetture fuorvianti. Se l'indagine è ancora in corso come ha detto Olson, la polizia possiede dettagli che non ha condiviso con la popolazione. È la nostra unica opzione, figliolo.»

Quasi come se il cielo si fosse trovato d'accordo con Root, due nuovi clienti entrarono nella caffetteria. Indossavano entrambi giubbotti con sopra ricamato lo stemma della polizia e attorno alla loro vita spiccava un cinturone in cui conservavano le loro pistole.

«Ciao, Agnes», disse il più basso dei due. L'altro si limitò a salutare con un cenno del capo, dopodiché si diresse verso uno dei divanetti in fondo al locale.

«Perdona Dennis, oggi è di pessimo umore.»

«Brutta giornata?» domandò Agnes riempiendo due tazze di caffè nero senza che glielo avessero chiesto. Era la cameriera che aveva servito loro poco prima.

«Ormai mi chiedo se ce ne sia qualcuna buona...»

«Ancora niente?»

«Nulla, ma sono sicuro che presto le cose cambieranno. Potresti portarci due porzioni di waffles? Magari col miele, così Dennis si addolcirà un po'.»

«Va bene, vada pure a sedersi, io arrivo tra poco.»

«Grazie, sei un tesoro.»

Il poliziotto superò Elia e Root e gli sgabelli al bancone su cui si erano accomodati. Sembrava conoscesse gran parte dei clienti, perché regalava sorrisi e saluti a destra e a manca.

Il segreto di Ted GreysonOù les histoires vivent. Découvrez maintenant