•2 - Il principe di Manhattan.

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PAPI

Apro la porta di casa, facendo entrare Reina e Andrew. Subito noto gli sguardi confusi dei miei genitori, poi la loro espressione viene sostituita da un sorriso quando Reina li saluta e loro ricambiano.
Insieme al ragazzo, raggiunge la sua stanza e così io mi appoggio al bancone della cucina con le braccia al petto.

«Il ragazzino si ferma a cena?» Domanda mia madre, mentre sta tagliando le verdure.
Io sospiro, «pare di sì.»
«Cosa succede? Sembri preoccupato.»
Guardo mio padre che sta salando la carne. Vorrei mentire loro, ma non penso di esserne in grado. «È il figlio di Collins» dico.
Mia madre appoggia il coltello e deglutisce.

«Ti ha riconosciuto?» Domanda, subito, con uno sguardo di chi sta aspettando che gli venga tolto un peso dal petto. «Penso che non sappia nemmeno chi sono» le rispondo.
«Speriamo che sia così - dice lui -, non vogliamo che si riaprano vecchi dissapori.»

Non mi fido di nessuno che venga da Manhattan tantomeno dei perfetti e splendidi Collins che fanno tanto i perbenisti ma sono solo dei pezzi di merda.
«Se il ragazzino non sa nulla, non devi preoccuparti. Tua sorella sa badare a se stessa.»
«Non mi fido, mamma. Se dovesse ferirla?»
Mio padre si pulisce le mani e le appoggia sulle mie spalle, per guardarmi negli occhi.
«Thiago, Reina è in grado di pensare a se stessa. Non preoccuparti, sono sicuro che quel ragazzino non centri niente. Ha solo quindici anni, dopottutto.»

Scuoto la testa, «in quella famiglia si impara presto a diventare stronzi.»
«Thiago» mi richiama, mia madre.
«Mi dispiace.»
Ci sono alcuni secondi di silenzio prima che una vocina possa distrarre tutti e tre dalla discussione in corso.
«Papi sei tornato!»

Mi chino per prendere in braccio la mia sorellina.
«Tesoro, dovresti stare a letto» sospira, mia madre. «La febbre non è ancora scesa.»
«Ci penso io, mamma» dico, con un piccolo sorriso. «Andiamo, Nika.»

Raggiungo la sua stanza e la metto sotto le coperte, poi prendo il termometro. «Tienilo stretto» dico, mentre mi siedo accanto a lei.
Appoggia la testa contro al mio petto, così le accarezzo i capelli.

Le mie sorelline sono veramente tutto per me. Non tengo a niente e a nessuno, più di quanto io tenga a Nikaëla e Reina. Non permetterei a nessuno di fare loro del male, perché anche se viviamo in un piccolo appartamento a Morrisania, loro sono le mie reginette.
Essere il fratello maggiore, mi fa sentire questo senso di protezione verso tutte e due.

Non siamo una famiglia ricca, abbiamo dei problemi economici e siamo sempre stati qui nel Bronx ma siamo molto più uniti di molte altre famiglie dell'Upper East Side.
I miei genitori fanno quello che possono per mantenerci ma le loro possibilità sono limitate, quindi io faccio del mio meglio per guadagnare dei soldi: a volte aiuto mio padre nella sua officina e altre volte, ricorro a metodi non molto etici e piuttosto illegali per fare un po' di dollari. Mi riferisco a  corse clandestine e altre cose che possono darti molti soldi in poco tempo.

So bene che non è etico e probabilmente sia le mie sorelle, sia i mie genitori mi volterebbero le spalle se sapessero quello che faccio ma quando non hai niente, fai di tutto per sopravvivere. E i soldi hanno lo stesso profumo di quelli guadagnati da un impreditore di Wall Street, perché sì, anche quelli per la maggior parte delle volte sono illegali. I ricchi si sono sempre approfittati dei poveri e non smetteranno mai.

«Quanto manca?» Mi chiede Nika, così controllo l'orario. «Due minuti.»
Sbuffa, guardando in basso. «Non mi piace avere la febbre. Io voglio tornare a scuola.»
«Wow, saresti la prima bambina che conosco così in ansia per tornare a scuola.»
Lei mi guarda, così ridacchio e le porgo le mano per prenderle il termometro.
Onestamente spero che sia lei che Reina, possano fare tutto il liceo ed entrare in un buon college che permetta loro di inseguire i sogni che si sono prefissate. Non come me, che ho dovuto lasciare il liceo a metà del penultimo anno.

DANGEROUS PERFECTIONWhere stories live. Discover now