Capitolo 1.

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In certi momenti ci sentiamo vulnerabili, come fragili foglie trascinate dalle burrasche della vita. Ci sentiamo sprofondare in un abisso senza fine, dove l'oscurità imperante ci impedisce di cogliere la luce che si affaccia in alto, poiché sepolti da ostacoli invalicabili. Alcuni di noi, come i fiori che fioriscono tra le rocce, riescono a superare le proprie paure e a creare una radice solida con cui ricrescere; altri, invece, non ci riescono, sprofondando verso lo sterminato vuoto segnato dall'infinito orizzonte degli eventi. Come ferite che non si rimarginano mai, ci si abbandona a delle cicatrici che accecano la speranza di ritrovare i nostri sentimenti originari, svaniti a causa di paure che non scompariranno mai del tutto. Questa breve narrazione racconta le vicende di un giovane bambino, simile a un seme che cerca di germogliare, che, sin dalle sue prime esperienze, si imbatté in quel baratro, prima ancora di conoscere il significato del legame affettivo dato dalle amicizie e dall'amore. Avrebbe potuto soccombere per sempre, senza mai conoscere quei doni. Grazie all'aiuto di un mostro, si salvò da quel terribile destino.

«Verne, oh Verne, perché ti hanno chiamato così?».

Il Signor Manzoni era un appassionato lettore, e pose quella domanda con un raro e distinto interesse. Aveva trascorso gran parte della sua esistenza nella bellezza della solitudine, dimostrando di essere una di quelle anime che riuscivano a cogliere il vero significato della vita. Novantenne e visibilmente precario, il Signor Manzoni era il padrone del proprio mondo, dove la civiltà era lontana e dove ancora oggi era possibile percepire i profumi della terra misti agli aromi degli animali da allevamento. Era un odore che gli piaceva e che gli ricordava di essere un essere vivente come loro, nella sua cascina del lontano 2005. C'erano due cose che Manzoni non poteva tollerare: la letteratura di fantascienza, di cui Verne era considerato il padre del genere - per i suoi falsi miti, secondo le sue considerazioni - e le persone di pelle scura; non perché fosse razzista, ma semplicemente perché odiava quel colore. Nonostante questo, il Signor Manzoni era una persona rispettabile e con una grande esperienza di vita.

«Mi dispiace, don», rispose l'umile bambino originario del Burkina Faso, con il capo chino e profondamente rammaricato per le sue azioni.

Il Signor Manzoni sospirò con una lieve nota di tristezza. Era stato informato da un attendente che Verne, il giovane, stava giocando tra le colonne di fieno in un modo potenzialmente pericoloso. Così, aveva chiesto alla madre del ragazzo, una gentile badante che si prendeva cura di lui, di accompagnarlo al suo cospetto, non per rimproverarlo, ma solo perché era ansioso di conoscerlo meglio.

L'episodio gli aveva risvegliato i ricordi del passato, quando da piccolo anche lui aveva provato l'eccitazione di giocare tra i rotoli di fieno. Il fienile era un luogo incantato, un mondo fatato visto attraverso gli occhi di un bambino. Quando si entrava, si respirava l'aria fresca del fieno e l'atmosfera piena di mistero, con file e file di rotoli accatastati l'uno sull'altro, come una montagna magica da scalare. Un luogo alto, dove sembrava di poter toccare il cielo con un dito. Era divertente salire sui rotoli, saltare da una colonna all'altra, e immaginare di essere un eroe che salvava il mondo. Era un luogo dove ogni respiro era un'avventura, ogni passo una scoperta e il bambino poteva sfuggire alla realtà e vivere nella propria immaginazione con una libertà senza limiti. Un sogno che ben presto sarebbe solo stato un lontano ricordo fatato.

«Non hai degli amici?», gli chiese successivamente, vedendolo ancora con il capo immobile. Il Signor Manzoni sospirò, rammentando le proprie difficoltà nel relazionarsi con i giovani e il proprio mancato desiderio di averne. Eppure, c'era qualcosa in lui che gli risvegliava un'emozione familiare. Era diverso, non solo per il colore della sua pelle, ma per i segni delle cicatrici sulla sua esile figura, quei segni che denotavano una vita lunga e difficile, una vita vissuta sull'orlo del proprio baratro della morte. Era una visione sconfortante, eppure toccante, vederlo su un bambino, che avrebbe dovuto essere protetto e incoraggiato a vivere la propria infanzia con leggerezza e gioia.

L'eredità del donDove le storie prendono vita. Scoprilo ora