Capitolo 3.

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Nelle giornate successive, Vern trascorreva il suo tempo nella cascina, circondato dalla costante compagnia del suo fedele destriero. Insieme, governavano quel regno immutabile, mentre nel caos del mondo esterno si scontravano interessi riguardo alla gestione della cascina. Tutto era in attesa, in attesa dell'arrivo del nuovo padrone che avrebbe preso in mano la situazione. La madre di Vern, coinvolta anch'essa in questi contrasti, era assente anche la sera, persa nei suoi pensieri e nelle sue preoccupazioni per il futuro. Nonostante ciò, Vern era felice, perché non solo aveva la libertà di fare ciò che desiderava, ma aveva accanto a sé anche il vecchio padrone del cascinale. Il piccolo pastore, che portava il nome del don, sembrava conoscere ogni angolo della cascina come se vi avesse vissuto per tutta la vita, conducendo Verne in esplorazioni sorprendenti e scoprendo luoghi nascosti che il ragazzo non avrebbe mai immaginato.

Un giorno, come tanti altri, il piccolo Manzoni si diresse verso il portico oscuro da cui il suo padroncino aveva sempre cercato di tenergli lontano. Verne era stato distratto alla vista di una papera dall'aspetto malnutrito, e le sue attenzioni andarono anche sugli altri animali, ridotti nel medesimo stato. Sembrava che stessero lentamente morendo tutti. Quando Vern si accorse della scomparsa di Manzoni, il panico lo invase. Corse verso il portico abbandonato, ma vide il piccolo scomparire nell'ombra. Gridò con tutta la forza dei polmoni, iniziando a piangere per il destino di quella piccola creatura. Decise di farsi coraggio e di penetrare in quelle tenebre per salvarlo, ma quello che vide lo lasciò senza parole. Vide Ettore disteso, con il piccolo Manzoni tra le sue possenti zampe. Sembrava morente, come tutti gli altri animali. Fissò lo sguardo del mostro con un'espressione triste che lo fece sentire in colpa.

In quel momento, Vern temeva più la morte che il mostro. Si distese sul cemento, osservando l'enorme muso del cane che accudiva il piccolo pastore, come se fosse un padre premuroso verso il proprio figlio. La vista di quel gesto gli strappò un sorriso triste e cercò di avvicinarsi alla belva che aveva sempre temuto. Era entrato nel suo territorio. Rimase immobile, osservando Ettore che sembrava ignorare la sua presenza. Quando si avvicinò per toccarlo, fu sorpreso dall'abbaiare rauco di Ettore, probabilmente causato da una malattia terminale, e dal suo tentativo di alzarsi per aggredirlo. Vern si allontanò, seguito dal suo piccolo pastore, ricordando che forse, in quella piccola creatura, c'era davvero l'anima del vecchio padrone del mostro.

*

Verne si lanciava in una fuga selvaggia, con le gocce di pioggia che gli si riversavano sul viso, mentre l'acquazzone si intensificava. Era ancora inseguito da Marco, Guido e Giacomo, e non aveva altra scelta che raggiungere la sua tana sicura. Questa volta li aveva incontrati vicino alla cascina, tra i campi della pianura. Non aveva mai incontrato quei bulli fuori dal suo paese natale, ma ora che avevano preso in prestito delle moto si divertivano a scorrazzare ovunque causando solo guai. Verne, dal canto suo, conosceva ogni sentiero di quella zona come le sue tasche, e sapeva come raggiungere la sua casa in piena sicurezza. Quando li vide in lontananza sullo sterrato, Verne saltò il fosso con una leggerezza simile a quella di un felino, costringendo i suoi inseguitori a fare il giro. Anche loro si divertivano, era un modo per sfrecciare a tutta velocità con le loro moto e creare una sfida per quando sarebbero finalmente riusciti a catturarlo.

Verne sapeva che il campo di erba medica e l'acqua in crescita lo avrebbero protetto dai suoi inseguitori, ma doveva comunque affrettarsi a trovare un'altra via di fuga. Presto avrebbero lasciato le loro preziose motociclette e avrebbero iniziato a correre, inarrestabilmente più veloci delle sue piccole gambe. Si muoveva con la leggerezza del vento mentre l'acqua inzuppava i suoi vestiti rallentando il suo passo. Il terreno, saturo d'acqua a causa delle recenti piogge, sembrava cedere sotto i suoi piedi coperti di fango. Si chiedeva con quale determinazione i suoi tre inseguitori potessero ridursi in quel medesimo stato pietoso, solo per fargli del male. Era diventato un dogma per loro, qualcosa di ineludibile e se ne rese conto quando li vide alle sue calcagna, in lontananza, che correvano lasciando le loro motociclette abbandonate come brandelli di carta al vento.

L'eredità del donWhere stories live. Discover now