XIII. L'accusa

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L'erba morbida mi accarezzava le guance e il collo. Basilius scivolò su di me. Ci baciammo, ci stringemmo, ci sussurrammo giuramenti in quell'aria che profumava di fine primavera. Mi sentivo ubriaca di gioia, desiderio, soddisfazione.

-Al, mia dolce Al- le due parole mi scossero come elettricità. Si staccò da me e mi guardò.

-Basilius, io... -

Una chioma bionda scintillò nella notte tra le foglie degli alberi. Yvonne, pensai, prima che scomparisse nel buio. M'irrigidii. No, non poteva...

-Al, stai bene?- Basilius si tirò indietro e mi scrutò, la fronte aggrottata.

-Sì- sussurrai. Non volevo dirgli di aver visto Yvonne. Probabilmente era solo il frutto della mia fantasia. Mi strinsi a lui e Basilius mi baciò. -Andrai domani da mio padre?- gli chiesi, l'ansia che mi attraversava tutto il corpo.

-Certo... domani mattina, sarà la prima cosa che farò- mi baciò ancora.

Le sue parole mi rassicurarono. Mio padre avrebbe acconsentito. Doveva acconsentire. E se non lo avesse fatto? Oh, non volevo pensarci! Come non volevo pensare a Yvonne, alla possibilità che fosse lei a spiarci tra la boscaglia.

-Si sta facendo tardi- mi sussurrò, le labbra calde contro la mia pelle gelida -ti riaccompagno nei tuoi appartamenti-

-No- gemetti -ti prego, restiamo qua... voglio stare qua fuori ancora per un po'- stavo tremando. Per non farglielo capire mi aggrappai a lui. Le mie dita si strinsero nella stoffa grezza del suo farsetto.

-Come preferisci- Basilius mi avvolse tra le sue braccia e il mondo mi sembrò più colorato, il verde delle foglie divenne brillante, mi sentii meglio -possiamo anche dormire qui se preferisci-

-Sì- mormorai -basta che stiamo insieme- una paura senza nome mi aveva assalita e non sapevo perché. Yvonne. Era a causa sua. Era sempre colpa sua.

-Passeremo tutta la vita insieme e il resto non ha importanza- la voce gli uscì ridente. Non lo avevo mai sentito parlare così, con quel tono, con quegli occhi che brillavano di una luce che non conoscevo... felicità, compresi. Era il traguardo. Sposava la figlia dell'assassino di suo padre, lo faceva solo per amore. Amore. Era la parola più bella del mondo. -Perché non canti qualcosa per me?- i suoi occhi neri sembrarono brillare -Come da bambina-

-Non saprei cosa- e non ero brava a cantare. Basilius lo sapeva.

-Segui l'istinto- lasciò scivolare pe labbra sul mio collo. I miei sensi si annacquarono. Mi sembrava di trovarmi sott'acqua. -Canta per me-

Le fate cantavano. E chiedevano di cantare alle loro vittime. Ai loro amanti. Alcune parole scivolarono nella mia mente, leggere come aria. Mi misi a canticchiare.

"Stai andando alla Fiera di Scarborough?

Prezzemolo, salvia, rosmarino e timo

Ricordarmi alle persone che vivono là

Lei un tempo era il mio vero amore"

Basilius mi accarezzò i capelli. -La canzone della nostra infanzia-

Mia nonna l'adorava. -Non è solo questo... è una canzone d'amore, parla di un amore impossibile, di un legame che continua nonostante la separazione-

Basilius mi baciò sulla guancia. -Tra noi non ci sarà separazione-

-Mai?- potevo davvero crederci? Potevo davvero pensare che mio padre mi cedesse a Basilius?

-Mai, te lo prometto-

E mi crogiolai in questo pensiero. Non mi avrebbe mai lasciata. Non sapevo quanto sbagliavo. Oppure lo sapevo, ma non volevo ammetterlo.

Basilius mi riaccompagnò in camera quando ormai l'alba tingeva il cielo di rosso

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Basilius mi riaccompagnò in camera quando ormai l'alba tingeva il cielo di rosso. Camminammo abbracciati, i nostri corpi che aderivano alla perfezione. Avevo sulle spalle il mantello di Basilius e il suo cappuccio sollevato mi metteva in ombra il viso perché non mi riconoscessero.

-Non mi lascerai, vero?- gli chiesi, davanti alla mia porta.

-Mai- si spinse in avanti e mi stampò un bacio sulle labbra. Io ne approfittai per aggrapparmi a lui e attirarlo a me. Un'ultima volta. Lo baciai con forza e lui rispose con altrettanto trasporto. Sentivo i leggeri morsi con cui mi stringeva il labbro inferiore e che mi facevano accelerare il battito. -Se tu continuerai a cantare-

-Per sempre- mormorai, il cuore sfarfallante.

-Per sempre- mi fece eco lui. Si staccò. -A presto, Al- si allontanò lungo il corridoio.

Chiusi la porta e mi appoggiai contro. Mi sarei data malata decisi. Ero troppo stanca per poter presiedere ai miei doveri. Mi cambiai e mi lasciai scivolare nel letto. Oh, volevo sognare la felicità, volevo...

Voci. Passi. Colpi furiosi alla porta. Mi rigirai nel letto. Strinsi le palpebre. Dovevo essermi addormentata. Cosa...

Mi spinsi su un gomito, ancora trattenuta nelle nebbie del sogno. Ricordai che ero rientrata al mattino, quando l'alba allungava le sue dita e colorava il cielo di arancione. Sbattei le palpebre, incollate dal sonno.

-Alinor- una voce che conoscevo bene. Quella di mio padre. Un brivido gelido mi percorse la schiena. Cosa ci faceva alla mia porta così presto? -Alinor, apri immediatamente la porta-

-Arrivo- scivolai giù dal letto. Avanzai, il corpo che mi tremava. Fu solo quando abbassai la maniglia che mi resi conto di essere in camicia da notte. Non ebbi tempo di riflettere. La porta si spalancò e si schiantò contro il muro. Vidi il volto arcigno di mio padre... e notai che non era solo. Guardie. Cosa stava succedendo? Mi sentii spinta via. Barcollai e per poco non caddi a terra. Mi aggrappai al muro, il cuore martellante in gola, le unghie che scavavano nella pietra. Cosa stava succedendo? -Padre- gemetti.

-Cercate ovunque- ordinò lui, non guardandomi neppure. Cosa dovevano cercare?

-Padre- insistei, facendo un passo avanti. La pietra era gelida sotto i miei piedi nudi. Volevo sfiorarlo, scuoterlo, costringerlo a guardarmi. Non ci riuscii. Probabilmente non era nemmeno una buona idea.

-Da quanto tempo dura la vostra relazione?- domandò brusco, lo sguardo sempre dritto davanti a sé. Compresi che non voleva guardami e la cosa mi ferì orribilmente. Fu come un pugno nello stomaco.

-Relazione?- domandai. No, non era possibile che sapesse. O forse sì. Ripensai ai capelli biondi nella boscaglia. Yvonne.

-Con Basilius- il tono era gelido come il ghiaccio. Feriva. Mi venne incontro, le mani strette in pugni. -Da quanto vi prendete gioco di me?- urlò.

-Io... non so di cosa state parlando- mi sforzai di sembrare piccola e spaventata, cosa che non mi riuscì difficile. Ero davvero spaventata e mi sentii fragile.

-Non mi piace essere disonorato!-

Yvonne, certo, doveva averci visti e aver riferito tutto a mio padre. Cercai di ragionare, di mettere insieme i pezzi, di creare una difesa. Potevo stare tranquilla, non c'erano prove. Ma servivano davvero? Sapevo fin troppo bene quanto insignificante fosse il parere di una donna. La cosa positiva però era che lo era anche quello di Yvonne. Dovevo parlare con mia nonna.

-Nego tutto... la Dama Madre sa che non mento- le parole mi raschiarono in gola.

-Al momento non è al castello... e non credo che potrà comunque aiutarti- la voce era tagliente come vetro. A cosa si riferiva?

-Io sono innocente- gemetti.

-Questo si vedrà, per ora non voglio saperne nulla... portatela nella torre-

La torre? Non riuscii a ribattere perché fui presa e trascinata via, nonostante le mie urla. Alla fine restai muta, il dolore tanto forte da non permettermi nemmeno di parlare.


NOTE DELL'AUTRICE:

Ciao!

Cosa ne pensate di questo capitolo?

A presto!

Salvia, rosmarino e incantesimiWhere stories live. Discover now