Capitolo 5: Sotto la pelle di Aslan

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Esiste sicuramente un momento nella vita di un uomo in cui realizza ciò che ha fatto, ciò che è stato e soprattutto chi è diventato. Sono gli eventi, belli o brutti, che prima o poi ti mettono davanti ad uno specchio, con le spalle al muro, consegnandoti a te stesso. Uno strappo temporale che ti aliena dalla realtà, pur restando fortemente collegato ad essa. È il momento in cui un uomo prende coscienza della propria realizzazione o del proprio fallimento. La mia mente, destabilizzata da quei biglietti, sembra sfuggirmi dalle mani e, priva ormai di controllo, scappa verso un baratro che nemmeno immaginavo esistesse e fosse possibile raggiungere. È qualcosa che va oltre le reali capacità di autocontrollo di me stesso. Sento le stanze riecheggiare sordamente al passaggio di quella creatura in preda al delirio. Un urlo straziante che non riesce a fuoriuscire e che implode all'interno provocando un'eruzione di rabbia, rancore, delusione, frustrazione. Mai avrei immaginato di dover provare una sensazione simile. Perso pur restando in me. Distrutto pur mantenendomi integro. Morto pur essendo vivo. Il mio corpo è il punto di incontro di forze primitive e opposte, contro le quali la mia volontà non ha nessun potere. Mi sento attraversare da una faglia che dilania le membra e scioglie col fuoco le vene. I piedi raggelano. Il busto si irrigidisce e la bocca trema. Mordo le labbra a vuoto e solo il cielo sa che tortura imprimo ora ai miei sensi. Dove sono i suoi occhi? Dov'è la sua bocca? Dove poggiare ora le mani vogliose? Nulla di nulla, dentro, intorno, ovunque. Se almeno ci fosse il leone! Lui sì che saprebbe come consolarmi e con cipiglio austero renderebbe nuovamente vigorosa la mia virilità. Se n'è andato nel vento anche lui, lasciando il nulla tra le mie mani. In realtà, ho già sperimentato questa sensazione di inabilità, quasi di disfacimento, tempo fa. Ero piccolo, ma lo ricordo come fosse ieri. Il senso di abbandono e di solitudine, la fuga e poi il vuoto incolmabile dentro. Mio padre era morto ed io ero rimasto orfano della sola persona che mi faceva sentire vivo. Fu allora che iniziò il duro apprendistato dell'uomo Ferit. Promisi a me stesso che non avrei mai più permesso ad alcuno di legarmi a sé in modo così forte. Cacciai dalle mie viscere mia madre, marchiando la sua pelle fedifraga e condannandola al rogo nella contea del mio cuore. Stracciai le sue vesti. Tranciai il cordone ombelicale che ci aveva uniti e rinnegai in lei la mia stessa vita. E già...iniziò allora la non vita del piccolo Ferit. Un allenamento costante a domare le emozioni e ad essiccare le passioni. L'amore era ammesso ma fine a se stesso. Nulla doveva essere più importante dell'azienda e del buon nome di famiglia. Una gabbia dorata che mi veniva propinata col latte prima e con lo champagne dopo giorno per giorno e della quale, in un modo o nell'altro, ero io stesso a contribuire a forgiarne le sbarre. Solo che ai miei occhi quella prigione aveva l'aspetto di una reggia nella quale giganteggiava l'orgoglio, l'io dell'uomo che non doveva piegarsi a nessuno. La sola eccezione era Zeynep, mia sorella. Con lei ogni ragionamento crollava e alla fine mi ritrovavo tra le sue braccia come una belva nella sua tana. Ma anche lei è andata via. Mi ha lasciato solo. Il più brutto scherzo che abbia mai fatto al suo piccolo Aslan. Un freddo improvviso investe la casa, attraversa le stanze e riveste le pareti che sembrano ghiacciai. Quello stesso freddo mi raggiunge. In un attimo quel passato mi ripiomba addosso con tutto il suo peso. L'impatto non è meno micidiale del presente. Già...

I biglietti che Nazli ha scritto pesano come macigni sulle mie mani. Ingoio a vuoto ma l'aridità sperimentata nei giorni precedenti ha lasciato all'asciutto le mie fauci. Fatico a respirare. Intorno a me il silenzio tombale si riempie dell'eco di quelle parole, mai pronunciate eppure così vissute. Un rumore assordante che mi frusta l'anima e mi avvolge nella peggiore delle sue pieghe: il rimorso. Quello che ho tanto temuto è ormai una realtà tremenda alla quale non posso sottrarmi. Solo ora mi rendo conto della verità e della drammatica situazione in cui ho costretto la mia donna a vivere. Preoccupato a difendere la mia credibilità, ho scoperto il fianco di Nazli, esponendola ai colpi senza pietà di Peline. Tuttavia non è giusto dare a quest'ultima la colpa di tutto. Se c'è una persona che ha sbagliato, quella sono io. Il terrore che la mia immagine crollasse davanti agli occhi del mondo e soprattutto dinanzi a Nazli mi ha fatto alzare un muro di cinta poderoso. Inavvertitamente ho chiamato a raccolta tutti i miei vecchi generali. Nessuno escluso. La prudenza mi ha solleticato i malleoli, impedendo ai miei piedi di camminare speditamente. L'orgoglio feroce, quello che non ammette errori, mi ha stretto il petto, soffocando il cuore. La codardia, però, è il maggiore e più sanguinario di tutti. Mi ha strozzato e rianimato continuamente, divorando ogni mio proposito. L'indolenza ha reso la mia anima refrattaria a ogni sentimento. In ballo c'era troppo. C'era la persona, il prestigio di Ferit Aslan, che niente e nessuno deve mettere in discussione. La presenza di Peline e il suo terribile segreto dovevano giacere affogati con la pietra al collo nel profondo oceano del perbenismo. Nulla doveva scalfire l'integrità morale del più osannato imprenditore di Istanbul. E poco importava se questo gli sarebbe costato vittime. Poco importava se questo sarebbe valso il sacrificio della sola donna che era stata capace di condividere con lui la follia di un finto matrimonio. Messo con le spalle al muro, ora, quest'uomo integerrimo si ritrova a tremare come una foglia sul ramo di un albero in autunno. Messo davanti allo specchio, il dio Ferit scopre di essere sporco e pieno di crepe. Frammenti di vetro che per tutta la vita ho cercato di mettere insieme e che ora miseramente cadono a terra in frantumi, mostrando la nudità di un uomo, che di umanità ha ben poco. La vergogna danza con il rimorso e questa loro esibizione mi dà la nausea. Già una volta Nazli aveva usato i bigliettini per evidenziare un suo malessere. Ricordo bene quel periodo. Mi costringeva a leggere centinaia di biglietti sparsi per casa, mettendo a dura prova la mia tolleranza. Dentro, allora come ora, però, lei stava morendo. Duro accettare ma lei voleva essere libera e io la lasciai andare. E se fosse così anche questa volta? Muoio al solo pensiero di una sua nuova voglia di liberarsi di me. Forse, però, è proprio questo il motivo del suo malessere. La mia mente si illude, cercando di attenuare le colpe, nascondendo le prove sotto la sabbia della stoltezza, ma io so che è impossibile, perché quello che abbiamo vissuto negli ultimi mesi ha cambiato completamente le carte in tavola del nostro gioco. La nudità sperimentata dalle nostre due anime ci ha rivestiti di nuova vita. Almeno così immaginavo fino al giorno in cui il bacio della rinascita coincideva con l'arrivo della fine. Sì...è cedendo alle rimostranze di Peline di quella sera che ho aperto il varco al passato che mi sta travolgendo. Ho paura e devo ammetterlo. La solitudine non mi seduce più con la sua danza macabra. La stessa casa mi sembra opprimente senza di Nazli. Attraverso le stanze della villa e il vuoto mi fa affogare ancor più nel dolore. Non più i profumi della sua cucina, le sue risate mentre prepara la cena. Darei la vita per sorseggiare ancora l'acqua dal suo bicchiere. Avvizzisce dentro di me la passione, come una pianta nel deserto. Sotto i piedi brucia la sabbia della sconfitta. Sì! Ferit Aslan, devi ammetterlo a te stesso! La fuga della tua donna segna la fine della partita a scacchi più importante della tua vita. L'assalto alla regina ha messo a rischio la torre e il re.

Sotto la pelle di Aslan 3Where stories live. Discover now