Parte terza-capitolo 4

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Ho tanto freddo e tremo per la paura. Sta accadendo di nuovo, ma stavolta non posso girarmi dall'altra parte o coprirmi le orecchie con le mani, fingendo di non sentire. Chiusi in quella cella in fondo al tunnel buio, ci sono Giovanni e Giulia, le uniche due persone che mi hanno mostrato un po' d'amore, da quando abbia memoria. Mamma non la ricordo e nemmeno nonna. Gli unici che mi sono stati accanto sono il nonno, di cui preferisco cancellare ogni ricordo, tremo solo a pensare a lui e papà.
All'inizio papà mi trattava con freddezza, ma senza torcermi un capello, ci pensava il nonno a picchiarmi fino a farmi svenire e solo allora, smetteva.
Passavo giorni a letto, in preda alla febbre e ai dolori, poi tutto passava e ricominciava. Alle volte ho desiderato sparire, essere inghiottito dal pavimento in modo che nessuno più mi vedesse e io non vedessi più loro. Quando nonno è morto non ho versato una lacrima. Papà ha pensato che fossi diventato un bimbo forte e per un po' mi ha lasciato stare. Mi sentivo in colpa per non provare tristezza per la sua morte, ma dentro di me c'era solo un gran sollievo. Non ci sarebbero state più le botte, il dolore, il desiderio di sparire.
Poi papà ha incominciato a maltrattarmi, diventando più crudele del nonno. Non erano tanto le percosse fisiche, era meno doloroso che con il nonno, si limitava a qualche schiaffo, una volta mi ha picchiato con la cintura, lasciandomi un profondo segno sulla schiena che non è più guarito del tutto, ancora è a ricordarmi di comportarmi bene. Erano le violenze psicologiche e il terrore in cui mi faceva vivere ad essere insopportabili. Non ero abbastanza intelligente per lui, non ero sufficientemente indifferente al dolore, mio e degli altri. Ha iniziato a trascinarmi in quella cantina buia, dove teneva le persone che rapiva. All'inizio non capivo, erano legati e ridotti all'incoscienza e lui mi chiedeva di fare delle cose, ma io mi rifiutavo, piangendo per l'orrore e la paura. Per lui ero stupido e inutile, e presto ha smesso di coinvolgermi in ciò che succedeva in quel posto orribile e ha incominciato a trattarmi come se fossi l'essere più inutile sulla faccia della terra. Non perdeva occasione per ribadirmi il suo disprezzo perché non ero come lui, perché non riuscivo a lasciarmi affascinare dal male e ne provavo ribrezzo. Mi chiudeva a chiave in camera e quello era il segnale che aveva una nuova vittima sulla quale sfogare la sua ferocia. Almeno quando succedeva mi lasciava stare, per lui diventavo trasparente, così concentrato sul suo obiettivo. All'inizio avevo provato sollievo, in fondo potevo fingere di non sapere cosa stesse facendo e che andasse tutto bene, ma è durato poco. I fantasmi di quelle persone venivano a visitarmi la notte, facendomi urlare per il terrore.
Dovevo provare ad aiutarli, o quantomeno stabilire un contatto con loro. Se sgattaiolavo fuori dalla stanza attraverso la finestra, facendomi scivolare lungo i rami dell'albero che costeggiavano la casa, con un piccolo salto, potevo uscire dalla mia stanza e addentrarmi lungo gli stretti cunicoli di quel nascondiglio scavato nel terreno e arrivare fino alla loro prigione, cercando di non farmi vedere da lui. Decine di volte ho percorso quei corridoi solo per trovare la strada perfetta che mi evitasse di essere scoperto da mio padre, per andare e venire dalla mia stanza silenziosamente. Mai mi ero spinto così lontano, come mi è successo quando ho visto Giulia. Quando papà mi ha costretto ad addormentarla ho obbedito per paura delle sue ritorsioni, ma non appena ho visto il suo viso rilassato nell'incoscienza ho provato qualcosa che non saprei definire, come un pugno in fondo allo stomaco, come se sentissi che dovessi salvarla da qualcosa o forse sapessi che sarebbe stata lei a salvarmi. Altre volte ero rimasto dietro quella parete ad ascoltare le loro voci, senza farmi sentire, ma stavolta avvertivo di dover stabilire un contatto, a tutti i costi. Quando Giulia era riuscita a fuggire ero contento ma anche tremendamente triste, non l'avrei più rivista e avevo pianto per giorni. Con Giovanni era stata una sensazione ancora diversa; lui così uguale a mio padre da poterli confondere guardandoli, ma così differente da lui che ne avvertivo il cuore buono che vibrava insieme al mio. Quando ci eravamo trovati faccia a faccia quello che avevo avvertito era la sensazione che ci appartenessimo da sempre, come due pezzi di un puzzle che finalmente trovano la giusta collocazione. Mi ero fidato di lui all'istante e non solo perché conosceva Giulia, avevo sentito che fosse giusto così. Il trambusto di quel giorno ancora si confonde nella mia testa, mettere a posto tutti i pezzi è ancora faticoso, proverò a dare la giusta collocazione e sequenza degli eventi. Avevo visto papà trascinare Giovanni in quella stanza dove solitamente nessuno faceva più ritorno e mi ero nascosto poco distante, da un punto dove riuscivo a vedere e sentire. Il mio cuore batteva così forte perché sapevo sarebbe accaduto qualcosa di brutto e non volevo, non intendevo accettarlo. Quando ho visto che Giulia era arrivata in nostro soccorso e aveva un'arma con sé ho sperato che tutto potesse risolversi al meglio, ma mi ero illuso, vederla cadere a terra, dopo il colpo alla testa, con il sangue che le colava sul viso, mi ha quasi spinto ad uscire dal mio nascondiglio. Papà l'ha trascinata fino a una rientranza nella pietra, poco distante da me e non appena lui si è allontanato, sono andato da lei.
Ora la osservo, così fragile ed esile e cerco di capire se respiri, se il suo petto si alzi e abbassi con regolarità. Quando papà uccideva piccoli animali con il coltello, per un attimo vedevo il loro petto muoversi furiosamente alla ricerca d'aria, inconsapevoli di quello che stava per accadere, poi il respiro si fermava e i loro occhi diventavano vitrei, immobili nella morte. Giulia ha le palpebre chiuse ma vedo le ciglia vibrare e il suo viso riprendere un po' di colore.
È un buon segno no?
Mi inginocchio accanto a lei e le tocco una guancia, è calda e anche la sua mano lo è. Le stringo le dita sottili e sento un'onda di calore attraversarmi, è viva e farò in modo che lo rimanga. Non so cosa fare, non voglio lasciarla sola ma devo assolutamente sapere cosa stia accadendo tra Giovanni e mio padre, le lascio un bacio sulla fronte e la sento vibrare, come se avesse riconosciuto il tocco delle mie labbra. Facendo attenzione a non farmi sentire, mi trascino fino all'imboccatura della stanza, dove Giovanni è legato ad una sedia, le braccia strette dietro la schiena e papà lo minaccia con una pistola. Sento le loro parole, anche se non nitidamente, ma capisco chiaramente che papà ha intenzione di uccidere suo fratello per sostituirsi a lui e di fare del male anche a Giulia e a me. Non si farà scrupolo alcuno, si libererà di chiunque ostacoli il suo folle piano. Non temo per me, in fondo sarebbe solo una liberazione da tutto il male in cui mi ha costretto a vivere, ma non posso tollerare che faccia del male a loro. Vedo la pistola che Giulia ha fatto cadere a terra quando papà l'ha minacciata e senza farmi scorgere striscio fino a per prenderla. Loro non mi vedono, troppo impegnati nella loro conversazione e riesco a scivolare alle spalle di papà, intento a tenere sotto tiro Giovanni. Deve avermi sentito o aver visto l'espressione di Giovanni cambiare, perché si volta verso di me, sorpreso nel vedermi impugnare la pistola tra le mani. Poi sorride e il suo viso è talmente trasfigurato nell'odio che sento tutto il corpo tremare.

"Piccolo idiota, cosa credi di fare? Non avrai mai il coraggio di premere quel grilletto, sei solo un vigliacco, un essere inutile. Dovevo ucciderti anni fa."
Le sue parole non mi fanno nessun effetto, armo la pistola togliendo la sicura. È stato proprio lui a insegnarmi a sparare, voleva che fossi capace di maneggiare un'arma per essergli d'aiuto nelle sue imprese, quanto se ne starà pentendo ora, che si accorge di non avere scampo.

"Non lo farai, altrimenti non lo saprai mai. Posso dirti dove si trova tua mamma e..."
Non ha il tempo di finire la frase perché il suo sguardo si tinge di consapevolezza quando sente partire il colpo e la pallottola colpirlo in pieno petto, spaccandogli il cuore.
Un colpo solo, che mi sbalza leggermente all'indietro, quando attivo il grilletto e rilascio il dito.
Come mi hai insegnato tu papà, senza esitazione, senza paura.
Ti vedo crollare sulle ginocchia e poi accasciarti al suolo, senza vita. Quanto eri orgoglioso di me quando riuscivo a centrare quel piccolo bersaglio a metri di distanza, forse l'unica occasione in cui lo sei stato.
Non potrai più averne consapevolezza, ma quello l'ho imparato bene. Mi scuoto dal mio torpore e corro a tagliare la corda che ancora tiene legato Giovanni alla sedia. L'ho sentito urlare quando è partito il colpo e mi sono ridestato da quella trance in cui ero caduto.
Hai parlato della mamma?
Non ricordo, mi sembra che tu abbia fatto il suo nome.
Non la devi nominare, non tu, sono sicuro che qualsiasi cosa le sia accaduto è colpa tua.
Giovanni mi stringe tra le braccia e io sento qualcosa di bagnato scivolare sulle mie guance. Sanno di sale le mie lacrime, non so come abbiano fatto ad uscire, credo che fossero li, da tanto, troppo tempo. Ora non è tempo di piangere, dobbiamo soccorrere Giulia, portarla al sicuro. Sento le sirene arrivare ed è allora che Giovanni mi spiega che dobbiamo fingere che il cadavere che giace in quel rifugio sia il suo. Dovrò mentire a tutti, sopratutto a Giulia. È per il mio bene, per il bene di tutti noi. Mi consegna il suo telefono con cui si metterà in contatto con me e dopo avermi stretto un'ultima volta, se ne va.
Attendo pochi minuti, la mano stretta a quella di Giulia, ora un po' più fredda e prego.
Dio, non portarti via anche lei, non potrei sopportarlo.
Non posso perderla, ora che l'ho trovata.
Chissà se mamma ha sofferto quando è morta, perché così mi hanno raccontato, è morta di polmonite. E allora perché papà mi ha detto quelle cose? Era solo per la paura di morire?
Scuoto la testa e scaccio quel pensiero.
Lei è morta, non la vedrò mai più. Ma Giulia è viva e se si sbrigano a soccorrerla andrà tutto bene, lo sento.
Eccoli, sono arrivati, cerco di richiamare la loro attenzione e un uomo viene verso di me, con fare gentile.

"Non avere paura, ci prenderemo cura noi di Giulia. I dottori stanno arrivando."
Quando mi portano fuori e vedo la luce del sole, stringo gli occhi forte e mi aggrappo alla mano di quell'uomo, che mi ha detto di chiamarsi Joele, un nome strano, mi piace, come mi piace lui. Sarà perché mi guarda dritto negli occhi, sarà il suo tono di voce calmo, sarà perché ho avvertito quanto tenga a Giulia e questo mi tranquillizza.
Mi sento stranamente al sicuro, per la prima volta dopo tanto tempo. Sarà perché sono libero e lui non potrà farci più del male. Non sentirò più i suoi passi nella notte, tremando e pregando non stia venendo nella mia stanza, per poi sentirmi un codardo, perché probabilmente sta andando a fare del male a qualcun altro. Ora non potrà più farlo, le porte dell'inferno si sono spalancate per lui e non lo lasceranno più andar via.
Non sentirò più parlare di lui, non potrà più nuocermi in alcun modo. Dovrò mantenere il segreto, ma se questo serve a far che non senta più parlare di lui, lo farò senza rimorsi.
Addio papà,
Addio per sempre.

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