17. I would die with you

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Giorno 115 - pomeriggio

Isairel osservava Ianco rifargli il letto: i capelli biondi stavano lentamente crescendo e poteva notare un accenno di barba sulla mascella squadrata.
Avevano ormai perso il conto dei giorni e delle settimane e il caldo stava avanzando, inesorabile.
In quella piccola stanza l'aria era afosa e si respirava con fatica.

Ianco si risollevò, asciugando la fronte con l'avambraccio. «Fatto!».
Isairel non distolse lo sguardo dall'amico neppure quando questo gli si inginocchiò di fronte.
«Come stai, Isa? Va' un po' meglio?».

La propria mano andò meccanicamente alla bocca dello stomaco.
«Sono stato meglio.», biascicò con una smorfia.

Le labbra del biondo si incresparono in un'espressione quasi sollevata. Isairel non si lamentava mai della fatica o del dolore, era sempre stato quello equilibrato tra i due. Per Ianco vederlo in confusione, in quello stato pietoso, era un dolore che non riusciva ad attenuare.

Isairel sfiorò con le dita fresche l'escoriazione sullo zigomo dell'amico.
«Sto aspettando...».

«Ma cosa? Questo? Solo quel bastardo di Frandsen.», fece il biondo.

«Che ha fatto stavolta?».

«Ma niente, solite coglionate...». Il biondino sorrise amaramente.
Ianco non voleva far preoccupare l'amico raccontandogli della visita e della rissa della notte prima. Non voleva scatenare la sua collera proprio ora che era così debole.
Lo stomaco gli si contorse e deglutì a fatica quando incrociò gli occhi scuri di Isairel.

Il tocco dei polpastrelli si era trasformato in una stanca carezza, e quel contatto fisico era l'unico conforto che avevano avuto negli ultimi giorni.
«Ho tenuto il conto.».
Ianco lo guardò, perplesso, mentre le iridi castane sembravano farsi più grandi.
«Di che parli?».
«Del tuo compleanno. Domani è il tuo compleanno.».
Non si aspettava quell'affermazione e si sentì ricolmato di una gioia immensa.
Gli sorrise, perché tutte le parole erano morte sulla sua lingua e non riusciva ad esprimere ciò che provava: Isairel aveva saputo riportare un po' di normalità in quella vita orrenda.
Anche la notte carica di percosse sembrava svanita appena le parole avevano lasciato le labbra del moro.

Isairel sospirò, come se fosse già stanco della propria esistenza. Fu un sospiro lungo, a labbra serrate con espressione greve.
Ritrasse mano dalla guancia dell'amico e Ianco provò un senso di smarrimento improvviso. Voleva che quel contatto durasse più a lungo, che l'amico lo confortasse.
Voleva potergli dire quanto male gli facevano le cosce, quanto fosse ferito nel proprio orgoglio, come si sentisse profondamente inadatto per quella vita fatta di silenzi e botte.

La fitta di delusione che lo investì lo portò a scrutare gli occhi di Isairel, vi lesse dubbi profondi e un velo di paura ne sminuiva la naturale vivacità.
Provò un bisogno viscerale di toccarlo, di abbracciarlo, perché un simile contatto gli era mancato terribilmente.

«Mi manchi.», si lasciò sfuggire con un filo di voce.

Isairel vide il volto rigato dalle lacrime, di cui Ianco se ne accorse troppo tardi, in un disperato tentativo di asciugarle con la manica della maglietta.
Una profonda tristezza s'insinuò tra loro, nel poco spazio che li divideva.
«Ma io sono qui, Ian, sono sempre stato qui.».

Scosse la testa con una certa veemenza, per far capire al moro che si sbagliava.
«Sono settimane che non ci sei, non con la testa almeno... E non puoi allontanare sempre tutti.».
Il biondo aveva ragione, Isairel era distratto, sfuggente; a volte anche lui stentava a riconoscersi.

Le mani di Ianco si posarono sulle sue cosce e i suoi occhi castani s'incupirono di colpo.
«Non puoi pensare di fuggire sempre. Non lo puoi fare con le prove fisiche, anche se sei una mezza sega. Soprattutto non lo puoi fare con me. Sapevi che prima o poi avremmo dovuto parlarne. - prese fiato – Capisco i tuoi attacchi di panico, ma non capisco perché questi continuano ad allontanarti da me.».

Isairel inspirò profondamente, ad occhi chiusi.
Non aveva mai notato che Ianco profumasse di rosmarino, un odore amaro e avvolgente, quasi selvaggio.
Quell'aroma ebbe il potere di dargli sollievo. «Non so nemmeno io perché ti stavo evitando.».
Sentiva la testa leggera e le carezze sulle cosce erano rilassanti. Un capogiro lo fece impallidire, tanto da far allarmare subito Ianco, che scattò in piedi, sollevando di peso l'amico e spostandolo sul letto.

Isairel si ancorò al braccio del biondo, trascinandolo a sedere accanto a lui sul materasso.

«Oh mamma, scotti!» Ianco tolse rapidamente la mano, come se la sua fronte fosse bollente, ma Isairel sentiva la mano fresca e voleva che quel sollievo non finisse.

Negli occhi castani colse uno straziante desiderio, tenuto a freno dalla strenua forza di volontà di Ianco. «Credo... Sì, credo di avere la febbre alta...».
Schiuse le labbra, umettandole con la lingua per alleviarne la secchezza.

Ianco si mosse verso di lui, accorciando impercettibilmente la distanza che li separava.
Solo quando fu così vicino da sentire il fiato caldo sulle labbra, Isairel lo mise in guardia.

«Se vieni così vicino ti ammalerai.».

«Morirei con te, se dovesse essere necessario.», bisbigliò Ianco, prima di premere le proprie labbra contro quelle del moro.

«Scusa...» fu l'unico sussurro che uscì dalla bocca di Ianco dopo quel fugace bacio, prima di scattare in piedi e, con lunghe falcate, raggiungere la porta della stanza.

«Ianco! Torna qui, ti prego...».

Il biondo però aveva già abbassato la maniglia e dischiuso la porta. «Lascia stare. Combino solo casini.».

Con tutta la forza che aveva in corpo, Isairel si alzò dal letto, barcollante, e lo raggiunse, urlando il suo nome nel lugubre corridoio, prima di cadere a terra, rovinando sulle proprie ginocchia.
In un moto di pura compassione, l'amico lo soccorse con un'espressione indecifrabile in volto: «L'hai fatto apposta!».

«No.», rispose, candido, con un sorriso che era tutto un programma.
Una volta rientrati nella stanzetta, a porta chiusa, Isairel si aggrappò all'amico.
«Perché non mi dici le cose come stanno?».

Quello però stava zitto, con lo sguardo annacquato che passava dagli occhi scuri di Isairel alle sue labbra rosee, in un continuo vagare.

Gli occhi di Isairel erano di un castano talmente scuro, quasi nero, che sembravano risucchiare qualsiasi forma di luce e, in quel preciso momento, cercavano di sondare l'animo di Ianco, trinceratosi dietro un invalicabile muro di silenzio.

«Mi hai detto che moriresti con me, se fosse necessario. Dicevi sul serio o erano i tuoi ormoni a parlare?».
Ianco arrossì violentemente e deglutì a fatica.

«Rispondimi!».
Sobbalzò a quel grido. «SÌ! Cazzo, sì! Io... Io... Ti voglio così bene.», piagnucolò.

Isairel roteò gli occhi e si sporse a baciarlo di nuovo, con prepotenza, solo sulle labbra.
«Ti voglio così bene anche io, stupido coglione.».


Perdonami di amarti
e di avertelo lasciato capire.
- William Shakespeare -

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