Fantasmi dal passato

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Sono passati cinque minuti da quando ho letto quel messaggio, cinque minuti da quando sono rimasta immobile, cinque minuti da quando non ho mosso un solo, singolo, muscolo.
L'unico movimento indipendente dai miei comandi è il battito del mio cuore che quasi rimbomba in tutta la stanza. Il respiro comincia ad aumentare, la testa si fa pesante e poi lo sento. Arriva quel
maledetto nodo che si fa spazio nella gola cercando di uscire fuori senza, però, riuscirci. Resta lì, incastrato, gonfiandosi sempre di più fino a occupare tutto lo spazio che può, cominciando a infliggermi
dolorose fitte al petto.
E in quel momento riacquisto quell'attimo di lucidità che mi fa reagire. Mi libero della camicia, e cerco di regolare il mio
respiro. Corro verso il lavandino, mi bagno i polsi e poi comincio a tamponare il volto e pian piano, quel nodo inizia a sciogliersi, cerco di buttare via tutto quell'ossigeno in eccesso che ho accumulato e solo dopo aver cominciato a respirare normalmente, il ritmo del mio cuore riprende a rallentare fino a battere in modo regolare.
Mi accascio sul pavimento, continuando a tenere il respiro sotto controllo e, dopo che ogni parte del mio corpo comincia a rilassarsi, eccole che arrivano anche loro. Mi riempiono gli occhi fino a offuscarmi la visita per quanto cerchi di trattenerle, ma nonostante tenti di combatterle con tutta me stessa, ecco che cominciano a rigare il mio viso senza sosta.
Stanca di combattere contro me stessa, contro gli input che il mio corpo mi dà per liberarmi, mi lascio andare a un pianto silenzioso e cadendo completamente a terra, assumo quella posizione che da sempre mi fa sentire protetta e al sicuro
Porto le ginocchia al petto e abbraccio le mie gambe cominciando a dondolare sempre allo stesso ritmo con la differenza che ,stavolta, non c'è Luca ad abbracciarmi e a dirmi che passerà.

. . .

Mi sveglio sul pavimento, ho i muscoli indolenziti e gli occhi gonfi, ma mi sento più leggera, non sento più quel senso di oppressione che mi stringeva il petto. È tornato dopo tanto tempo che avevo superato tutte le mie difficoltà, dopo aver passato anni e anni a prendere ansiolitici per tenere tutto sotto controllo, fino ad arrivare finalmente ad
uscirne. È bastato leggere un solo messaggio ed è raffiorato, era lì latente e al momento giusto è tornato.

Maledetto attacco di panico!

Scusatemi, so che probabilmente vi state preoccupando per me, ma va tutto bene. Ho imparato a riconoscere i segnali e a gestirli. Vi starete chiedendo il perché di questa reazione ed è giusto che vi dia una
spiegazione.
Per farlo, peró, bisogna partire dall'inizio e soprattutto parlarvi di una persona che, fino a ora, ho accuratamente evitato di
menzionare se non di passaggio:
Valentina Rossi

Ho conosciuto Valentina all'età di cinque anni, quando papà e Ada decisero di fare sul serio e farci conoscere. Entrambe eravamo figlie uniche e l'idea di avere una sorella ci aveva subito fatto legare. Quando i nostri genitori hanno deciso di vivere assieme eravamo al settimo cielo.
D'altronde io non sapevo cosa volesse dire avere una madre, la mia, come sapete, è andata via mettendomi al mondo. Mentre Vale, non aveva alcun ricordo del padre che l'aveva abbandonata quando aveva un anno. Avere finalmente due genitori e una sorella ci sembrava davvero un sogno.
Valentina era più grande di me di un anno e mezzo, ma non si è mai lamentata di stare con me o uscire con i miei amici. Spesso io, lei e Luca ci ritrovavamo in giro per i pub nei fine settimana. Ci scambiavamo i vestiti, mi ha insegnato come truccarmi e anche aiutato ad avere i primi approcci con i ragazzi, ma poi tutto cambiò!
Non so quand'è stato il momento preciso in cui dalla bella, dolce e altruista principessa delle fiabe, si sia trasformata in Crudelia De Mon e io nel suo dalmata preferito.
All'improvviso non voleva più stare in mia compagnia, si rifiutava di portarmi con sé, non mi aspettava più all'uscita di scuola per rientrare a casa come avevamo sempre fatto. Se i nostri genitori la obbligavano a uscire con me, lei trovava il modo per farmela pagare. Fino a quando,
una sera, insieme a quei deficienti dei suoi amici mi hanno rinchiuso nel cofano di una delle loro auto.
Non so per quanto tempo sia rimasta lì dentro, ma, grazie a Dio, il mio angelo custode mi ha trovata e fatta uscire. Da allora, però, sono cominciati i miei attacchi di panico.
Ho dovuto supplicare Luca di non raccontare nulla ai miei genitori anche
quando ho cominciato a soffrire spesso di questi attacchi e l'unica soluzione efficace si rivelò allontanarmi da lei. Anche i nostri genitori dovettero rassegnarsi all'idea che le nostre vite si
separassero. Così accettai il volere di papà e mi iscrissi a giurisprudenza per non farlo dispiacere, sì, ma a patto che mi fossi trasferita a Milano con Luca, dato che Valentina già frequentava biologia a Roma.
Da allora non ho più avuto il dispiacere di vederla se non al funerale di mio padre dove, naturalmente, non ci siamo rivolte la parola.
Il telefono squilla e dopo un sussulto iniziale il mio cuore si riempie di gioia

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