6

141 6 0
                                    

Boston, vista dall'alto, sembrava un universo parallelo. Sofia non aveva mai amato la vita delle grandi metropoli, ma doveva ammettere che lo skyline era mozzafiato. Il contrasto tra l'architettura e la natura era inebriante. I grattacieli gareggiavano con le rigogliose aree verdi; in lontananza, il fiume Charles sfociava pigramente nell'Atlantico. Il sole stava per tramontare e molte imbarcazioni facevano ritorno al porto. I raggi del sole morente tingevano il panorama di rosa-arancio, conferendogli un'aria più poetica.

Il padre di Jamie era un uomo d'affari e possedeva una catena di ristoranti e bar, tra i quali un rooftop con una vista mozzafiato. Per Sofia, uno dei vantaggi dell'essere la migliore amica di Jamie consisteva nel poter accedere a quella vista ogni volta che lo desiderasse. Ormai la conoscevano tutti lì. Erano poche le volte in cui si era seduta al tavolo e ordinato qualcosa; una di queste era stata in occasione del compleanno di Jamie, quando il padre aveva chiuso le prenotazioni per l'intera serata per garantirle una festa esclusiva.

Sofia non sapeva cosa la attirasse spesso in quel luogo. Le era sempre piaciuta la sensazione di osservare il mondo dall'alto, le dava un senso di libertà. La routine era soffocante e quello era un buon modo per evadere.

Aveva i gomiti poggiati sul parapetto e l'orologio da polso era proprio sotto i suoi occhi. Impossibile non notare l'orario. Si erano fatte le sei e mezza. Sapeva di dover tornare a casa, ma ultimamente il suo umore cambiava non appena varcava la soglia. Fino a qualche anno prima aveva vissuto con i genitori e suo fratello maggiore, Nicholas. Poi suo fratello era cresciuto senza che lei se ne rendesse conto, si era trovato un lavoro, un appartamento e una ragazza e aveva lasciato casa; i suoi genitori, invece, avevano intrapreso la strada di un'adozione. La nuova arrivata veniva dalla Sierra Leone, aveva dieci anni e si chiamava Keisha, un antico nome africano che significa "grande gioia". Quando i genitori avevano prospettato a Sofia la decisione dell'adozione, non glielo avevano detto come se lei avesse avuto voce in capitolo. Avevano già deciso. La procedura per far arrivare Keisha a casa era stata lunga e difficile, c'erano tanti impedimenti burocratici e Sofia aveva creduto che, alla fine, avrebbero rinunciato. Invece, un bel giorno, era arrivata la splendida notizia: Keisha era pronta per conoscere la nuova famiglia. Sua madre e suo padre avevano pianto e si erano abbracciati come se fossero di nuovo in dolce attesa. Sofia si era aggrappata alla speranza che, vedendo la bambina, dentro di lei sarebbe cresciuto un sentimento simile all'amore. Non ci era riuscita. Quando la guardava, provava solo rancore nei confronti dei genitori e della loro decisione impulsiva. E Nic se n'era andato. Anche lui l'aveva lasciata da sola.

Il cellulare vibrò nella tasca dei jeans. Era la terza volta che la madre la chiamava. La ragazza conosceva già la discussione che sarebbe seguita, ma le conveniva rispondere prima che i genitori avessero mandato una volante a cercarla.

«Mamma, sto arrivando. Ero... in biblioteca a studiare.»

Silenzio. «Sì, certo. Come no. So esattamente dove sei, ti conosco. Ho mandato tuo fratello a prenderti. Sarà da te a momenti.»

«Cosa? No! Perché?» Sofia si voltò di scatto, urtando un cameriere, e imboccò l'ingresso al rooftop. Anche oggi doveva dire addio al tramonto in fretta e furia. «Perché hai mandato Nic? So come tornare a casa da sola!»

«Lo so, ma Dio solo sa se saresti tornata in tempo per la cena. Stasera ci saranno anche Nicholas e Allie. Non essere indolente come al solito e cerchiamo di goderci una bella serata in famiglia.»

Allie era la ragazza di Nicholas e, a quella notizia, Sofia tirò un sospiro di sollievo. La serata si animava un pochino quando c'erano anche loro.

Intanto era la terza volta che premeva il pulsante dell'ascensore ma, maledizione, era sempre occupato. Di quel passo sarebbe arrivata ugualmente per l'ora di cena a casa. Fare le scale non era un'opzione, c'erano talmente tanti piani in quell'edificio che non ricordava mai il numero esatto.

«Ho capito mamma. Sto arrivando.» Attaccò la chiamata e fissò le porte chiuse dell'ascensore con sguardo torvo. «Ma è mai possibile che questo...»

Le porte finalmente si aprirono e Sofia per poco non si scontrò con la persona che ne stava uscendo.

«Ciao, sorellina.»

Un sorriso sfuggì dalle labbra della ragazza. «In un modo o nell'altro, mi costringi sempre ad insultarti. Ciao a te, Nic.»

Si affrettò ad entrare in ascensore prima che qualcuno lo chiamasse di nuovo, poi abbracciò forte il fratello. Dovette salire sulle punte dei piedi per quanto era alto. I capelli castano chiaro si erano allungati dall'ultima volta che l'aveva visto, ma non perdeva mai il suo bell'aspetto. Gli occhi verdi erano limpidi e sereni, lo sguardo in cui si rifugiava quando voleva smettere di fare la dura e concedere a qualcuno di proteggerla.

«Quanto è arrabbiata la mamma da uno a dieci?» gli domandò.

«Non è arrabbiata, è in ansia. Lo sai, ci tiene che sia tutto in ordine quando porto Allie a casa e tu... ti dai sempre un gran da fare per scombinarle i piani.»

«Sarei tornata in tempo. E poi non sapevo che sareste venuti! Non mi dite mai nulla.»

Nicholas ridacchiò. «Lo avresti saputo, se non fossi stata in giro tutto questo tempo.»

«Sai, esiste una grande invenzione chiamata "cellulare". Potresti farti sentire per le cose utili, ogni tanto, invece di mandare stupidi video su Instagram.»

L'ascensore rallentò, comunicando l'arrivo al piano terra. Nic sollevò le mani in segno di resa. «Sono venuto in pace. Deponi le armi e metti su il tuo miglior sorriso, per favore.»

«Potrei pensarci su, se hai portato...»

«Sì, l'ho portata» rispose il fratello senza battere ciglio.

Gli occhi di Sofia si illuminarono. Era proprio di fronte all'edificio, parcheggiata al lato della strada. Una bellissima Cabriolet, modello Fiat 124 Sport Spider rossa fiammante. Suo fratello aveva sempre avuto un debole per le auto d'epoca e, alla prima occasione, ne aveva acquistata una e l'aveva fatta mettere a posto. Era un gioiellino.

«Ora sì che si ragiona.» Accarezzò la carrozzeria, dandole una leggera pacca come se fosse una vecchia amica. «Ciao piccola, da quanto tempo. Mi sei mancata.»

Nicholas si mise al volante e mandò gli occhi al cielo, ma anche lui in fondo era compiaciuto. «Tratti questa macchina meglio di me.»

Sofia sorrise, ma non rispose. Si limitò a chiudere gli occhi e a godersi Boston al tramonto con la cappotta tirata giù e il vento a carezzarle il viso.

Tutti i colori dell'UniversoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora