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Sofia strizzò le palpebre e si tastò la fronte con le mani. Un dolore le si irradiò dal punto in cui premette l'indice. Aveva un cerotto o una benda. Ruotò la testa sul cuscino, in cerca del cellulare, ma trovò solo una sveglia che segnava quasi le cinque del mattino. Dove si trovava? Quella non era la sua camera. Si mise a sedere sul letto e si accorse che aveva una coperta a coprirla dal freddo della notte. Si sforzò di ricordare come fosse finita in quella stanza, ovunque fosse. L'ultima immagine che aveva davanti agli occhi era quella dell'ambulanza, poi aveva avuto un attacco di panico e perso i sensi.

Oddio. Le cinque del mattino. Il teatro. Keisha e la madre. Sua madre l'avrebbe uccisa.

Sofia si buttò giù dal letto, cercando di ricordare dove avesse lasciato la borsa. Gemette per l'inaspettato dolore alla caviglia, ma non ci diede peso e si avventurò per la casa buia. Non era un appartamento tanto grande, quindi le bastò percorrere il corridoio per trovare il salotto. Il ragazzo dei fiori era semisdraiato sul divano e stava dormendo. Sofia individuò la sua borsa, posata su un tavolino di fronte a lui; ci si avvicinò in punta di piedi e frugò all'interno per trovare il cellulare. Il vetro era rotto, il touch non funzionava, ma tra le schegge intravide una marea di notifiche e chiamate perse.

«Merda.» Doveva tornare a casa, immediatamente. Forse la madre le aveva già preparato la valigia e l'aveva sistemata fuori la porta. Mille scenari le passarono per la testa e nemmeno uno era positivo.

Si accanì di nuovo sullo schermo. Niente da fare. Non funzionava. «Dai, andiamo.»

Si udì un fruscio. Il ragazzo mugugnò qualcosa e si raddrizzò sullo schienale, stiracchiandosi. Le parve che le sorridesse appena nell'oscurità.

«Scusami, non volevo svegliarti.»

Lui premette i palmi delle mani sugli occhi. «Tranquilla. Che ore sono?»

«Le cinque, più o meno.» Sofia gettò di nuovo il cellulare nella borsa. «È andato. Hai... Scusami, puoi prestarmi il telefono?»

«Certo, dammi un secondo.» Prese il suo cellulare da un ripiano e glielo porse. «Ti hanno chiamato svariate volte ieri sera.»

«Lo posso immaginare. Grazie, chiamo Nic e me ne vado. Mio fratello.» Non che ci fosse bisogno di specificarlo.

Fortuna che ricordava il numero del fratello a memoria. Uno squillo, due squilli... Andiamo. Intanto il ragazzo si era alzato e si era diretto in cucina, probabilmente per lasciarle la sua privacy.

«Pronto? Chi parla?» fece una voce impastata dal sonno.

«Nic! Nic, sono io. Sofia.»

«Oh, mio... Sofia! Che fine hai fatto? Stai bene? Dove sei?» Dalla sua voce traspariva agitazione. Era in pensiero per lei.

«Sto bene. Ho avuto un incidente, ma un ragazzo mi ha aiutata.»

«Un incidente? Sei ferita?»

«No. No, ti ho detto che sto bene. Sono con lui ora, nel suo appartamento. Mi dispiace di averti svegliato a quest'ora, puoi venirmi a prendere e portarmi a casa? La mamma sarà infuriata.»

«Sto arrivando.» Sofia sentì la voce di Allie in sottofondo che gli domandava cosa fosse successo.

«Ti scrivo l'indirizzo con questo numero. Grazie, Nic.»

Sofia chiuse la chiamata e raggiunse il ragazzo in cucina. «Potresti darmi l'indirizzo?»

Lui glielo dettò e lei lo digitò in fretta, poi lo ringraziò e gli restituì il cellulare.

«Ti va un caffè?» le domandò, avvicinandosi alla macchinetta. «Ormai siamo svegli.»

«Va bene un bicchiere d'acqua.»

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