Capitolo 5

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CAPITOLO 5

Taehyung

La mattina dell'allenamento feci un corso intensivo di meditazione. Non avevo mai fatto quella merda ma, a causa del mio nervosismo, la mia mente aveva evocato le varie volte in cui Jimin me ne aveva parlato.

Mi ero messo a seguire un insegnante alla tv come un perfetto idiota e dopo mezz'ora mi ero arreso al mio destino. Volevo o meno, avrei dovuto avere a che fare con lui. Volente o nolente, avrei dimostrato quanto valevo il doppio delle altre volte, perché non avevo intenzione di farmi distrarre dai suoi giochetti del cazzo.

Quindi mi presentai al campo appellandomi a tutto il buon senso che speravo di avere, notando anche la quantità di giornalisti presenti a quel primo skatch a porte aperte.

Salutai i miei compagni e riservai solo una breve occhiata a lui.

Ben presto fu il mister a prendere le redini, con un discorso di incoraggiamento e la descrizione di quel che ci aspettava il primo giorno. Poco dopo, eravamo tutti impegnati nei soliti esercizi di routine ma in modo più leggero; eravamo appena tornati dalla pausa estiva, quindi la prima giornata sarebbe stata easy.

Con lo scorrere del tempo, mi resi conto che gli occhi erano puntati su me e il ragazzino, così cercai di comportarmi bene e seguire le indicazioni del mister alla lettera. Non ci furono particolari problemi perché, a quanto sembrava, anche lui era consapevole della pressione mediatica a cui eravamo esposti. Ci tenne lontani l'uno dall'altro ma non abbastanza da creare sospetti.

In un paio di occasioni ci incrociammo con gli esercizi ma, controllati da tutti i lati, ci scambiammo solo qualche sguardo duro: io volevo dimostrare il mio potenziale e lui non era disposto a lasciare indietro il suo.

La prima giornata si concluse così, e la seconda, la terza e la quarta non furono diverse.

In campo, per chiunque ci circondasse, le cose sembravano andar bene; per noi, invece, e per chi ci conosceva, era ovvio che ci fosse un qualche tipo di tensione. Non parlavamo tra di noi e negli spogliatoi ci ignoravamo. Se veniva intavolato qualche discorso tra compagni di squadra, io non rispondevo quando lui parlava o mi limitavo a qualche risata di scherno quando non ero d'accordo o trovavo quello che aveva detto particolarmente ridicolo. Forse, qualche volta – mi toccava ammetterlo, lo facevo per innervosirlo.

Lui si limitava a guardarmi furioso, ma mai una volta aveva attaccato briga. Sapevo che stava aspettando il momento adatto ed io di sicuro non mi sarei sottratto. Glielo avevo detto che i suoi mezzucci sporchi non mi avrebbero influenzato, e non lo stavano facendo. Del resto, dubitavo che avrebbe tentato qualcosa davanti ai nostri compagni di squadra e, nell'edificio residenziale, in quei quattro giorni non ci eravamo incontrati neanche una volta.

Quelle che erano iniziate come giornate tranquille, però, subirono una brusca inversione il quinto giorno, di venerdì, proprio quello che precedeva l'evento che avrebbe dovuto vederci insieme.

Non avevo davvero previsto di innervosirmi, ma il mister decise che era il momento adatto ad allenarsi sul serio radunando tutti per una partitella, dividendoci. Il suo errore fu quello di metterci in squadra insieme.

Fu un caos.

Io volevo andare in rete ma lui non mi passava il pallone; quando ero io a tenerlo, col cazzo che glielo avrei ceduto.

All'ennesimo passaggio di Brandon, lui, che si trovava a metà campo, sulla fascia destra, iniziò la rincorsa alla rete.

Io mi trovavo poco fuori l'area di rigore, sulla fascia sinistra e molto più avanti di lui, ed ero l'unico supporto che avrebbe assicurato l'alta probabilità del gol.

Winning your heart || TaekookDove le storie prendono vita. Scoprilo ora