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Jackie

Beltran Buscema non era affatto il prigioniero che credevo. Tramite voci di corridoio mi ero fatta un'idea sul suo aspetto, su come potesse essere l'uomo crudele che tutti quanti descrivevano. Mi ripetevo che magari avrei trovato un uomo adulto, dal volto pieno di cicatrici o poco curato ma invece ho davanti ai miei occhi un esemplare magnifico. I suoi occhi azzurri mi stanno facendo tremare le ginocchia, ma faccio di tutto pur di non farglielo notare. Distolgo lo sguardo, osservando la maschera di metallo che ho gettato a terra poco prima. «Come mai indossavi quella maschera?» domando curiosa, studiandola: è molto simile a quella di Hannibal Lecter, ma questa copre tutto il viso al contrario di quella del protagonista. «Uno degli agenti ha voluto donarmela in regalo» dice, usando un tono nient'affatto divertito. Corrugo la fronte, mentre lui osserva la porta aperta con occhi affilati. «Durante una delle uscite in cortile ho tentato di mordere quel vostro collega, Boone – in seguito me l'ha attaccata al collo.»

«Perché hai voluto morderlo?» domando.

Inclina il viso di lato, guardandomi con espressione di sufficienza. Annuisco, incrociando le braccia al petto. «Beltran, ti andrebbe di partecipare a una delle mie sedute?» domando. Mi punta addosso i suoi occhi ghiaccio, senza permettermi di capirci molto. Lo sguardo di Beltran passa in rassegna del mio corpo, guarda dall'alto al basso e viceversa con attenzione, scandagliando ogni mio piccolo dettaglio.

«Come ha fatto a ottenere la chiave della mia cella?»

Il cambio di discorso mi lascia intorpidita. «Sono piuttosto persuasiva» spiego, sorridendo brevemente. Assottiglia gli occhi, leccandosi il labbro inferiore carnoso. Gli chiedo cosa ne pensa della seduta e lui fa spallucce, per quanto gli è possibile. «Non mi sembra di avere l'agenda impegnata» il suo spirito macabro è interessante. Prendo un respiro profondo, guardando la camicia di forza che indossa. «Il direttore ti ha costretto a indossarla?» ammicco mentre lui smorza un sorrisetto.

«Era necessaria» spiega.

«Perché?» voglio conoscerlo meglio.

Con una semplice occhiata, mi fa intuire che non mi dirà un bel niente quindi decido di rinunciarci per oggi. «Domani avrò altri due pazienti prima di lei, verso le tre e mezza chiederò a degli agenti di portarti nel mio ufficio per una seduta» lo informo, dirigendomi verso la porta aperta. «Spero di riuscire ad avere un vero e proprio dialogo con te, Beltran.» I suoi occhi non lasciano i miei, neanche per un secondo fino alla chiusura della porta. Chiudo a chiave, facendo due scatti per poi afflosciare le spalle. Mi sembra di aver corso una maratona o di aver perso fiato in una salita. «Possiamo andare» convengo. Avendo finito il turno, una volta salita in auto, ricevo una chiamata da parte di mia madre. «Tesoro» parla per prima.

«Ehi, sono uscita ora.»

«Andrai a casa adesso?» domanda curiosa.

«Sì, perché?» corrugo la fronte.

«Potremmo cenare tutti insieme stasera, verremo da te ovviamente. Judith vuole vederti, chiede spesso di te.»

«Va bene, ma sappi che ancora non ho preparato nulla.»

«Non preoccuparti, ho cucinato io.»

Qualcosa mi dice che aveva già organizzato tutto ancora prima di consultarmi. Alzo gli occhi al cielo, dicendole che ora devo guidare per poi salutarla. Quando arrivo in appartamento fa un po' di caldo, infatti accendo l'aria condizionata e poi inizio a spogliarmi strada facendo. Il mio bagno è ampio, sulla destra c'è un lavandino con specchio e mobile incorporato. A sinistra i sanitari e sul gradino in alto un enorme vasca incastonata sul pavimento. È tutto in stile un po' Romano Impero, bianco e oro. Circa quindici minuti dopo ho il phon in mano e sto eseguendo una piega veloce, anche se non perfetta. Stacco la presa e poi vado in camera per indossare la mia veste di seta azzurra, lunga fino ai polpacci. Visto che i miei verranno qui tra venti minuti, decido di preparare qualcosa al volo anche io. Ho delle patatine fritte e dei panzerotti nel congelatore, magari potrei metterli nella friggitrice ad aria. Mentre attendo che si facciano, ripenso a Beltran. Quell'uomo, non è affatto come credevo e ciò potrebbe essere un problema. Credo che il suo aspetto mi minacci in qualche modo, mi metta a disagio e io non posso farmi fregare da uno come lui. Mi mordo il labbro inferiore, sentendo il citofono. Vado ad aprire, attenendoli sull'uscio. Si aprono le porte dell'ascensore e mia madre appare con due vassoi, mio padre con un cesto di verdure e mio fratello con un dolce in mano. Judith si aggrappa alle mie gambe, guardandomi con i suoi occhietti verdi – ereditati da suo padre.

Judith non ha mai conosciuto la donna che l'ha messa al mondo: quest'ultima è una donna egoista, una hippie con la passione per la marijuana. Non so neanche come abbia potuto dormire con lei mio fratello, so solo che era talmente scadente che anche durante il periodo della gravidanza fumava e beveva. Appena ha partorito è scappata via con un altro, su di un camper e non si è fatta più vedere. Per mio fratello non era amore, era solo un passatempo. Nonostante non fosse pronto per fare il padre, alla fine accettò comunque il suo destino e si innamorò della piccolina. «Ciao bellissima.» La prendo in braccio e lei si scosta i lunghi ricci biondi dietro la schiena, mentre io saluto tutti gli altri. «Ma quante cose avete preparato?» domando, salutando mio padre. «Direttamente dal nostro giardino cara, conservale in frigo queste verdure.» Mio padre è un uomo curioso, alto ma magro e con la barba grigio pepe. Indossa spesso cappellini e camicie da boscaiolo, ne ha una anche ora. «Ciao Glenn» saluto anche mio fratello, la mia copia sputata ma mascolina.

«Non è voluta venire» mi informa, riferendosi a Sierra.

«E dov'è andata?» domando, richiudendo il portone.

«Da Vanessa, stavolta sul serio: l'ho chiamata e ho sentito la sua voce.» Lascio a terra Judith, che intanto corre in cucina per aiutare mia madre. «Sai che non intendeva dire davvero quelle cose» sospira dispiaciuto.

«Sì invece, voleva dirle eccome.»

Glenn mi prende il gomito, costringendomi a fermarmi. Nonostante sia più piccolo di me di due anni, mio fratello a volte prende il posto di mio padre. «Ha sedici anni...»

«Non mi interessa, adesso sono arrabbiata e non ho voglia di parlarle. Quando sbollirò, probabilmente affronteremo di nuovo il problema ma per ora non voglio.» Alza gli occhi al cielo, dicendomi che sono testarda. Lo ignoro, andandomene in cucina. Passo una serata rilassante con la mia famiglia, ceniamo nella piccola sala pranzo di lato alle porte scorrevoli della cucina e scopro che mia madre ha preparato un'insalata messicana, dei tacos e della pasta al formaggio. Non riesco a mangiare neanche tutto, in compenso si divorano i panzerotti e le patatine. «Mamma, non ce la faccio più» scuoto il capo. «Suvvia, era solo un primo, un secondo e un contorno.»

Come se fosse poco!

Più tardi, mentre aiuto mia madre a lavare i piatti sento Judith stringermi la veste al ginocchio. «Posso dormire qui?» domanda, proprio mentre Glenn entra in cucina e le dice di no. «Domani deve andare al lavoro, mentre tu a scuola.» Judith sbatte i piedi a terra, dicendogli che vuole assolutamente dormire qui. «Non ci sono problemi, posso alzarmi presto e portarla da voi domani mattina prima di andare al penitenziario» spiego. Glenn si gratta la mandibola mentre Judith gli fa la linguaccia. «Va bene» soffia, mentre mia madre sorride di nascosto. Appena i due escono dalla cucina, resto sola con mia madre e lei si gratta la fronte coperta dalla frangetta. «Credo che ora inizi a sentire la mancanza di una figura femminile» sospira affranta. «Spesso torna da scuola e fa domande oppure chiede perché lei non ne abbia una. Glenn le spiega più o meno cosa è successo ma lei finisce sempre per piangere.»

Mi si spezza il cuore a sentire queste parole.

Mio fratello ci prova ardentemente a darle tutto quello che vuole, ma non è facile. Quella donna si era resa conto di essere rimasta incinta troppo tardi e, poiché non apprezzava l'aborto, decise di partorirla lo stesso; non l'ha voluta neanche prendere in braccio appena nata, quella stupida. Scuoto il capo, disprezzando quella donna fino in fondo. «Tuttavia, credo che la tua presenza le faccia bene. Judith ti reputa come una madre, sei ciò che più le si possa avvicinare ai suoi occhi» sorride, facendomi commuovere. Mia madre mi lascia un bacio sulla guancia e io la ringrazio, per poi asciugare l'ultimo piatto. Quando la sera i miei vanno via, Glenn lascia un bacio sul capo a Judith e lei gli stringe la mano prima che lui le raccomandi di fare la brava. «Chiamami per qualsiasi cosa» ammicca mio fratello.

«Sta' tranquillo, ci vediamo domani.»

Li saluto, aspettando che le porte dell'ascensore si chiudano per poi girarmi verso la piccolina. «Va bene, vieni così ti do una mia maglietta e dormi con quella» le prendo la mano. Più tardi ci mettiamo a letto e Judith mi chiede di lasciare la lampada sul comodino accesa. «Buonanotte» sussurro, vedendola accucciarsi al mio petto con un sospiro piacevole. Chiudo gli occhi, sentendo il suo cuore battere in sincrono con il mio mentre il sonno presto prende la meglio su tutto. 

Il Male In TeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora