Capitolo 18- Debolezze

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Marcus

«Signora Patton, dove sono le nuove scatole della settimana?»

«Marcus, ma non dovresti essere a fare qualcosa di meglio il martedì sera?»

La signora P. mi guarda tutta compiaciuta come non le ho mai visto fare. Sono leggermente preoccupato per la sua salute mentale, perché ha una faccia plastificata in un sorriso assurdo.

«domani avrò una riunione importante per il caso che sto seguendo, avevo bisogno di rilassarmi» le spiego poggiando i gomiti sulla sua scrivania e rimanendo piegato verso di lei.

Ridacchia come se avessi fatto la battuta del secolo e mi dice «ha detto la stessa cosa il tipo che tiene in ostaggio i tuoi scatoloni».

Penso che sia seriamente suonata ultimamente, però faccio un sorriso gentile e chiedo «signora P. ma di che parla?».

Abbassa i suoi occhialetti da vista e si china verso di me, come a volermi confessare un segreto, «reparto otto, mi ringrazierai» e conclude il tutto con un occhiolino.

Scuoto il capo arreso e mi reco dove mi ha indicato, per trovare la mia fonte di sfogo.

Una volta arrivato, osservo un culo fasciato in dei pantaloni Armani che conosco perfettamente. Rimango paralizzato e cerco di capire se sto avendo un'allucinazione.

È impossibile che Jonathan sia in questa libreria del Greenwich Village...giusto?

Rimango in silenzio ad osservarlo sollevare scatole su scatole per impilarle nel solito punto da cui io poi le svuoto: quello in basso a destra, vicino alla sezione in legno che si trova in ogni reparto.

I suoi muscoli si tendono al di sotto della camicia che indossa e rischio quasi di sbavare se ripenso al suo corpo sul mio.

«Marcus?»

Jonathan mi fissa sconvolto quasi quanto me, quindi decido di smetterla di fare lo stalker e mi avvicino.

«mi segui?» dico sorridendo.

«potrei farti la stessa domanda» mi dice lui con un'espressione riflessiva.

«no, seriamente, cosa ci fai qui e perché la signora P. ti ha messo a sollevare scatole piene di libri?» chiedo indicando con il capo lo scatolo che ha in mano.

Lui lo posa e poi ritorna dritto con la sua statura imponente «vengo qui per rilassarmi».

«mi stai dicendo che la signora P. fa lavorare anche te a nero?» dico ridacchiando.

«che intendi?» mi chiede lui serio.

È strano, è molto serio e poco incline a sciogliersi. È come se portasse sulle spalle un peso maggiore di quello che ha dovuto sollevare per spostare le scatole.

«vengo qui per sistemare i libri nei reparti delle volte...per rilassarmi» mentre lo dico ho posato una mano sulla sua guancia come incantato da un'espressione che non gli ho mai visto esibire.

È la prima volta che scorgo la sua debolezza trapelare tra le rughe del suo viso e avevo bisogno di toccarla con mano per appropriarmene.

Lui si paralizza sotto il mio tocco, ma poi mi afferra il polso e volta il capo per baciarmi il palmo aperto che avevo posato sulla sua guancia.

Ogni cosa che fa mi fa sempre arrossire e non so come controllare questa reazione.

Speravo di abituarmi al contatto con la sua pelle, ed invece ogni volta è come se andassi a fuoco da zero, come se il mio corpo non avesse mai provato una scarica simile.

SADLY BUT MINEWhere stories live. Discover now