Capitolo 8

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6 anni fa

Da bambina ero stata a tanti concerti delle mie star preferite, da Taylor Swift a Shawn Mendes, ma non penso di poter paragonare le grida che io, e le altre migliaia di ragazzine, eravamo solite produrre alle urla degli uomini (per la maggior parte) che stanno riempiendo lo stadio.

Mi piacerebbe poter dire che si tratta solo di urla, tuttavia in certi momenti partono dei veri e propri cori, nei quali vengono intonati slogan improbabili mai sentiti prima d'ora. A questo si aggiungono i momenti in cui decidono di saltare tutti insieme, nei quali il cuore mi salta in gola non appena sento il cemento sotto ai miei piedi scuotersi.

E stanno solo guardando una partita di football di due squadre universitarie, non oso immaginare cosa siano capaci di fare ai campionati delle leghe più alte.

L'aria serale è ancora un po' fresca, anche se siamo a fine marzo. La divisa rossa di Conrad spicca, ai miei occhi, in mezzo al mare verde del campo, il suo fedele numero nove stampato a caratteri cubitali sulla schiena.

Conrad corre come un leone schivando corpi su corpi finché, notando due giocatori avversari corrergli incontro, non si dà un'occhiata veloce attorno e lancia la palla a un compagno libero.

Uno dei due ragazzi dell'altra università, tuttavia, sembra avercela con il mio ragazzo. Tanto che, benché Conrad non abbia più la palla in mano e si stia guardando intorno per capire dove muoversi, lui continua a correre fino a placcarlo.

Uno strillo mi esce dalla gola, senza che riesca a controllarlo.

"Ma che problemi ha il numero 73?" Grida un ragazzo accanto a me, attorno al collo gli ciondola il badge di riconoscimento di chi è stato invitato da qualcuno della squadra a vedere la partita, lo stesso che si trova appoggiato al mio petto.

Mi volto, riconoscendo subito i tratti familiari di un compagno di squadra di Conrad, deve probabilmente trattarsi del fratello o cugino.

Si tratta di una frazione di secondo, però, perché i miei occhi tornano subito sul campo per accertarmi che Conrad stia bene.

Lo ritrovo ancora a terra, il bestione della squadra avversaria a cavalcioni su di lui. Dalla mia visuale pare che gli stia urlando in faccia, forse lo sta minacciando, ma il mio ragazzo resta inerme a terra.

Un velo di panico mi ricade addosso. Se avesse avuto una concussione? Se non riuscisse ad alzarsi perché è svenuto?

Mi attacco alla ringhiera dell'anello dello stadio dove sono seduta e mi affaccio il più avanti possibile. Conrad continua a non muoversi.

"Ti prego, ti prego, alzati." Sussurro tra me e me.

Poi vedo, finalmente, un arbitro avvicinarsi alla scena, dietro di lui una schiera di altri uomini. Provano ad urlare al numero 73 di alzarsi, ma quando pare che non li stia nemmeno ascoltando lo prendono per il retro della divisa e lo tirano via dal corpo di Conrad.

Trattengo il fiato per tutti i secondi che trascorrono prima che Conrad faccia leva con le mani per terra e si rialzi.

Delle lacrime silenziose mi percorrono il volto. Per quei lunghissimi attimi ho temuto il peggio. Ho avuto paura che si stesse sentendo male, che nessuno l'avrebbe aiutato in tempo, di star assistendo a una tragedia a qualche metro di distanza da lui, impotente.

"Non ci credo!" Commenta una ragazza nelle mie vicinanze.

"Che bastardo! Si è fatto placcare e prendere a parole senza neanche ricambiare un insulto, è un grande!" Esclama lo stesso ragazzo di prima.

Io reprimo una smorfia. Non c'è stato assolutamente niente di grande. Conrad non si metterebbe mai in delle situazioni del genere, quindi è normale che non abbia dato nemmeno un segno di reazione.

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