Capitolo undici

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«Basta, sono davvero davvero pieno!» disse allontanando il piatto con gli ultimi dolcetti rimasti.

Gli sorrise, contenta che avesse apprezzato tutto ciò che gli aveva portato. Lo osservava già da un po', in silenzio, trovandolo molto buffo. Aveva l'entusiasmo di un bambino. Era spontaneo, divertente e nello stesso tempo tenerissimo.

«Hai detto che nessuno fa l'ofrenda per te, giusto? Allora ti faccio una promessa, Alejandro, te la farò io ogni anno!»

«Grazie, ne sono davvero felice. Vedi, io una famiglia non la ho mai avuta. Ecco, entrambi ci stavamo chiedendo il perché io fossi qui, probabilmente è questa la spiegazione. È che non ho nessun posto dove tornare, nessuno che mi pensa mai, ora lo sai. Sono cresciuto in una specie di casa famiglia, ma, appena sono diventato grande abbastanza me ne sono andato. Non si stava male, però il mio spirito di avventura voleva vedere il mondo. Ho visitato un sacco di posti bellissimi, però vuoi sapere la verità? Non ho mai trovato un posto che volessi chiamare davvero casa. Niente per cui valesse la pena voler restare.» Non era addolorato nel raccontare questa cosa, questa era stata la sua vita perciò, ehi, perché pentirsi?

Gabriela si abbracciò le ginocchia, seduta sopra il letto.
«Penso che questa cosa sia triste sai? Tutti dovrebbero avere un posto da sentire casa. Per me, casa è qui, dove c'è la mia famiglia, la mia abuela, i miei ricordi, con e senza il nonno. I miei amici» con una mano iniziò a stropicciare l'angolo delle lenzuola.

«Dove c'è mister perfetto» bofonchiò lui sottovoce.

«Ti ho sentito! Sei geloso?» chiese stringendo gli occhi con fare indagatorio.

L'insinuazione lo punse sul vivo.
«Chi io? No, niente affatto. Piuttosto… ho una domanda. Non hai sonno? Ti vedo mi vida che fatichi a tenere gli occhi aperti.»

Era da un po’ che Gabriela cercava di non cedere a Morfeo, ma non avrebbe mai pensato che lui lo avrebbe notato.
«Un pochino», ammise accompagnando il tutto con uno sbadiglio irrefrenabile. Ormai, non preoccupandosi più di nasconderlo continuò: «Andiamo a letto?»

Alejandro la osservò con il solito stupido sorrisetto, lo sguardo malizioso. Sapeva che quella di Gabriela era un'uscita innocente, ma era più forte di lui prenderla in giro. Non ci fu bisogno di dire nemmeno una parola perché lei capisse quello sguardo.

«Ricordati che posso picchiarti adesso,» bofonchiò già mezza addormentata mentre si tirava il lenzuolo sotto il mento.

E lui che era sì un morto, ma gentiluomo, sorrise, spense la luce, si sedette sulla poltrona e la osservò addormentarsi. Pensò che fosse davvero tanto bella quanto speciale. Almeno, per lui lo era. Passarono le ore e Alejandro non dormì, nemmeno un minuto. Non voleva sprecare quel poco tempo che gli rimaneva, a dormire. Per quello, avrebbe avuto tutta l'eternità.

Così, seduto comodamente, dopo aver ascoltato per un po' il respiro provenire dal letto, si mise alla finestra e osservò il cambiamento del panorama. Dapprima l'oscurità della notte, con milioni di stelle in cielo, così tante che per contarle tutte avrebbe avuto bisogno di almeno una vita. Poi via via si fece sempre più chiaro, in delicate sfumature viola che poi divennero arancio finché non notò sorgere il sole. Il suo disco cominciò ad apparire all'orizzonte.

Respirò a pieni polmoni l'aria fresca che entrava dalla finestra aperta. Non avrebbe avuto altre occasioni per farlo, ne era certo. Ascoltò il canto degli uccelli. Quanto era bella quella sensazione, quanto era bello quello spettacolo.
Si girò a guardare Gabriela che dormiva e pensò che fosse davvero meravigliosa. Un'anima speciale e di altri tempi. Rimase così, seduto, a pensare alle meraviglie della vita, alle cose che non aveva mai avuto, alle cose che non aveva mai apprezzato prima e si diede dello stupido.

Era così assorto nei suoi pensieri che si accorse, all'improvviso e in ritardo, che dei passi leggeri sembrava stessero salendo le scale e fu preso dal panico. Doveva essere senza dubbio la sua abuela! Si alzò di scatto, pensando che sarebbe morto per la seconda volta.
Doveva solo decidere come; se saltare dalla finestra o se farsi uccidere dalla nonna appena lo avesse visto lì dentro.
Si guardò attorno, nella maniera più rapida che poté fare, per decidere tra l'armadio, sotto al letto o appeso fuori dalla finestra.

Escluse subito l'ultima opzione, perché lo avrebbero visto dalla strada. E inoltre, se avessero visto un ragazzo uscire dalla camera da letto di Gabriela, questo l'avrebbe fatta senza dubbio giudicare male e lui non lo avrebbe mai permesso. Guardò sotto al letto e realizzò che non sarebbe mai passato sotto quello spazio esiguo.

L'armadio!
L'armadio sembrava abbastanza grande, così ci andò dentro facendo attenzione a non fare troppo rumore. Si infilò in mezzo agli abiti e sperò che a nessuno in quel momento servisse un vestito.
Aspettò e aspettò ancora, non riuscendo a sentire nessun rumore. Ma proprio nessuno. Non seppe dire quanto tempo restò così, in attesa di un qualche evento. Così decise di scostare appena un'anta e sbirciare fuori.
Nel momento in cui fece spuntare l'occhio sinistro, la porta dell'armadio si spalancò di colpo e mancò poco che ruzzolasse a terra in maniera rumorosa.

«Mi ha fatto venire un colpo non trovarti! Ho pensato che te ne fossi andato in giro a combinare guai.»
Il viso di Gabriela, ancora in pigiama e spettinata comparve così. Con una ramanzina.

«Ma quanta dolcezza di primo mattino» Fu sollevato di vedere che era lei e cominciò subito col suo modo di fare. «Buongiorno anche a te mi vida. Certo che hai un'ottima considerazione di me, eh.»
Uscì dall'armadio, le si avvicinò, le posò una mano sul viso e le schioccò un bacio sulla guancia. Lo fece così, come se fosse la cosa più normale del mondo. Continuò poi a bighellonare per la stanza e tornò a sedersi sulla poltrona.

«Ho avuto paura che stesse salendo qualcuno e capisci anche tu che sarebbe stato sconveniente farsi trovare qui, non credi? Ma se per te non è un problema posso scendere giù, dare il buongiorno alla nonna e sedermi a fare colazione con voi.» Fece il gesto di alzarsi.

Gli andò incontro rapida, gli poggiò le mani sul torace e lo spinse di nuovo seduto. Senza togliergli le mani di dosso lo fissò negli occhi e gli sussurrò:
«Provaci e poi vedrai!»

Alejandro abbassò lo sguardo sul suo petto, poi lo sollevò, dritto negli occhi di Gabriela.
«Nonna, corri, mi sta toccando» esclamò fingendo di urlare.

Lei guardò le sue mani, arrossì e si sollevò fulminea.

Alejandro si mise a ridacchiare. Gabriela si sforzò di rimanere impassibile, anche se una leggera increspatura era comparsa agli angoli delle labbra.
«Puoi stare serio? Ora, io mi preparo e scendo a fare colazione. NON - TI - MUOVERE» gli puntò contro l'indice con fare minaccioso.

Lui alzò le mani in segno di resa e si sistemò meglio sulla poltrona. La vide andare verso il bagno, riapparire cambiata, pettinata e annusò la scia di buon profumo che lasciò nell'aria mentre andava di sotto dopo avergli regalato un sorriso.

Cercò di imprimersi nella mente più dettagli possibili prima di andare. Prima di doverla salutare.
La vide riapparire, non troppo tempo dopo, con in mano una tazza di caffè che gli fu porta. Era così calda quella tazza, il liquido rovente disegnava nell'aria delle piccole scie di vapore. Che strana e dimenticata sensazione.

Senza pensare, diede un sorso alla nera bevanda e spalancò gli occhi.
«Mi fono brufiato la lingua» e sorrise, soddisfatto di quella sensazione che, prima di quel momento, ricordava solo vagamente.

«Sei proprio buffo» gli disse lei ricambiando il sorriso.

«Quindi, mi vida, dove mi porti oggi?» sorrise, speranzoso di aggiungere nuovi ricordi alla lista prima di dirle addio.

Fiori nell'aldilà - una storia d'amore trascendentale Where stories live. Discover now