Capitolo 44

118 8 0
                                    

Pecco è andato a Torino. Non era molto convinto di partire, a dir la verità, l'altra mattina, ma sono riuscita a rassicurarlo abbastanza. In questo ultimo periodo si è preoccupato molto per me e gli servono un paio di giorni per prendersi una pausa. Ha bisogno di vedere la sua famiglia, soprattutto perché ha bisogno del sostegno che possono dargli, che è molto di più rispetto a quello che potrei fare io. Manca ormai poco per determinare chi sarà il Campione quest'anno e se vuole giocarsela fino in fondo ha bisogno della giusta concentrazione. Io sono rimasta qua a Rimini, insieme alla Micia e ad una torta al cioccolato della mia cara vicina Anita. Non l'ho ancora ringraziata abbastanza. Sono seduta sul divano, con il deumidificatore acceso e la televisione spenta, perché ormai non so più che cosa guardare. Penso che la gatta non ne possa più di me, sapete? Ho il presentimento che mi stia evitando da questa mattina, e pensate che questo è appena il secondo giorno che siamo da sole. Sbuffo rumorosamente, non sapendo bene che cosa fare per intrattenermi. Potrei fare una passeggiata. Ma non ho tanta voglia di cambiarmi. Potrei sistemare la casa. Ma ho già pulito ieri da cima a fondo. Adesso ditemi, che cosa dovrebbe fare una ventiduenne incallita, eh? Andare ad aprire la porta magari, dato che ha appena suonato il campanello. Osservo dubbiosa lo schermo del mio telefono, notando che è ora di pranzo. Dubito che sia un corriere. Anche perché Pecco mi avrebbe avvertita, immagino. Di solito lo fa. Potrebbe essere Anita, forse? Che si preoccupa che io abbia pranzato. Guardo dallo spioncino, ma non si vede nulla. E cosa ci insegnano i film horror in queste situazioni? Con la premessa che non bisogna comportarsi come quei protagonisti imbecilli – ma che senza di loro non accadrebbe niente di macabro e malsano – io, in questo momento, non dovrei aprire la porta. Però, non essendo io una fan sfegatata di quel genere di racconti e non avendone guardati abbastanza per avere una cultura tale da saper "evitare le situazioni da film horror" – chiameremo così questo sesto senso – farò la parte della protagonista imbecille. E per poco che non perdo un occhio, per quanto li ho sgranati, non appena mi sono resa conto di chi avevo davanti. Rimango in silenzio per qualche istante, con le labbra schiuse dalla sorpresa, incapace di muovermi. Sono, ad essere sincera, in imbarazzo. <<Ciao Milla.>> mi saluta Federico, allargando uno dei suoi soliti sorrisi sul suo viso, mostrandomi la busta del McDonald's. <<Posso? O ti disturbo?>> gli faccio strada, invitandolo ad entrare con un gesto della mano, incapace di parlare, chiudendo la porta alle sue spalle. La domanda sorge spontanea. <<Che cosa di fai qui?>> gli domando, inarcando un sopracciglio, senza troppi giri di parole. <<Tuo padre mi ha chiesto di venire qui. Mi ha detto che saresti stata da sola per un paio di giorni, così sono partito da Torino questa mattina presto. E quando sono arrivato a Rimini ho cercato un McDonald's per portarti il pranzo. Non hai ancora pranzato, vero?>> mi domanda, alla fine, corrugando leggermente la fronte. Faccio segno di no con la testa e lui sorride di nuovo. Lo guardo di sottecchi, abbassando lo sguardo, mordendomi il labbro inferiore per l'imbarazzo. <<Oh, adesso non fare quella faccia!>> esclama lui, dirigendosi verso il soggiorno, una volta levatosi le scarpe. Come mi conosce bene questo ragazzo. Niente scarpe per casa, se lo ricorda ancora? <<Di quale faccia stai parlando?>> chiedo, indispettita, seguendolo verso il tavolino da caffè, sul quale ha appena posato il pranzo. <<Quella faccia.>> ribadisce, accarezzando la Micia che si è subito lanciata sulle sue gambe, una volta seduto sul divano, indicando poi la mia faccia con l'indice della mano destra. <<Bello questo divano.>> si complimenta, osservandolo attentamente, con la gatta ancora in braccio. <<Perché sei qui, Fede?>> incrocio le braccia al petto, arricciando le mie labbra, ignorando il complimento sul mio amatissimo divano verde salvia. <<Te l'ho già detto perché sono qui.>> dice, tirando fuori le bibite dal sacchetto di carta, insieme ai due panini e alle patatine fritte. <<Dimmi la verità.>> insisto io. <<Tuo padre era davvero preoccupato quando mi ha chiamato. Penso che tu già sappia che non è venuto a tenerti compagnia perché è pieno di lavoro.>> sospira e mi guarda, stringendo le sue labbra in una linea sottile. Esita un secondo prima di aggiungere ancora una frase. <<Io ho pensato che avessi bisogno di me.>> sussurra, abbassando lo sguardo, colpevole di un crimine che solo lui sa che sa di aver commesso. I miei occhi cominciano a pizzicare, mentre lo osservo ancora in silenzio, incapace ancora una volta di esprimermi. Federico apre le braccia e mi fa segno di avvicinarmi a lui. Mi fiondo in quella stretta familiare, che profuma di casa. Scoppio a piangere, tanto forte da farmi mancare il respiro, mentre mi faccio cullare dal calore di quel ragazzo che qualche anno fa era la mia unica ragione per svegliarmi presto alla mattina in estate. <<Milla.>> mi accarezza i capelli, pronunciando il mio nome con un tono delicato e attento. Io alzo di poco lo sguardo, con gli occhi ancora pieni di lacrime, mi sorride e mi asciuga le guance con i pollici ruvidi. <<Sono un disastro.>> mormoro, ed un dolore al petto si diffonde quando esprimo ad alza voce i miei pensieri. <<No che non sei un disastro. Quante volte te lo dovrò dire ancora? Camilla Mancini sei la donna più forte ed intraprendente che conosco. Io mi inchino alla tua ambizione. Chi avrebbe mai avuto il coraggio di provare quello che hai fatto tu dopo il tuo incidente?>> e mentre parla, con voce soffusa, mi tiene il viso, ancora tremolante, raccolto fra le sue mani. <<Nessuno. Cami, nessuno. Non ce l'hai fatta, e quindi? Ti arrenderai? Solo perché non ci sei arrivata al primo tentativo? Non sei mica una macchina, non puoi pensare veramente di schioccare le dita e riuscire subito in qualsiasi cosa.>> mi rimprovera, asciugandomi velocemente un'altra mia lacrima. <<Non è finita qui. Non può finire qui. Milla, hai una carriera davanti. Non devi mollare! Hai tutte le possibilità di affrontare questa tua paura. Devi solo capire come utilizzarle al meglio. Vedila sotto questo punto di vista.>> e si appoggia con la schiena sullo schienale della seduta del divano, lasciandomi il viso e tirandomi verso di lui. Appoggio la testa sul petto di Federico e ascolto il suo cuore battere all'impazzata. <<Sei caduta. Il tuo peggior incubo si è realizzato. E ora? Che hai di cui avere paura? Niente.>> mi accarezza la spalla, e nel mentre io gli disegno dei piccoli cerchi sul petto inspirando il suo profumo di colonia. <<Hai ancora una possibilità per dimostrare nuovamente il tuo valore e che quella pista non ti ha tolto assolutamente niente.>> mi ricorda, alzando con delicatezza il mio viso per far scontrare i nostri occhi. Mi sento privata di ogni difesa sotto il suo sguardo. Stringo le labbra e deglutisco, annuendo in modo appena percettibile. Mi sorride e mi posa un bacio sulla fronte, lasciandomi andare dalla sua presa, porgendomi uno dei due panini che aveva posato prima sul tavolo. <<Anche se si è raffreddato già tutto, mangia che ti fa bene, soprattutto queste schifezze qua.>> e scoppiamo entrambi a ridere. Pranziamo in silenzio, con in sottofondo la televisione che riproduce un programma televisivo di cucina – i nostri preferiti – e mi godo la compagnia dell'ultima persona che mi sarei aspettata alla porta di casa oggi.

La corsa per la vittoriaWo Geschichten leben. Entdecke jetzt