Capitolo 9

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Elena spinse uno scatolone con il piede, mettendolo vicino agli altri e aprì il cavalletto al centro del garage. In camera sua c'era una luce migliore per dipingere, ma era una stanza troppo piccola. Raccolse la tela bianca dal pavimento, la scartò dalla plastica protettiva e la appoggiò sul cavalletto.
Una tela bianca, carboncini, pennelli e colori. Aveva tutto quello che le serviva. Tutto tranne un'idea.
Quel pomeriggio al supermercato le era venuta un'idea ma non riusciva a ricordarla. Tutta colpa di quello stronzo che aveva rincontrato. Le stava rovinando la vita!
Tirò fuori il telefono dalla tasca dei jeans. Nessun messaggio. Forse per la fretta non aveva scritto bene il suo numero di cellulare? O forse quel tipo aveva buttato via il biglietto senza neanche leggerlo.
Stronzo. Se mai lo avesse rincontrato invece di lasciargli un biglietto, gli avrebbe lasciato un bel pugno sullo stomaco.
Posò il cellulare su uno scaffale. Alzò il blocchetto degli schizzi dallo sgabello di legno e fece rotolare i pennelli e i carboncini appoggiati sopra. Un foglio volò sul pavimento. Il ritratto del ragazzo misterioso.
Lo raccolse. "Che fine hai fatto, stronzo? Perché non mi mandi neanche un messaggio?"
Il telefono vibrò e cinguettò. Elena lasciò blocchetto e foglio sullo sgabello e afferrò il telefono.
Era Federico. Che palle. Che fine hai fatto, Ele? Ieri ti ho scritto e chiamato cento volte e non mi hai risposto! Oggi all'uscita ho provato a chiamarti, ma sei fuggita appena mi hai visto... Che hai?
Gli voleva scrivere una volta tornata dal supermercato con sua madre, ma si era completamente dimenticata. Scusa, Fede... Mi sono scordata di dirti che i miei mi hanno messo in punizione... Dopo scuola devo tornare subito a casa.
Elena bloccò lo schermo, ma il telefono cinguettò di nuovo. In punizione? Per cosa?
Perché era stato trovato il suo ritratto su una scena di un crimine successo sei anni prima. Chi non verrebbe punito per una cosa del genere? Federico non le avrebbe mai creduto. I miei sono troppo protettivi... Lascia stare.
Elena raccolse dal pavimento un carboncino. Il telefono vibrò nell'altra mano. Devo lasciare stare? Elena, pensavo stessimo insieme! Mi ignori, non mi dici cosa ti succede... Vuoi stare con me o no?
Domanda secca, così? Federico era molto paziente, ma doveva essere arrivato al limite. E lei voleva stare con lui?
Bloccò lo schermo e appoggiò il telefono sullo scaffale.
Federico era sempre stato carino con lei, forse anche troppo... Quando stava con lui Elena poteva evitare di mangiare per un giorno intero inventando delle scuse, ma da quando suo padre l'aveva messa in punizione era obbligata a mangiare quello che c'era sul piatto.
Strinse la parte interna di una coscia. Quanto avrebbe dato per liberarsi di quelle gambe...
Il telefono cinguettò e Elena lo silenziò. Avrebbe risposto a Federico più tardi. Doveva tirare fuori un'idea per quel maledetto progetto.
Come un soffione. Cos'era come un soffione? Le foglie secche in autunno che cadono dagli alberi? Le dune di sabbia che cambiano con il vento? Un altro fiore?
Che idee stupide. Davvero il suo cervello non sapeva fare di meglio?
Elena sollevò il blocchetto e lo sfogliò. Un gatto. Un albero. Un cane. Un cesto di frutta. Non c'era niente di utile. Il ritratto del ragazzo del bar era rimasto sulla sedia. Portò il foglio sopra il resto del blocchetto.
Come aveva fatto a disegnarlo così bene?
Attaccò il foglio con un pezzetto di nastro adesivo nell'asta di legno che usciva dietro la tela. Appoggiò il carboncino sulla tela e tentò di imitare le linee.
La forma del viso era la stessa. No. Il mento era troppo in basso. Una linea spessa provò a correggerlo, ma sembrava soltanto aver aggiunto la barba a quel mento aguzzo. Orribile. Ma come si cancellava il carboncino?
Elena aprì il tubetto del bianco acrilico e lo spremette direttamente sul pennello più grande. Magari andando a coprire soltanto quella zona...
Appoggiò la punta bianca sulla tela. Un dosso bianco sotto il mento. Era troppo colore. Doveva stenderlo un po'. Le setole del pennello si mossero da sinistra a destra e viceversa. Il colore portò via il carboncino, ma non era più bianco. Cazzo! Elena aveva calzato troppo con il carboncino e la melma grigiastra sotto l'ovale del viso, lo faceva apparire come un uovo che galleggiava sulle nuvole.
Doveva ricominciare. Dovevano esserci dei piatti da qualche parte...
Rovistò in uno scatolone e trovò dei piatti di plastica. Perfetti. Ne prese uno e ci versò una montagnetta di arilico bianco. Sarebbe bastato? Prese quasi tutta la montagnetta con il pennello e la spalmò sulla tela. Ancora grigio? Certo... Magari doveva lavare il pennello prima. Che stupida. Passò il pennello su tutto il carboncino. Il grigio era sempre più scuro.
Elena aggiunse altro bianco e distese il colore su tutta la tela per portarlo tutto allo stesso livello.
Indietreggiò di un passo. Quelle chiazze grigie non avevano alcun senso. Avrebbe aspettato che si fosse asciugato completamente, prima di dare un'altra mano di bianco e ricominciare.

~~~

Elena allungò il passo per evitare una pozzanghera.
Il braccio allacciato a quello di Vanessa fece resistenza, e la sua converse finì nella pozzanghera. "No!" Vanessa si strinse sotto l'ombrello rosso di Elena. "Mi si è bagnato pure il calzino!"
Una ragazzina con due trecce passò davanti a Elena e uscì dal cancello della scuola correndo.
Elena spostò l'ombrello per tentare di coprire entrambe. "Ma perché quando piove tua madre è sempre in ritardo?" Lasciò il braccio dell'amica e si abbassò il cappuccio. La corriera strapiena partì davanti a loro.
Vanessa le si strinse più vicino sotto l'ombrello. "Ringrazia che quando piove ci viene a prendere lei invece di farci metà della strada sotto la pioggia.
Elena tirò fuori il telefono dallo zaino. I messaggi di Federico non li aveva ancora letti, e del ragazzo del bar ancora nessun segno.
"Quindi con Federico è finita?"
Elena ripose il telefono. "Non lo so..."
"Ele, dai! Lo stai ignorando da giorni, perché non gli dici la verità?"
"Perché non lo so neanche io. Mi piace stare con lui, ma..." Elena abbassò il lembo della felpa rossa sopra le cosce. "Da quando sono in punizione mi sembra inutile continuare."
Vanessa aggrottò le folte sopracciglia. "Ti piace solo..." Abbassò la voce. "Quando ci fai sesso?"
"No. Non è questo... Non so..."
Un ragazzo con una felpa blu stava camminando loro incontro. Teneva alto un ombrello nero e il cappuccio nascondeva il volto.
Vanessa strinse le spalline dello zaino. "E questo cosa vuole adesso? Quando cavolo arriva mamma?"
Il ragazzo del bar? Era davvero lui? Finalmente Elena poteva scagliargli addosso la sua rabbia. "Tieni." Passò l'ombrello a Vanessa.
"Ma che fai, Ele? Chi è?"
Elena la ignorò e con un passo si ritrovò sotto una doccia gelata. Cazzo che freddo. Il ragazzo si fermò. Doveva pure zupparsi per raggiungerlo?
"Sei uno stronzo!" Elena si infilò sotto l'ombrello nero. "Perché non mi hai scritto niente? Che cazzo ci faceva il mio ritratto in quella casa!"
Un clacson suonò alle spalle di Elena. La Citroen grigia della madre di Vanessa puntava i fanali su di lei e Vanessa era già entrata. Tempismo perfetto...
Il ragazzo aprì la bocca, ma Elena alzò una mano e lo precedette. "Senti, io devo andare. Domani vieni qui alle otto e chiariamo questa storia." Elena corse verso la macchina, salì dietro e chiuse lo sportello.
Vanessa e sua madre fortunatamente non le chiesero nulla sul ragazzo.
Perché non le aveva scritto nessun messaggio? E come aveva fatto a trovarla?

Come un soffioneNơi câu chuyện tồn tại. Hãy khám phá bây giờ