Capitolo 20

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Nico aprì gli occhi. Era troppo buio per vedere qualcosa e c'era odore di sangue, ma sembrava diverso dalle altre volte. Appoggiò le mani sulle fredde piastrelle di cotto per allontanare la schiena dal pavimento. Erano bagnate?
Una fitta partì dalla spalla e gli attraversò tutto il braccio. Cedette e si ritrovò di nuovo disteso.
Cos'era successo? Perché tutto quel dolore?
Strinse i denti e si appoggiò sull'altra mano per tirarsi su. Il dolore alla spalla aumentò. Lo stesso dolore di quando si era tagliato sulla caviglia con il coltello di suo padre e lo stesso della cicatrice che gli aveva lasciato sua madre...
Portò la mano bagnata davanti alla bocca. Quello era odore di sangue! Non era acqua quella sul pavimento, ma sangue!
Il suo mostro si limitava a dissanguare le sue vittime da un piccolo buco sul collo, non poteva essere il sangue delle pecore. E anche quell'odore... Era suo quel sangue!
Si toccò la spalla ferita. Invece della pelle liscia, i suoi polpastrelli sprofondarono nella pelle lacerata. A Nico fuggì un piccolo grido di dolore.
Come se l'era procurata quella ferita? Di certo non potevano essere state quelle due pecore. Forse... Elena?
No. Non avrebbe dovuto aprire quella porta! Avrebbe potuto ucciderla!
Avrebbe potuto... E se l'aveva uccisa davvero?
Il cuore cominciò a battere dentro il petto, come se fino a quel momento fosse stato fermo.
Elena.
Doveva vedere se stava bene.
I suoi occhi si erano abituati a quella completa oscurità e riuscirono a cogliere la sottile linea di luce che filtrava sotto la porta.
Tentò di girarsi per alzarsi in piedi, ma un ginocchio scivolò sul pavimento coperto di sangue. Come poteva esserci tutto quel sangue?
Elena.
No. Non poteva averla uccisa! Lei doveva rimanere fuori e lì fuori l'avrebbe ritrovata!
Raggiunse la porta gattonando e vi appoggiò entrambe le mani. "Elena?"
Nessuna risposta. Nico aveva la voce piuttosto bassa, forse non l'aveva sentito. "Elena!" Si aggrappò alla maniglia. La porta era chiusa a chiave, quindi lei doveva essere per forza lì fuori.
Un'altra fitta alla spalla lo costrinse a lasciare la maniglia.
E se fosse scappata? Se avesse visto il suo mostro e avesse iniziato a correre in mezzo al bosco? Lì intorno c'erano i lupi...
"Elena!" Colpì la porta con le nocche talmente forte da sbucciarsele. "Elena!"
"Nico?"
Era lei? Era lì!
"Elena! Stai bene? Apri la porta!"
La serratura scattò e la maniglia si abbassò. Le gambe scheletriche di Elena tremavano e sussultavano al tempo dei suoi singhiozzi. Aveva pianto?
Strinse le braccia attorno allo stomaco come se stesse morendo di freddo e una lacrima le cadde sulla manica del maglione grigio.
Gli occhi rossi e gonfi le deformavano il viso scarno e illuminato dai fanali del doblo.
Lo aveva visto.
"Elena..." Nico appoggiò un piede sul pavimento e riuscì a fare forza su quello per alzarsi in piedi. "Stai bene...?"
Elena fece un passo indietro. Tremava ancora di più e aveva gli occhi terrorizzati fissi sul corpo di Nico.
Il suo corpo! Era completamente nudo e ricoperto di sangue!
Si coprì le parti intime con entrambe le mani, ma la ferita sulla spalla gliene fece allontanare una. Serrò la mascella ingoiando un grido di dolore.
"Quello... Quella cosa... Eri tu? Io... Io ti ho sparato?" Le mani di Elena attorno alla vita salirono a stringersi le spalle.
"Non dovevi aprire quella porta..." Perché lo aveva fatto?
"Io... Ti ho sparato..." Gli occhi di Elena si erano persi nel vuoto dietro di Nico e due grosse lacrime le scesero lungo le guance già rigate.
"Tranquilla, non è grave. Mi hai colpito la spalla..." Nico doveva recuperare i suoi vestiti e fasciare la ferita. "Stai tremando e sei bianchissima... Recupero i miei vestiti e torniamo in macchina."
"Dobbiamo andare all'ospedale... Devi dire che... Che ti ho sparato..."
Ospedale? Stava scherzando? Nico allungò la mano dietro la porta e prese la maglietta blu e la bottiglia di vodka che aveva lasciato lì la sera prima. Fortunatamente non si era rotta. "Non c'è bisogno di andare all'ospedale." Versò la vodka sulla maglia e se la strofinò tra le mani.
"Sei ferito! Dobbiamo andarci!" Elena non si era mossa. Sembrava tremare un po' meno, ma respirava troppo velocemente.
"È solo un taglio... Mio padre mi ha insegnato a curare questo tipo di ferite, non preoccuparti." Bagnò ancora la maglia e si ripulì alla meglio il resto del corpo, lasciando per ultima la spalla ferita. Con un sola mano riuscì a infilare i pantaloni e uscì sulla terra ruvida. I suoi piedi lasciarono due impronte insanguinate dietro di lui.
Doveva ripulire tutto prima che qualcuno fosse passato di lì.
"Io..." Elena guardava ancora un punto fisso davanti a lei. Doveva essere sotto shock.
Nico avrebbe voluto abbracciarla e rassicurarla, ma nello stato in cui era, l'avrebbe soltanto spaventata di più. "Torniamo in macchina" Non le prese la mano, ma lei lo seguì comunque.
Nico aprì lo sportello dietro e sganciò dalla parete la cassetta medica. Prese il rotolo di garza, lo bagnò con la poca vodka rimasta e la porse a Elena. "Puoi aiutarmi?"
"Io... Non so..." Le mani erano ancora aggrappate alle sue spalle.
"Ti prego." Aveva davvero bisogno del suo aiuto. Aveva bisogno di lei.
Elena si liberò dalla propria stretta e allungò le mani tremanti verso la garza.
Nico allungò il braccio sinistro verso di lei. "Legala stretta."
Elena deglutì e fece quello che Nico le aveva chiesto. Il nodo finale lo fece sussultare. Strinse i denti e chiuse gli occhi. "Grazie."
Elena fissava la garza dove si stava già formando una piccola chiazza rossa.
"Ti riporto a casa."
Elena alzò gli occhi sui suoi come se l'avesse appena insultata. "A casa?" Si strinse di nuovo le spalle. "Mi hai portato qui per... Farmi vedere..." La voce divenne un sussurro. "Quel mostro... E adesso vuoi portarmi a casa?"
"Non so neanche perché ti ho fatto venire qui stanotte... Era pericoloso." Avrebbe potuto ucciderla! "Sono stato un'idiota." Un vero idiota.
"E allora perché lo hai fatto?" La voce di Elena era tornata quasi normale, ma ancora interrotta dal singhiozzo.
"Perché non mi credevi."
Elena abbassò lo sguardo sulle sue scarpe. Dopo averlo visto con i suoi occhi doveva credergli per forza, ma che cosa sarebbe successo poi? Era un mostro. E nessuno sarebbe voluto rimanere accanto a un mostro. L'aveva messa in pericolo inutilmente. Nico non meritava il suo perdono. E Elena meritava una vita migliore. Una vita senza di lui.
Nico recuperò la pistola e salì sul doblo, e Elena lo imitò.
Girò la chiave, ma Elena gli afferrò il polso. "Non ancora." Il suo sguardo sembrava chiedergli altre spiegazioni.
Spense il motore e i fanali e si afflosciò sul sedile. Come aveva potuto essere stato così stupido da portarla lì quella sera?
"Che cos'era quello che ho visto?" Elena era concentrata a lisciarsi tra pollice e indice le dita dell'altra mano.
"Mia madre diceva che era una malattia." Il ricordo di sua madre gli fece annodare la gola e deglutì. "Capirono che ero malato già dal mio primo mese di vita. Fino ai tre o quattro anni riuscivano a tenere buono il mostro chiudendolo in una stanza e dandogli della carne cruda. Ma più crescevo e più sangue voleva il mostro." Ormai le avrebbe raccontato tutta la verità. "Costruirono un rifugio sotto terra e mi chiudevano lì per un'intera notte ogni mese, quando cominciavo ad avere i sintomi della trasformazione."
"Una malattia? Non può essere una malattia!" Elena alzò gli occhi lucidi sui suoi, ma li riabbassò subito alle sue dita.
"Diceva che era una malattia perché anche suo nonno era malato e ha trasmesso il gene a sua figlia, che lo ha a sua volta trasmesso a lei. Ma ne mia madre ne mia nonna si trasformavano."
Era la prima volta che vedeva Elena starsene in silenzio così a lungo.
"Mia madre non ha saputo niente della malattia del nonno finché non sono nato io, ed è andata a cercare la nonna per saperne di più."
Perché non lo guardava più? Aveva paura di lui? Aveva ancora la pistola sulle gambe! La ripose subito dentro il cassetto sotto il volante. "Ti ho promesso che dopo oggi sarei sparito dalla tua vita e manterrò la promessa."
Elena finalmente lo guardò negli occhi. "Solo se te lo avessi chiesto io."
"E tu non vuoi che sparisca?" Che domanda stupida. Certo che lo voleva.
"Non ho ancora deciso." Abbassò di nuovo lo sguardo. "Dimmi di più. Cosa ha scoperto tua madre?"
Non aveva ancora deciso? Non poteva avere ancora dei dubbi! Lui era un mostro e non avrebbe potuto condividere la sua vita con nessun altro senza il rischio di metterlo in pericolo. Se era davvero l'ultima serata che avrebbero trascorso insieme poteva anche raccontarle tutto. In fondo nessuno le avrebbe creduto se lo avesse raccontato ad altri.
"Ha scoperto che anche il padre di suo nonno si trasformava, ma lui aveva iniziato a trasformarsi intorno ai trent'anni dopo essere quasi affogato sul mar rosso. Era stato attaccato da un animale sott'acqua ed è stato salvato appena in tempo. Aveva una brutta ferita sul collo, come un morso, ma nessun medico e nessun esperto di pesci ha mai saputo dirgli che animale potesse essere stato ad attaccarlo."
Quei ricordi gli facevano troppo male. Più male della ferita alla spalla.
Elena alzò il viso scarno che sotto la luce affusolata della sua torcia sembrava ancora più scavato e con due profonde occhiaie. Ma quanto peso aveva perso? Si stava forse facendo del male di proposito?
Lo stomaco di Nico si strinse. "Cosa ti è successo?"
Elena si cinse con le braccia e fissò lo sguardo davanti a sé. "Non ti meriti tutto questo." Una lacrima le rigò la guancia. Piangeva per lui? Se si era affezionata a lui anche soltanto la metà di quanto lo aveva fatto lui, quell'addio sarebbe stato davvero difficile per entrambi.
Dallo zainetto nero di Elena iniziò a vibrare qualcosa. Elena si asciugò la guancia con la manica del maglione e tirò fuori il cellulare. Sullo schermo c'era la scritta Papà. Rimise il telefono dentro lo zaino facendolo continuare a vibrare.
"Sono i tuoi genitori?" Perché non gli rispondeva? Doveva essere tardi e probabilmente si stavano chiedendo che fine avesse fatto.
"Non importa." Buttò lo zainetto in mezzo ai suoi piedi. "Quindi tu non mi hai visto?"
"Non ti ho visto? In che senso?"
Elena era passata ad accarezzarsi le unghie. "Quando ho aperto la porta... E ho sparato..." Le unghie che accarezzava si infilzavano nella pelle.
Perché continuava a preoccuparsi così tanto per quel colpo che gli aveva procurato soltanto un graffio? Nico allungò una mano e l'appoggiò sulla piccola coscia di Elena. "Ti ho già detto che non devi preoccuparti per questa ferita."
Elena smise di tormentarsi le dita e appoggiò la mano sopra quella di Nico. "Quando ho sparato... Il mostro... Tu sembravi morto..."
"Il mostro ha un udito molto sensibile e lo sparo deve averlo fatto svenire... Io non vedo nulla quando il mostro prende il mio posto. È come se dormissi." Posò lo sguardo sul volante. "Se potessi avere anche il minimo controllo..." I suoi genitori non sarebbero morti e Elena non gli avrebbe sparato.
Scosse la testa. Non voleva piangere. "Mi dispiace." Aveva rischiato di uccidere l'unica persona a cui avesse mai tenuto veramente oltre ai suoi genitori. Non poteva rischiare di farle fare la stessa fine.
Posò la mano sinistra sul volante. La spalla gli fece capire che non era una buona idea, ma non aveva altra scelta. Doveva soltanto girare la chiave, ma Elena strinse più forte la sua mano e gli si avvicinò. Appoggiò la testa sulla sua spalla e chiuse gli occhi.
Che stava facendo? Era troppo vicina... Il dolce profumo dei suoi capelli... La sua dita fredde che accarezzavano il dorso della sua mano... Le sarebbe mancata. Le sarebbe mancato tutto di lei.
Nico deglutì il nuovo nodo che gli si era formato in gola e appoggiò la testa su quella di lei.
Doveva soltanto aspettare che si fosse addormentata e l'avrebbe riportata a casa.

~~~

Nico appoggiò il cuscino contro il finestrino e ci fece scivolare sopra il viso addormentato di Elena. Sembrava così fragile in quel corpo di ossa sporgenti.
Se Nico fosse sparito dalla sua vita forse lei avrebbe ricominciato a vivere. E se invece avesse smesso del tutto?
Parcheggiò sotto casa di Elena, scese dal doblo e chiuse lo sportello senza fare rumore.
Un'ombra si alzò davanti al portone, in cima alle scale. Doveva essere Fabio. Scese gli scalini correndo, attraversò il piccolo giardinetto e aprì il cancelletto di ferro.
"Che fine avevate fatto?" La voce di Fabio era alta, ma il suo sguardo era preoccupato e non arrabbiato. "Lo sai che ore sono? Perché Elena non mi risponde al telefono?"
"Mi dispiace." Poteva raccontargli una mezza verità. "Elena si è addormentata. Dopo cena abbiamo parlato molto e non ci siamo accorti che si era fatto così tardi. Mi dispiace davvero, è tutta colpa mia."
Le rughe sul volto di Fabio si distesero e si passò una mano sulla nuca pelata. "Con noi non parla. Non mangia più, a scuola sta prendendo brutti voti e non esce mai di casa." Sospirò. "Non sappiamo cosa fare... Siamo preoccupati per la sua salute ma non vuole farsi aiutare neanche da noi."
Se non mangiava più era sicuramente in parte anche colpa di Nico.
Negli occhi lucidi di Fabio sembrava brillare una luce di speranza. Era lui quella speranza?
Nico aprì lo sportello del passeggero. Fabio lo seguì e prese il corpo addormentato della figlia tra le braccia forti.
"Mi prenderò cura di lei." Le parole uscirono incontrollate dalla bocca di Nico.
"Grazie. Sono sicuro che tu puoi aiutarla a ricominciare a vivere."

Come un soffioneOnde histórias criam vida. Descubra agora