Capitolo 1 - Concedimi di amarti

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«Concedimi di amarti.
Anche se siamo due emisferi opposti, ti prego, concedimi di amarti.
Anche se siamo come la luna che non incontra mai il suo sole, ti scongiuro, concedimi di amarti.
Siamo come la preda e il predatore, incompatibili, ma nonostante ciò, concedimi di amarti.
Tu per me sei la mia Dafne, che fugge dal suo Apollo e per non concedersi a lui, si trasforma in un albero, le cui foglie d'alloro iniziarono a crescere sui suoi rami, lasciando il suo Apollo distrutto, affranto...
Io non desidero fare la loro fine, no...
Io non voglio essere l'Apollo che rimane con un vuoto enorme dentro il petto, che amareggiato abbraccia il tronco dell'albero, un tempo il meraviglioso e sinuoso corpo della sua amata ormai divenuto ruvido e quasi tagliente al tatto.
Io desidero essere il tuo Leandro, che dà la vita per la sua Ero morendo in mare pur di vederla anche per un solo minuto.
Voglio essere per te il tuo Perseo, che ti salva da un mostro molto più crudele, ripugnante e disgustoso: l'indecisione.
Se me lo concedi, lascia che sia io a prendere la tua mano e baciartela ogni giorno, ogni mattina e ogni sera per il resto delle nostre vite.
Aprimi il tuo cuore e lascia che il mio amore lo raggiunga.»


Abbozza.
Idealizza.
Progetta.
Scolpisci, scolpisci, scolpisci...
Leviga.
Ammira.
Un lavoro ben fatto, deve essere portato a termine nel migliore dei modi se non di più e ogni minimo dettaglio non deve essere mai dato per scontato. Nessuno.

Il rumore dello scalpello che stava scolpendo il marmo bianco stava rimbombando in quello piccolo studio, che tanto piccolo non era, ma a Roman piaceva descriverlo così.
Roman. Un nome alquanto insolito per i cittadini di quel luogo, ma che allo stesso tempo, donava una certa raffinatezza quanto fascino al portatore di quel nome.
Se invece lo si voleva interpretare in un'altra maniera, un po' più buffo, quel nome era quasi un modo per vantarsi o semplicemente voler onorare la propria città natia a tal punto di attribuirsi un nome che la ricordi...
Roma. Meravigliosa città, un tempo fulcro di un enorme impero e luogo in cui molteplici artisti, filosofi, nobili e figure importanti nacquero e condussero le loro vite lì.
Una città elegante, con un passato alle spalle a dir poco intrigante e affascinante e con storie, avventure, oggetti, che nessun altro posto poteva mai imitare o superare quelli che avevano i romani.
Ma in ogni caso, non era quello che rendeva Roma, agli occhi del giovane, una città "elegante" o "intrigante"; non nel suo complesso almeno.
Gli piaceva focalizzarsi sui frammenti, i minimi dettagli e su particolari che magari nessuno notava. Era preciso, accorto e attento, ma allo stesso tempo era passionale e creativo, quanto impulsivo quando si parlava di arte.
Ecco cosa gli interessava solo e solamente di "Roma", l'arte.
In particolar modo delle sculture e delle statue, le quali, dietro all'involucro liscio e scolpito pazientemente nel marmo raccontavano una storia di eroi, di nobili, di divinità, le cui vite venivano messe alla prova sin dal loro primo vagito da piccoli, fino alla loro morte.
Il motivo per cui il suo interesse è rivolto in modo così insistente verso questi soggetti non esiste.
Però, dentro di sé sentiva come delle vibrazioni e una calma interiore che gli alleggerivano il corpo da ogni tensione e lo portavano in un'altra dimensione ogni volta che Roman incrociava lo sguardo con quello terrorizzato di Dafne che si trasforma in albero per sfuggire dal suo Apollo, o il volto pieno d'orgoglio di sé di Perseo dopo aver tagliato la testa a Medusa... Si perdeva in quei movimenti dei capelli, nel modo in cui erano stati studiati accuratamente e in modo attento prima di crearli e anche dal modo in cui i diversi panneggi e indumenti che indossavano le statue si piegavano, erano qualcosa che Roman poteva stare ad ammirare per ore intere.
La polvere del marmo appena scalpellato gli copriva le dita, le mani e gli avambracci, ma nonostante tutto, a Roman non dava fastidio, anzi, gli piaceva e lo trovava piacevole. La sensazione di quei granelli bianchi che andavano un po' a imbiancargli la pelle, gli trasmetteva un senso di compiacimento quanto anche di pura soddisfazione, perché per lui, maggiore era la polvere di marmo, migliore il risultato finale sarebbe stato. Per lui era così e solamente lui riusciva a capirlo.
Scolpiva tranquillo, lasciando che solamente il rumore dello scalpello e del martelletto risuonasse nello studio e che il canto degli uccellini lo aiutasse a concentrarsi maggiormente. I suoi occhi fissi sul blocco di marmo e che seguivano ogni singola mossa che eseguiva con gli strumenti, senza mai distarsi.
Gli abiti impolverati, costituiti da una camicia in tessuto leggero a maniche lunghe, le quali in quel momento erano riportate su con dei risvoltini sino ai gomiti, e accompagnata da un paio di pantaloni lunghi marroni con le bretelle, le quali andavano sulle spalle e creavano un intreccio a X dietro la schiena. Le scarpe del medesimo colore dei vestiti erano sporche di polvere bianca, come anche le sue mani e le guance del suo viso, dato che si sfregava con le mani sporche quest'ultimo.
L'orologio, le cui lancette dorate segnavano le ore, in quel momento, erano puntate sulle 15.30 e il rimbombo della mezz'ora iniziò a echeggiare in tutto lo studio, lasciando poi un silenzio tombale non appena ebbe terminato. Volgendo solamente lo sguardo, Roman si rese conto dell'orario e sospirando, decise che per quel giorno avrebbe terminato lì.
Rimase un momento ad ammirare il suo lavoro, il modo in cui lentamente stava prendendo forma e anche come il tutto si stava svolgendo e dopo aver schioccato la lingua sul palato, mise alla base del piedistallo su cui era posto il lavoro i due utensili, poggiandoli con estrema delicatezza e pulendosi le mani nei propri pantaloni, prese un telo scuro, di modeste dimensioni, che utilizzò per poter coprire e di conseguenza proteggere il suo elaborato.
Guardandosi attorno, agguantò con i propri occhi la scopa di paglia che teneva sempre in un angolo dello studio e dirigendosi verso questa, prese anche quello che era un enorme bidone nero, vuoto, tenendolo per una maniglia, e lo portò con sé in modo da mettere lì dentro ogni singolo scarto di quello che era stato un tempo un unico blocco in marmo. La polvere bianca la mise in disparte, coprendo anche questa con un telo più leggero, quasi in seta e chiuse successivamente le tende lunghe e color porpora, in modo da coprire la visuale.
Non appena fu sicuro di aver sistemato tutto, si diresse verso la porta grande di legno dove girò la manopola color oro e uscendo, la richiuse alle proprie spalle lasciando passare un paio di secondi per poi sentire un semplice "click" dall'interno. Aveva ideato lui stesso tale tipo di sistema, dove prevedeva un marchingegno che chiudeva la porta da dentro ogni volta che la si chiudeva dall'esterno per evitare che qualche intruso potesse accedervi. Per lui semplice entrare siccome o usava una scorciatoia o semplicemente utilizzava una combinazione tale per cui gli permetteva l'accesso allo studio.
Per lui era il suo posto sicuro, il suo paradiso proibito e nessuno poteva accedervi se non solamente lui e basta.
Portando il capo da un lato si scrocchiò per poi fare la medesima azione dall'altra parte e sospirando dalle narici, decise di dirigersi verso quella che era la sua camera, percorrendo il lungo corridoio della sua grande e spaziosa dimora, dove vi era per tutto il pavimento, una moquette rossa scura, che proteggeva il legno della casa.
Non era mai stato un giovane che spendeva molto o che voleva apparire come un possedente di un patrimonio cospicuo. Anzi, era tutto il contrario e le uniche cose per cui spendeva più soldi del dovuto erano gli attrezzi e il materiale da lavoro, niente di più.
Quella casa non l'aveva mai voluta e non l'aveva mai richiesta. Eppure sua nonna materna insistette così tanto che la ereditasse lui e non il fratello, che per amor dell'anziana, Roman decise di accettare e di prendere in custodia tale enorme costruzione.
Era una villa molto grande, a ben due piani, con ornamenti e sculture ogni dove poste anche all'esterno. Ma nonostante la bellezza esterna, l'interno era molto più all'antica, in quanto era costituito interamente in legno di ogni tipo, siccome mutava in base all'ambiente, con oggetti preziosi di ogni manifattura.
Mai però Roman si era soffermato ad osservare la casa in cui da tempo ormai viveva. Non si era mai sostato a guardare, neanche per una manciata di minuti, la bellezza della scultura in legno che si trovava all'ingresso o la bellissima ringhiera delle scale curve che portavano al secondo piano.
Questo non era niente per Roman e ciò che non gli interessava, la ignorava e ne ignorava anche l'esistenza.

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